Orinoco Tribune, 16 settembre 2021
La Banca Centrale del Venezuela (BCV) ha pubblicato sul suo sito un notevole aumento delle riserve internazionali del Venezuela. Questo è senza precedenti dato che il paese è sottoposto a un blocco economico e finanziario da USA, Canada e Unione Europea.
Il sito ufficiale della BCV rivela che le riserve sono attualmente 11,3 miliardi di dollari, con un aumento di 5,1 miliardi di dollari, secondo il foglio di calcolo che traccia movimenti giornalieri delle riserve. Sull’origine dei fondi, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stanziava per il Venezuela 3,6 miliardi di dollari ad agosto nell’ambito dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del Venezuela. Tali risorse furono negate in precedenza, citando il blocco.
Nello stesso foglio di calcolo sul sito della BCV, si possono vedere stanziamenti simili da dicembre 2009 a dicembre 2014, per un totale di 13,3 miliardi di dollari negli ultimi anni dell’amministrazione dell’ex-Presidente Hugo Chávez. I DSP sono attività di riserva fruttifere non rimborsabili che derivano dalle quote dei membri e sono fornite in dollari, euro, yen, sterline e yuan. Creati nel 1969, i DSP cercano di “integrare altre risorse di riserva” e “ridurre la dipendenza dei membri dal debito interno o estero più costoso”.
Nel marzo 2020, il Fondo monetario internazionale (FMI) bloccò la richiesta del Venezuela di un fondo di emergenza per la pandemia di COVID-19, con la scusa che il Presidente Nicolás Maduro “mancava di riconoscimento”. “L’impegno del FMI coi Paesi membri si basa sul riconoscimento ufficiale del governo da parte della comunità internazionale, come si riflette nell’appartenenza al FMI. Non c’è chiarezza sul riconoscimento in questo momento”, aveva detto in quel momento un portavoce dell’organizzazione bancaria internazionale, nonostante il fatto che circa 150 Paesi, tra cui la stragrande maggioranza degli Stati membri delle Nazioni Unite, riconoscano il governo di Maduro.
Nel secondo round dei colloqui in Messico tenutosi a Città del Messico all’inizio di settembre, il governo venezuelano e l’opposizione firmavano due accordi parziali. Nella dichiarazione congiunta resa pubblica al termine della trattativa si affermava: “Le parti concordavano meccanismi per il ripristino e l’ottenimento di risorse per soddisfare i bisogni sociali della popolazione, con particolare attenzione agli effetti della pandemia di COVID-19, compresi quelli da organizzazioni multilaterali a cui la Repubblica ha diritto di accedere”.
La dichiarazione includeva anche l’ordine del giorno del prossimo terzo round dei colloqui in Messico, previsto per la fine di settembre: “Le parti hanno convenuto che il primo punto di discussione nella prossima tornata si riferirà al ‘Rispetto dello Stato di diritto costituzionale.’ In particolare, si discuterà del sistema giudiziario e del rispetto del quadro istituzionale stabilito dalla Costituzione”.
“La discussione proseguirà anche sulla protezione dell’economia nazionale, le misure e i servizi sociali per il popolo venezuelano, compresa la discussione sui diritti speciali di prelievo del Venezuela, forniti a tal fine dal Fondo monetario internazionale (FMI)”.
Cosa significa questo aumento delle riserve internazionali?
Le riserve internazionali sono le attività finanziarie di un Paese investite all’estero dalla Banca centrale del Paese. L’attributo più grande di queste riserve è la liquidità, che da un lato sostiene la moneta nazionale e dall’altro consente di regolare le obbligazioni di pagamento fuori dal Paese. In questo senso, è comprensibile che più riserve internazionali ha un Paese, più possibilità ha di aggirare le variabili che incidono sul valore della valuta locale, rallentando così l’inflazione.
In una dichiarazione rilasciata l’11 settembre, il Partito Comunista del Venezuela (PCV) “si è opposto energicamente” al “Patto del Messico [che] ha fatto il primo passo per riportare il Venezuela alle istituzioni finanziarie del Washington Consensus”. “Sarebbe ingenuo pensare che queste forze [dietro il Fondo monetario internazionale] non approfitteranno [dell’allocazione dei beni] per imporre condizioni… che possono includere gravi conseguenze sui diritti dei lavoratori”, continuava la dichiarazione, riconoscendo la grave crisi dei fondi.
Molti “progressisti” in Venezuela denunciavano quella che chiamano alleanza del Presidente Maduro col capitale locale e internazionale. Tuttavia, tali settori si rifiutano di fare un’analisi dialettica del contesto reale della complessa realtà che il Venezuela affronta, sostengono molti analisti.
“Questi cosiddetti comunisti hanno giocato per contro dell’estrema destra e degli Stati Uniti, cercando di seminare divisione tra i ranghi chavisti”, osservava un analista politico consultato dall’Orinoco Tribune.
“Tuttavia, è difficile realizzare questa divisione per la chiara comunicazione tra vera leadership chavista e popolo che possono vedere chi presta veramente attenzione ai suoi problemi”.
“Criticare i colloqui in Messico, un approccio sovrano che l’amministrazione Maduro ha raggiunto, costringendo l’indebolita estrema destra anti-chavista ai negoziati dopo innumerevoli sconfitte, per cercare di salvare i beni dello Stato sequestrati all’estero e la revoca di sanzioni illegali, le critiche sono estremamente preoccupanti, per non dire altro”, aggiunse l’esperto, riferendosi alla posizione di PCV e Alternativa Rivoluzionaria Popolare (APR) che il PCV guida con altri partiti di “sinistra”.
“Avere un aumento dell’86% delle riserve internazionali”, notava l’analista, “senza firmare alcuna lettera di intesa col FMI, perché i DSP non lo richiedono, e quindi assicurarsi risorse per stabilizzare il mercato dei cambi e l’inflazione, è ciò che non può essere criticato in alcun modo. Se avviene, bisogna guardarli con attenzione, così come quelli che si oppongono a qualsiasi strategia sovrana per recuperare i beni venezuelani sequestrati all’estero o alle sanzioni illegali”, concluse.
Traduzione di Alessandro Lattanzio