Pochi giorni fa, il 18 settembre, si è concluso il “VI Vertice Celac 2021” sotto la presidenza ‘pro tempore’ del Messico. Tra i molti temi affrontati non sono mancati forti scontri verbali tra Cuba e Venezuela da una parte e Paraguay e Uruguay dall’altra. I quattro presidenti se le sono dette a viso aperto e la tensione nella sala era palpabile.
Prima del vertice ‘Celac’ (Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi) il presidente Andrés Manuel López Obrador “AMLO” aveva più volte dichiarato che uno dei punti da affrontare era quello di mettere in forte discussione la ‘OEA’ (Organización de los Estados Americanos) proponendo “un altro organismo di solidarietà regionale che sia veramente autonomo e non vassallo di qualcun altro”.
La Celac è stata fondata nel 2010 in Messico. Come il suo acronimo evidenzia, in essa non sono inclusi i due grandi stati del Nord America, Usa e Canada.
Questa ‘Comunità di Stati’ è “un meccanismo intergovernativo di dialogo e accordo politico che comprende permanentemente trentatré paesi dell’America Latina e dei Caraibi, e aspira ad essere una voce unica per un processo decisionale strutturato nella sfera politica e nella cooperazione a sostegno dei programmi di integrazione regionale”.
In questa organizzazione tutti gli Stati del Centro e Sud America provano a concordare un fronte comune su diverse tematiche di importanza globale, da affrontare nei vari incontri internazionali con gli altri paesi di diversi Continenti.
Sembra che la presidenza pro tempore del Messico, con il Presidente AMLO, abbia rafforzato il ruolo di questa “Comunità”, e la sua indipendenza dagli Stati Uniti, anche perché è venuta meno la credibilità della ‘OEA’ e del suo contestatissimo Segretario Generale Luis Almagro, ponendosi così come uno dei riferimenti più affidabili per affrontare gli attuali problemi del Continente latinoamericano e le future sfide che già sono all’orizzonte.
Per quanto riguarda la messa in discussione della OEA, il presidente messicano AMLO già aveva fatto dichiarazioni molto forti su di essa, affermando senza remora alcuna che questa era al servizio degli Stati Uniti, la cui “politica estera è predominante nel Continente americano, e Washington non ha mai smesso di condurre operazioni aperte o segrete contro i Paesi indipendenti a sud del Rio Grande”.
In effetti nel vertice Celac non sono mancate voci sia contro l’organizzazione presieduta da Luis Almagro che contro le politiche estere degli Usa. Come per esempio quella del presidente della Bolivia, Luis Arce, che ha dichiarato:
«Invece di agire secondo i mandati della Carta Democratica, la OEA agisce contro i principi della democrazia. La sua crescente ingerenza negli affari degli Stati non contribuisce alla soluzione pacifica delle controversie ma anzi le genera, è un obsoleto e organismo inefficace che non risponde alle esigenze dei nostri Stati e ai principi del multilateralismo».
Ricordo anche che l’ambasciatore di Bolivia presso la OEA ha manifestato l’intenzione di chiedere, nel prossimo vertice, la destituzione del Segretario Generale Luis Almagro a causa del collegamento di questa organizzazione con il colpo di Stato avvenuto nel Paese andino nel 2019.
Anche il ministro degli Esteri messicano, Marcelo Ebrard, si è spinto ad affermare che ormai bisogna dire “addio alla OEA nel suo senso interventista, di ingerenza e di egemonia; e che si faccia un’altra organizzazione, da costruire politicamente in accordo con gli Stati Uniti”.
Al ‘Vertice’ si sono affrontati molti temi e, come dichiarato dal Ministro degli Esteri messicano, Marcelo Ebrard, “dopo qualche mese di negoziazione si è firmato un accordo su un totale di 44 punti”, tra cui la creazione di un ‘Fondo Integrato’ per combattere gli effetti del cambiamento climatico; l’approvazione di “un piano di autosufficienza sanitaria regionale, per affrontare l’attuale diffusione del virus e per contrastare future pandemie”. Inoltre hanno fatto fronte comune nei confronti del Fondo Monetario Internazionale con l’intento di far ridurre gli enormi interessi sul debito.
Un altro importante punto si è raggiunto sulla richiesta di porre fine al blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba.
I membri del vertice hanno esortato il Congresso degli Stati Uniti a eliminare il blocco e hanno ribadito il loro rifiuto a misure economiche coercitive non supportate dal diritto internazionale, esortando il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a modificarne sostanzialmente l’applicazione, e al Congresso Usa a procedere alla sua eliminazione, poiché è contrario ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Legge Internazionale.
Appena due giorni prima, il 16 settembre, in occasione del discorso per la celebrazione dell’indipendenza del Messico, il Presidente AMLO aveva ancora una volta ripetuto le stesse parole pronunciate il passato luglio:
«Possiamo essere d’accordo o no con la Rivoluzione cubana o col suo governo, però aver resistito 62 anni, senza mai essersi fatta sottomettere, è veramente una bella impresa. Per questo credo che, per la sua lotta in difesa della sovranità del proprio Paese, il popolo di Cuba meriterebbe il Premio della Dignità.
Questa Isola deve essere considerata come una nuova “Numancia” per il suo esempio di resistenza [popolazione che nel 133 a.C. stoicamente resistette alle truppe della Repubblica di Roma. N.d.T.] e penso, che per questa stessa ragione, dovrebbe essere dichiarata Patrimonio dell’Umanità».
Nonostante questo al vertice non sono mancati duri scambi di accuse, partendo dalle parole usate dal Presidente Luis Lacalle (Uruguay) nei confronti di Cuba, Venezuela e Nicaragua, con le quali ha parlato di mancanza di democrazia e repressione che i loro governi metterebbero in pratica.
Ad esso si è aggiunto il Presidente Mario Abdo Benítez (Paraguay) affermando che il suo Paese non riconosce al “Signor Nicolás Maduro” la presidenza del Venezuela.
In una nota anche la Colombia si è fortemente espressa contro il riconoscimento del presidente venezuelano, affermando che “disconosce il potere di fatto che Nicolás Maduro esercita in Venezuela […] ed esprime il proprio rifiuto alla sua partecipazione al VI Vertice dei Capi di Stato e di Governo della Celac”.
È incredibile come i “vassalli” degli Stati Uniti (così li ha definiti il Presidente messicano AMLO) continuino a recitare un ruolo in commedia che ormai, per tutti, è diventata una farsa. Una farsa che però ha portato il Venezuela a gravissime conseguenze economiche e sociali per le tante violazioni del Diritto Internazionale che gli Usa e molti suoi fedeli alleati violano impunemente[1]; per non parlare di Cuba che è sotto assedio da più di sessanta anni.
Ovviamente, agli attacchi frontali, non sono mancate le dure risposte del presidente cubano Miguel Diaz-Canel e di quello venezuelano Nicolás Maduro; risposte che hanno prodotto controrepliche, facendo diventare il confronto uno scontro ad ‘armi bianche’.
Vale la pena portare a conoscenza quel che si sono detti pubblicando la traduzione dei rispettivi interventi, ma lo farò in un altro articolo che seguirà a breve, altrimenti il medesimo diventerebbe infinito.
Continua…
[1] Articolo sul Venezuela di Nicolás Maduro e le negative conseguenze per il Paese dopo il suo disconoscimento come legittimo Presidente: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_la_giravolta_degli_usa_ue_e_canada_maduro_diventa_interlocuto
Cuba e Venezuela contro gli attacchi ‘telecomandati’ di Paraguay e Uruguay
In questo articolo riporto il duro scontro che c’è stato tra i quattro presidenti di Uruguay, Cuba, Venezuela e Paraguay, che avevo lasciato in sospeso nell’articolo precedente.
Sembrava strano che al ‘Vertice Celac’, tra trentatré rappresentanti di diversi Stati latinoamericani e caraibici (nella Celac non fanno parte Usa e Canada), non ci fosse qualcuno che interpretasse il ruolo tanto atteso dagli Stati Uniti. Gli attori principali che, ben recitando, hanno aperto la scena, sono stati i presidenti del Paraguay e dell’Uruguay. Il primo non riconoscendo Maduro come Presidente del Venezuela (lo stesso ha fatto la Colombia con un comunicato); il secondo esprimendo durissimi giudizi sulla mancanza di democrazia che, secondo lui, Cuba, Venezuela e Nicaragua impongono al loro popolo.
Dopo che la ‘OEA’ (Organización de los Estados Americanos) e il suo Segretario Generale Luis Almagro erano stati messi in forte discussione dalla presidenza pro tempore del Messico, il presidente uruguaiano, Luis Lacalle Pou, interviene dicendo che la presenza del suo Paese in questo vertice è per avere la possibilità di confrontarsi con altri Stati dell’America Latina e dei Caraibi ma, al tempo stesso, non rinuncia a spendere due parole in difesa di quella organizzazione tanto amata dagli Stati Uniti, la OEA. Forse ha pensato che non fosse sufficiente solo questo per gratificare il Paese nordamericano, e allora ha sferrato anche un inatteso attacco ai tre Paesi del Continente americano più odiati dagli Stati Uniti, che sono Cuba, Venezuela e Nicaragua.
Non mi prolungo con altre mie personali considerazioni e propongo subito i vari interventi del duro scontro tra i quattro presidenti.
Il Presidente Lacalle prende la parola:
«Questo non significa che partecipare alla ‘Celac’ faccia cadere la nostra adesione alla OEA, vogliamo essere ben chiari al riguardo.
I governi di molti “organismi” sono criticabili e si possono cambiare ma non si può svalutare l’”organismo” in sé.
Condividiamo le parole del Presidente AMLO sull’autodeterminazione e il ‘non-interventismo’, però uno degli elementi che promuove la ‘Celac’ è la democrazia, e la democrazia è il miglior sistema per gli individui per essere liberi; e per questo, signor Presidente, partecipare al vertice non significa essere compiacenti. Con il rispetto dovuto, quando uno vede che in alcuni Paesi non c’è una democrazia piena, quando non si rispetta la separazione dei Poteri, quando nel Potere si usa l’apparato repressivo per mettere a tacere le proteste, quando si incarcerano gli oppositori, quando non si rispettano i diritti umani, noi, con questa voce tranquilla, però ferma, dobbiamo dire, con preoccupazione, quello che gravemente vediamo accadere a Cuba, Nicaragua e Venezuela».
A questo punto il presidente cubano Miguel Diaz-Canel chiede di poter rispondere alle accuse:
«Il riferimento a Cuba che ha fatto il Presidente Lacalle denota la mancanza di conoscenza della realtà. Il coraggio e la libertà del popolo cubano si sono dimostrati per sei decadi difronte all’aggressione e al ‘Blocco’ degli Stati Uniti, ostacolo fondamentale al nostro sviluppo, al quale il Presidente Lacalle non ha fatto menzione.
La ascolti Lei la sua gente, che ha raccolto più di 700mila firme contro la legge che ha gli imposto, che ha cambiato le condizioni per adeguare i prezzi del carburante; sugli sfratti; che riduce il ruolo delle aziende pubbliche e modifica il processo penale. Un pacchetto neoliberista o, meglio dire, un bel “pacco”.
Con il neoliberismo si sono moltiplicate le instabilità; la speculazione; il debito estero; lo scambio ineguale; la tendenza a più frequenti crisi finanziarie; la povertà; la disuguaglianza; e si è creato un abisso tra il Nord opulento e il Sud diseredato.
Ora parlo della ‘OEA’, che è un’istituzione al servizio degli Stati Uniti. Questa ha sostenuto i tentativi per isolare Cuba; gli interventi militari in America Latina e nei Caraibi; vari colpi di Stato; le dittature militari, incluso quella del suo Paese.
Gli Stati Uniti l’hanno progettata per contenere la resistenza dei popoli della nostra America. La OEA ha taciuto mentre nella nostra ‘Regione’ si torturava, e questo anche nel suo Paese. La OEA è quella che oggi tace quando vengono repressi, assassinati e fatti sparire i latinoamericani. E non è a Cuba che accadono questi eventi.
È la OEA che ha un impresentabile Segretario Generale [Luis Almagro] che ha contribuito, partecipato e sostenuto il colpo di Stato del 2019 contro il governo di Bolivia.
Il neoliberismo, il ‘monroismo’ [la dottrina Monroe] e questa OEA, è tutto ciò che Lei ha appena difeso».
Ma il duro “confronto” tra i due presidenti non si ferma con la risposta del cubano Miguel Diaz-Canel, perché il Presidente Lacalle chiede addirittura una controreplica, alimentando ancor di più lo scontro già molto duro:
«Il Presidente di Cuba utilizza argomenti in riferimento alla mia nazione che ovviamente non condivido e non sono veri. Invece sì che c’è qualcosa di vero, ed è quello che nel mio Paese, per fortuna, l’opposizione può raccogliere firme. Nel mio Paese, per fortuna, l’opposizione ha una possibilità democratica per protestare. Questa è la gran differenza con il regime cubano.
E voglio citare una bella canzone [Patria y Vida], la quale chi la canta si sente oppresso dal suo governo:
“Che non continui a scorrere il sangue per voler pensare differente. Chi vi ha detto che Cuba è vostra, se la mia Cuba è di tutta la mia gente”.»
Su come e sul perché è stato realizzato il brano ‘Patria y Vida’ (fatto diventare artificiosamente “inno” delle proteste dell’11 luglio a Cuba) e su chi sono gli artisti che lo cantano, ci ho dedicato un intero articolo[1].
Tornando alle reiterate accuse del Presidente Lacalle – nonostante il coordinatore del vertice volesse porre fine a questo scontro – il Presidente Miguel Diaz-Canel è riuscito comunque a controbattere, perché, sue parole, “non si possono lasciare in sospeso cose senza chiarirle”:
«Sembra che il Presidente Lacalle abbia un pessimo gusto musicale. Questa canzone [Patria y Vida] rappresenta una totale falsità e una montatura di alcuni artisti contro la rivoluzione cubana.
Noi, come cubani, quello che vogliamo, è difendere un’America Latina che può aiutarci ad affrontare le tremende sfide che ci aspettano, ciò significa le crisi economiche sempre più frequenti e altre inaspettate, come la terribile pandemia che oggi tiene tutti i governi e i popoli del mondo sotto pressione, senza distinzione ideologica o politica.
Se il Presidente Lacalle vuole discutere con noi di alcuni temi, gli chiediamo che trovi un luogo adeguato per questo, e lì possiamo discutere faccia a faccia, senza dover portare argomenti che dovrebbero stare in una agenda bilaterale tra i due Paesi e non qui al vertice Celac, dove tutti noi promuoviamo e sosteniamo l’unità.»[2]
L’altro presidente che ha sollevato polemiche (e gli Stati Uniti ringraziano), è stato il paraguaiano Mario Abdo Benítez che, vedendo Maduro al Vertice Celac – cosa non scontata – ha voluto palesare il suo disconoscimento al suo ruolo di Presidente del Venezuela che, al contrario, la presidenza della Celac gli riconosce, avendolo invitato come Capo di Stato.
Per rendere pubblica la sua contrarietà ha usato le seguenti parole:
«Signor Presidente degli ‘Stati Uniti Messicani’, o Andrés Manuel López Obrador, la mia presenza in questo vertice, in nessun senso e circostanza, rappresenta un riconoscimento al governo del Signor Nicolás Maduro. Su questo non c’è nessun cambio di posizione da parte del mio governo, e credo che sia da ‘Signori’ dirlo in ‘faccia’.»[3]
Prima di passare alla risposta di Nicolás Maduro ricordo che fino all’ultimo momento non c’era stata nessuna conferma della sua presenza al Vertice Celac. Doveva essere un suo ministro a presenziare ma, poche ore prima, è arrivato di sorpresa.
Questo è dovuto per prevenire che si diffondano informazione sui suoi spostamenti all’estero, dato che gli Stati Uniti lo vogliono formalmente arrestare con la ridicola accusa di “narco-terrorismo” e hanno offerto una ricompensa per chi collabora al suo arresto (una volta la chiamavano ‘taglia’).
Così apriva un suo articolo la «BBC NEWS» il 26 marzo 2020: “È ricercato Nicolás Maduro Moros. Ricompensa, 15 milioni di dollari”.
Mancava solo il volantino con la scritta “WANTED”.
ll Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha ricordato che tutto questo è ancora in essere proprio in occasione della sua presenza al ‘vertice Celac’.
Come avrete notato, nel suo intervento, il paraguaiano Mario Abdo Benítez non ha usato l’appellativo ‘Presidente’ per nominare Maduro, ma l’ha chiamato “il Signor Nicolás Maduro”, sottolineando così il suo disconoscimento per la carica che, legittimamente, ricopre in Venezuela.
Quando per il suo intervento prende la parola il Presidente del Venezuela, risponde anche ai due presidenti che lo avevano “provocato”:
«Noi crediamo profondamente nel dialogo e nella diversità, e dico al Presidente del Paraguay: Decida Lei il luogo, la data e l’ora per un dibattito sulla ‘Democrazia’. In Paraguay, in Venezuela e in America Latina, siamo pronti ad affrontarlo. Decida Lei il luogo.
Aggiungo dell’altro, decidete voi il luogo, e il Venezuela è pronto a dibattere di democrazia, di libertà, di resistenza, di rivoluzione, di neoliberalismo, e di tutto quello che ci sarà da dibattere. Lo faremo davanti al popolo, in una trasmissione in diretta; o in privato, come Voi volete.
Mi è piaciuta molto una frase che ha detto uno dei presenti. Non dirò chi è, altrimenti i media del suo Paese lo ‘massacreranno’ almeno per un mese solo per essere stato citato in positivo da Maduro.
È uno dei presidenti qui presenti, e ha detto: “Non dobbiamo costruire club ideologici, non dobbiamo ideologizzare la politica internazionale”.
Io questo l’avevo già appreso come Ministro degli Esteri, e sapete chi me lo insegnò? Hugo Chávez: “La politica Internazionale deve stare al sevizio del ‘Diritto Internazionale’, dei grandi interessi che necessita l’umanità, dei grandi interessi della nostra Regione”.
Dobbiamo voltare pagina della divisione che si è introdotta in America Latina attaccando la rivoluzione bolivariana; fine all’incessante attacco alla rivoluzione cubana e poi a quella nicaraguense. Questa non è la via da seguire.
Avremmo abbastanza pietre da tirare contro alcuni di Voi; ma non siamo venuti qui per tirare pietre, siamo venuti qui a tendere la mano, per il lavoro, per il dialogo, per l’unità, e perché il tutto sià un grande successo.
Presidente dobbiamo metterci in azione. Tutti i presenti siamo Capi di Stato e viviamo nell’angoscia permanente del “che fare” per salvare la nostra gente, per dare attenzione ai nostri popoli…».
Concludo la raccolta di questi significativi scontri, da me tradotti, segnalando nelle note i vari video dove i quattro presidenti si lanciano in reciproche accuse.
[1] Articolo su come e sul perché è stato creato il brano ‘Patria y Vida’: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-quello_che_i_media_non_dicono_su_cuba_e_il_rap_anticomunista_patria_y_vida/5694_42275/
[2] video dell’intero “scontro” tra il presidente cubano e quello uruguaiano. Non posso non far notare la musica dolce e soave messa sotto l’intervento del Presidente Lacalle (beatificandolo), a differenza di quella usata per il Presidente Diaz-Canel: https://www.youtube.com/watch?v=uAfZrFaD3RY
[3] Video del presidente del Paraguay, Mario Abdo Benítez, che disconosce la presidenza di Maduro: https://www.youtube.com/watch?v=kCkof1TkfPY
[4] Nella prima metà del video la risposta del Presidente Nicolás Maduro ai due presidenti di Paraguay e Uruguay: https://www.youtube.com/watch?v=HzF72LcXfFU
Cuba, ex ambasciatore uruguaiano si vergogna del suo Presidente
Roberto Cursi
Avevo appena finito di scrivere l’articolo sul duro scontro che c’è stato al ‘Vertice Celac’, in particolar modo tra il Presidente Luis Lacalle (Uruguay) e il Presidente Miguel Canel-Diaz (Cuba), che sul sito dell’agenzia ‘Sputik’ (Sputnik Mondo) leggo che l’ex ambasciatore dell’Uruguay a Cuba, Eduardo Lorier, ha scritto un post di condanna su Facebook per le parole usate contro Cuba dal presidente del suo Paese.
Questa iniziativa in solidarietà con l’Isola caraibica, di cui si è fatto portavoce l’ex ambasciatore, mi ha fatto venire in mente la triste storia alla quale è stato sottomesso l’Ambasciatore UE a L’Avana, Alberto Navarro, solo per aver firmato, insieme ad altre 800 persone, una carta indirizzata a Joe Biden dove si chiedeva la fine del ‘Blocco’ contro Cuba.
Anche il post su Facebook dell’ex ambasciatore uruguaiano, Eduardo Lorier, non è stato fatto a titolo personale, ma a nome della comunità uruguaiana residente nell’Isola caraibica, la quale, tutta, si è vergognata delle parole dette dal loro Presidente Luis Lacalle.
Nel breve testo che riporta l’agenzia ‘Sputnik’, viene pubblicato anche il post:
«Gli/le uruguaiani/ne residenti a Cuba esprimiamo il nostro rifiuto e la nostra condanna difronte ai modi di evidente ingerenza del Presidente Luis Lacalle, manifestati nella Conferenza della Celac recentemente conclusa.
Le maleducate e false accuse fatte da lui in quel contesto ci fanno vergognare.
Ci indignano per la mancanza di rispetto verso un popolo e il suo governo che ci ha accolto come figli.
Noi affermiamo di godere di Diritti che molti esseri umani nel mondo vorrebbero avere.
Sappiamo che non ha parlato a nome del popolo uruguaiano, che è amico e fratello del popolo cubano.
Esprimiamo verso Cuba il nostro continuo rispetto e gratitudine.»
È invece ben diversa la storia (forse già nota perché avvenuta lo scorso febbraio) dell’Ambasciatore dell’Unione Europea a Cuba, lo spagnolo Alberto Navarro, che è rimasto in carica nella capitale cubana fino alla fine del suo mandato, scaduto il 31 agosto 2021, e che la UE ha deciso non rinnovargli.
Navarro era salito alle cronache a fine febbraio perché, insieme ad altre 800 persone, aveva firmato una carta inviata al nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in cui si chiedeva di revocare il ‘blocco’ all’Isola e di non interferire negli affari interni a Cuba.
Oltre a questa “lesa maestà” si era permesso altre due “gravissime” iniziative. Nella prima aveva rilasciato una intervista dove affermava che “Cuba non è una dittatura” e dato che “non ci sono società perfette […] noi non vogliamo dare lezioni al resto del mondo”.
Questa intervista l’aveva rilasciata al quotidiano online, cosiddetto indipendente, “Cubanet”, il quale è una tra le tante testate cubane online finanziate da Washington per propagandare nel mondo una immagine di Cuba molto diversa dalla realtà.
Si pensi che ogni anno il budget che la Casa Bianca dedica soltanto a questa testata, che è in prima fila a sostenere il blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba, è di ben 225.000 dollari.
L’altro “gravissimo” passo falso dell’Ambasciatore Navarro è stato quello di elogiare la cooperazione medica cubana in Europa per affrontare la pandemia del Covid-19. Una delle sue frasi incriminate è stata quella in cui dice che: “Quando la pandemia passerà, una delle tracce che rimarrà è questo esempio di solidarietà che sta dando Cuba”.
Solo per le cose che ho appena riportato, nei suoi confronti si è scatenata una campagna politico-mediatica di discredito, una vera e propria ‘gogna’, tanto che alla fine si è sentito obbligato a dover chiedere scusa e ritrattare le cose dette.
Contro di lui si sono mossi tutti i gruppi, dal centro alla destra, del Parlamento Europeo, chiedendone le dimissioni. A quel punto, l’Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, si è sentito in obbligo di convocare l’ambasciatore Navarro a Bruxelles e chiedergli spiegazioni del perché la sua firma era in quella carta indirizzata al presidente degli Stati Uniti, Jose Biden, il quale non aveva affatto gradito il gesto.
Con un minimo di comprensione, e soprattutto per evitarsi un grande imbarazzo, Josep Borrel non ha ritenuto opportuno chiedergliele le dimissioni, soprattutto perché la contraddizione sarebbe stata enorme: L’Unione Europea, in sede ONU, vota all’unanimità la condanna al ‘Blocco’ contro Cuba imposto dagli Stati Uniti, lo stesso Josep Borrel dichiara pubblicamente che gli Usa dovrebbero toglierlo, e poi, agli occhi del mondo, fa dimettere il suo ambasciatore solo per aver firmato una lettera insieme ad altre 800 persone? Anche lui avrà pensato che a tutto c’è un limite.
In questo video di «Cubainformacion TV», con sottotitoli in italiano, si riassume molto bene questa storia e si capisce ancora una volta come funziona la solita campagna politico-mediatica contro Cuba.
Per chiudere in bellezza, come già detto, non gli è stata rinnovata la nomina da ambasciatore a L’Avana, anche se continuerà ad avere relazioni diplomatiche con le autorità cubane, e al suo posto è stata nominata Isabel Brilhante Pedrosa.
Concludo, spiegando in poche righe, quanta considerazione abbia l’Unione Europea nel mantenere “buone relazioni” diplomatiche nei confronti di Cuba.
Prima di questo incarico a L’Avana, Isabel Brilhante Pedrosa, dal 27 maggio 2017 è stata ambasciatrice UE in Venezuela. Come più fonti riportano “nel giugno 2020, il governo venezuelano ha annunciato la sua espulsione in risposta alle nuove sanzioni da parte dell’Unione Europea contro gli alti dirigenti dell’amministrazione venezuelana. La decisione di espellerla è stata poi revocata dal Governo Maduro.
Visto che la posizione dell’UE, e della stessa ambasciatrice Brilhante Pedrosa, continuavano ad essere molto rigide nei confronti del Venezuela, il 24 febbraio 2021, in risposta ad ulteriori sanzioni, fu nominata persona non grata e gli furono date 72 ore per lasciare il Paese, anche se lei se la prese un po’ comoda e se ne andò dopo una settimana.
Come tutti sanno tra Cuba e Venezuela c’è un forte legame politico, e la nomina di Isabel Brilhante Pedrosa come ambasciatrice nell’Isola caraibica è sicuramente la scelta migliore che si potesse fare. Si, forse per gli Stati Uniti.