Il Che, nella realizzazione dell’utopia

José LLamos Camejo

Caracas, Venezuela – Se la raffica a bruciapelo pretese di lasciarlo senza vita a La Higuera, per resuscitarlo servì solo un secondo : quello che seguì all’assassinio esecrabile.

Se fosse stato morto davvero –possibilità improbabile –  il Che rimase così solo per una micro frazione  di tempo.  L’ondata dei giorni c’impregna di questa verità che ribolle come un oceano in questo mondo dispari.


Non serve resurrezione per chi non è mai defunto, anche se nei suoi più recenti 54 anni vive in una maniera diversa, trasformato, come aveva avvertito Raúl Roa, «in simbolo attivo e dirigente»

«Che Guevara è una coscienza, uno spirito reincarnato nelle  gioventù», persuade  Elaine Gómez Núñez, d Santa Clara .
Conosciute le sue vicissitudini per  mezzo lustro in Venezuela, sarebbe fuori luogo chiedre perhè alla giovane di 31 anni otto dedicati all’odontoiatria.

Al suo fianco, Raciel Pérez Capote, assesaore del progetto Salus Bucal, cheforma parte della missione Barrio Adentro, riassume in 172252000 il totale delle visite e dei servizi di questa specialità offerti a quelli che in maniera gratuita hanno avuto accesso, «la gente umile di qui», nei 18 anni del programma  Elaine Gómez vede il loro apporto come appena «una particella». La  sua storia è quella di centinaia di migliaia di compatrioti che in meno di sei decenni, con il gessetto e il cancellino, lo stetoscopio o la pinza chirurgica o con i fucili quando sono stati necessari, hanno lasciato tracce di fraternità nelle più diverse latitudini.

Di poltrone mobili in qualsiasi angolo di una comunità, di peripezie zaino in spalla con strumenti di odontoiatria, per le labirintiche colline di Caracas , ricorda le sue traversie a volte rischiose.

In alcune occasioni ha persino avuto paura, dice, ma «non mi sono fermata  nè mi fermerò ; si tratta della Salute e di allungare la vita della gente povera, dimenticata, prima del  Venezuela Bolivariano».

Menziona Che Guevara nel suo dialogo; sorride con l’episodio del medico Argentino-cubano, che, per assistere i poveri de Ñancahuazú, divenne famoso come  Fernando Strappamolari  in quell’ambiente selvatico.

«Era così l’anima del  Guerrigliero Eroico, e così è la nostra», sottolinea.

Nel  suo racconto e nel lavoro dei suoi compatrioti, qui e in altre terre del mondo, palpita l’anima umanista di chi ancora sostiene con Fidel, l’utopia di un futuro più giusto.

Per questo volevano uccidere il Che, perchè lui, parte ed essenza di questo futuro è sopravvissuto alla raffica assassina contro il suo petto, a La Higuera.


L’eredità del Che

 

Quale posizione avrebbe preso il Che se avesse vissuto questa fase complessa e impegnativa della Rivoluzione? Alcuni hanno segnalato possibili discrepanze tra il pensiero dell’internazionalista argentino e la pratica del processo al quale ha dedicato buona parte dei suoi sforzi e delle sue aspirazioni.

I principi più elementari della dialettica vengono ignorati.

Il pensiero di Ernesto Guevara e la sua stessa performance devono essere compresi in relazione diretta al suo contesto, al suo tempo. Le circostanze sono diverse. Un’altra epoca. Ma una cosa è chiara: il Che avrebbe agito con l’onestà e la coerenza che un ideale impone, e dall’etica che presuppone.

Sarebbe anche partito dalla consapevolezza dell’utilità del servizio pubblico. E si impegnerebbe in un dibattito fruttuoso, che è essenziale nella costruzione di un socialismo emancipatore.

Alcuni sostengono l’immagine del Che come il blasone dell’utopia eterna. O del sogno irraggiungibile. O di ribellione senza causa. Certamente, il Che si adatta all’idea a volte superata dell’eroe romantico. Ma è sempre stato un uomo con i piedi per terra. Ed era convinto che non stava arando nel mare. Ernesto Guevara aveva un progetto.

Ci potrebbe essere (e c’è) un dibattito sul potenziale di realizzazione di quel progetto. La rivoluzione cubana è stata, infatti, la materializzazione di molte di queste idee. Era un laboratorio. E lo stesso Che era convinto della complessità di molti di questi sforzi. Supporre che la sua partenza da Cuba fosse dovuta al fallimento della sua visione è ridurre la portata della sua proiezione politica.

Il Che era un internazionalista. Ed era convinto della necessità di internazionalizzare la Rivoluzione. Era fermamente radicato nel concetto di uomo nuovo, che implicava necessariamente un rinnovamento radicale della società. Ha capito che la via praticabile era la lotta armata. Altri (condividendo molti dei suoi ideali) hanno difeso (e difendono) altre alternative. Ma considerare il Che un avventuriero è a dir poco ingenuo.

La principale eredità di Ernesto Guevara, al di là della validità della sua eredità intellettuale, è il suo attaccamento a un ideale, inerente alle richieste e alle aspirazioni dei più umili e svantaggiati. L’utilità della virtù a cui si riferiva José Martí. Il Che ha ancora molto da insegnare, per quanto alcuni vogliano ridurlo a un semplice marchio commerciale.

Fonte: CubaSi

Traduzione: italiacuba.it

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