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José Ramón Cabañas Rodríguez www.cubadebate.cu
Parole di presentazione del libro ‘Las flautas de Hamelin’. Una battaglia su Internet per la mente dei cubani, di Javier Gómez Sánchez.
Sono grato per l’invito dell’autore, dell’Editora Abril e della Biblioteca Nazionale, che è un tempio del sapere a Cuba. Per me è realmente un onore e motivo di festa partecipare alla presentazione di questo libro per una serie di motivi:
In primo luogo, ho 60 anni e stiamo parlando di un autore di 37, con un’opera fatta, che ha avuto la lucidità di intitolare il suo primo blog Sopa de Cabilla e che, in questo testo, ringrazia i suoi nemici per avergli dato l’opportunità di conoscere meglio la Rivoluzione.
In secondo perché l’autore ha scritto con l’agitazione nel petto e la maturità tipica di chi ha vissuto di più, e che è stato presente a vicende della vita di questo paese che lui ha solo conosciuto attraverso l’educazione della sua famiglia e della scuola.
In terzo, perché difende ciò che è suo e di tutti noi, con le sue bellezze e le imperfezioni, e ci ispira a lottare per esso, non solo avvisandoci del pericolo, ma anche proponendo soluzioni.
Mi rendo conto che l’autore è essenzialmente un provocatore di segno positivo, come dovrebbe cercare di esserlo chiunque scriva per il grande pubblico. Sono certo che più che elogi da parte dei lettori si aspetta reazioni contrarie e persino critiche a quanto scritto, per costruire insieme una verità. La nostra verità.
A coloro che non ha ancora avuto la fortuna di leggere questo libro va detto che, in realtà, stiamo presentando due testi, poiché quasi hanno tanto valore e lunghezza il corpo di ogni articolo come quello delle note che lo accompagnano. L’altra cosa che dovrebbero sapere che devono leggere con abiti leggeri ed in un luogo ventilato, perché suderete.
Confesso che mi sento identificato con l’espressione di pianificare certe cose da solo, come dice Javier che è successo a compagni intimi come Iroel Sánchez o Enrique Ubieta. Nella vita di un diplomatico questo accade tante volte, a cui si aggiunge essere lontanai dalla patria e l’enorme peso di dire: “Lo esprimerò benché io sia totalmente in errare”. Nella maggior parte delle volte l’idea, se è stata giusta, ha potuto dal fondo di una grotta più di un intero esercito, altre volte non tanto, a volte si è ritardato il suo riconoscimento e in alcune altre l’idea non era né buona, né equa. Ma deve prevalere la volontà di dire e di sostanziare ciò che si dice.
Devo chiarire, per rispetto di quella che è stata la mia principale responsabilità fino ad oggi, quello che il testo menziona come “moderazione diplomatica” non è in alcun modo in contrasto con l’esercizio di un’intensa lotta politica e ideologica. Inoltre, il diplomatico cubano deve trovare un equilibrio tra le due, ogni giorno con le sue notti. In particolare riguardo agli USA, sarà così per il resto della nostra esistenza come Nazione. Ci sarà un esercizio ufficiale in cui gli interessi reciproci potranno o meno avanzare nel più stretto rispetto e reciprocità e, come sfondo, ci sarà sempre la difesa della nostra sovranità ed identità.
A proposito, ogni volta che parliamo degli USA, dobbiamo ricordare la differenza tra lo Stato che ha cercato la nostra distruzione e un vasto popolo che ha dimostrato segni di civiltà e persino di solidarietà con Cuba.
I testi proposti dall’autore e da Editora Abril in un unico volume si svolgono come la stesura di un diario personale in tempi di singolari cambiamenti per Cuba, in particolare, la scomparsa fisica del suo dirigente indiscusso per 55 anni. Questo documento cerca e riesce in gran parte a ricordarci che abbiamo un’enorme eredità del pensiero di Fidel Castro che sarà sempre disponibile ogni volta che pensiamo di trovarci di fronte a un ostacolo insormontabile. Dobbiamo solo conoscerlo, studiarlo e appropriarcene, non emularlo né ripetere meccanicamente frasi.
Inoltre, abbiamo vissuto come società e, in pochi anni, la brutale transizione tra gli estremi nelle relazioni con gli USA: La gestione della distruzione della Rivoluzione Cubana mediante l’approccio in diversi campi e ottenere lo stesso obiettivo attraverso la più brutale pressione che si sia potuto mai esercitare.
A proposito, per quanto riguarda i riferimenti a Obama e il suo invito ai cubani a dimenticare la storia, durante il suo discorso al Teatro Alicia Alonso, desidero annotare che al suo ritorno a Washington, nel giugno stesso 2016, ha tenuto il discorso principale alla cerimonia di laurea della Howard Università d’iscrizione prevalentemente afronordamericana. Lì ha detto, riferendosi alla schiavitù, che non avevano il diritto di dimenticare quel flagello. Niente, che gli statunitensi siano educati ad avere una memoria selettiva.
A tutte le sfide sopra descritte si è aggiunto il passaggio generazionale nella direzione del paese, fatto davanti al quale i nemici di Cuba si sono preparati per anni per criticare assolutamente tutto ciò che accadesse dopo, con qualsiasi mezzo e senza rispettare alcuna regola. La controrivoluzione ha sempre saputo di non avere opzioni di successo di fronte alla leadership di Fidel e Raúl. Hanno visto l’arrivo di Díaz-Canel e di altri funzionari con la stessa brillantezza negli occhi che la scomparsa del campo socialista negli anni ’90 del secolo scorso.
C’è forse un altro elemento importante di questi tempi e che compare in quasi tutte le pagine del testo: Cuba è passata dall’essere uno dei paesi con la più bassa penetrazione di Internet ad avere un’esposizione abbastanza massiccia delle reti sociali e dell’uso dei cellulari. E tutto questo senza una preparazione come società per resistere all’assalto del nuovo, che era inoltre aggressivo, ma che si presentava come una panacea agli occhi di migliaia di giovani.
Ancora oggi solo una piccola parte della nostra popolazione sa che l’origine di Internet è militare, così come la maggior parte dei recenti aggeggi in questo campo. Altri ignorano che tutte le società civili che hanno beneficiato di questi progressi, per sfruttarli commercialmente, hanno un accordo con i loro creatori militari per condividere informazioni e consentire loro l’accesso a dati personali e istituzionali che possono essere di sicurezza nazionale. Molti cubani ancora oggi entrano in ciò che considerano i loro spazi virtuali con innocenza di consumo, con passività e persino con nudità, senza coscienza che ogni commento, manifestazione di interesse, o un semplice clic vanno costruendo una biografia dettagliata di ognuno di noi, in un miniera di dati che si utilizzerà per una varietà di scopi, oggi o domani.
L’autore ci ricorda l’inevitabile dell’evento, ma anche l’errore che si commette se non ci prepariamo adeguatamente e non ci articoliamo per farlo meglio, difendere le nostre verità, portarle ovunque con codici diversi e, ancor più, riprodurre noi stessi come società e come sistema. Il capitalismo lo fa ogni giorno per meschini scopi, non ha bisogno di incontri di coordinamento, né di piani estesi e dettagliati. Il socialismo cubano deve presentarsi, in ogni momento, come l’opzione per il presente e per il futuro, per ciascuno dei settori sociali e d’età, in modo tangibile e rinnovato.
Rifiutiamo per natura la parola vendere nel lavoro politico, ed è giusto, ma si tratta proprio che, ogni giorno, ognuno di noi si chiede – in quello che fa – come il prossimo possa acquisire o condividere un’idea affinché la nostra società sia migliore. Dobbiamo chiederci come riusciamo a far sì che l’altro assuma quel progetto di società che abbiamo immaginato insieme, conoscendo i suoi pregi e difetti, i suoi limiti di oggi, i suoi obiettivi di domani, e metta l’anima per realizzarlo.
Per qualche tempo e per vari motivi non abbiamo osservato che il mondo e Cuba cambiano ogni secondo e che, se non riusciamo a catturare e ad attirare l’attenzione dei nostri in modo creativo, altri lo faranno. Questo accade a casa, a scuola, sul posto di lavoro, in un comune o provincia. Dobbiamo pensare, ogni giorno, a come ci riproduciamo come società e in questo la comunicazione sociale è fondamentale, non è sulle rive osservando, perché siamo già in un mondo in cui è una componente essenziale. Non c’è marcia indietro.
C’è un altro elemento molto importante nel percorso di avvertenze che ci fa Javier. In un recente articolo ho scritto “gli agnelli di oggi sono figli dei lupi di ieri”, riferendomi a coloro che assumono una veste pseudo-intellettuale per coprire scopi identici a quelli dei terroristi di ieri, costretti a trasmutare dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, ma che non nascondono l’ambizione di distruggere tutto ciò che è stato costruito a Cuba da 60 anni, cambiare i libri di storia e non lasciare in piedi alcun simbolo di resistenza. Questi individui pretendono solo aprire le mura di Troia, per l’ingresso del famoso cavallo, sapendo qual è il suo contenuto.
L’autore ci racconta in dettaglio su coloro che puntano, da un nome insignificante nelle reti, per lanciare frecce avvelenate, coloro che ricevono finanziamenti per questa azione, sebbene giurino, più e più volte, di essere “indipendenti”, a coloro che sono disposti a cambiare l’intera gloria che ha vissuto, e che si vive, per qualcosa di materiale che permetta loro di vantarsi, o di somigliare di più ai loro maneggiatori.
Non c’è dubbio che, dall’estero, si continueranno a moltiplicare le ricette per Cuba, stili di vita alternativi, specchietti in cambio di oro, come hanno fatto con i nostri aborigeni. Questa pratica ha già avuto un effetto sulla nostra società e ha trovato miglior pastura in tempi di nuove difficoltà economiche. C’è un solo rimedio a questa sfida: che la nostra opera sia così immensa e costruita su una così grande unità sociale che l’intento dei nemici si sintetizzi nella frase cubana “non si può abbattere il Morro a pietrate”.
In modo naturale, l’autore propone una riflessione di fronte a ciò che sta accadendo, ma non è in alcun modo un ripiego d’autocritica così prolungato da ritirarci dal fronte di battaglia, da farci perdere l’iniziativa, e da portarci a cercare il perfetto per scartare il bene.
Ricopiamo come nostra la frase che si può leggere nel libro: “La pseudo-rivoluzione è sempre socialmente redditizia, finanziariamente redditizia, comodamente redditizia, che non è mai moralmente redditizia”
Ugualmente ci fa piacere leggere: “La pseudo-rivoluzione non ha obiettivi – è incapace di averli – ma ha effetti su chi la esercita, racchiudendoli tra le quattro mura che a Cuba nel secondo decennio degli anni 2000 sono stati i loro assi tematici, che in realtà sono limitazioni tematiche. Detto colloquialmente:
La cantilena del dogma.
L’insistenza del generazionale.
L’insofferenza del consenso.
La stupidità dell’eresia”.
Alcuni di questi termini sono stati riscattati dal linguaggio neo e pseudo-rivoluzionario -che ha cercato di capitalizzarli- dal vero senso critico della Rivoluzione.
Sinceramente credo che nel volume che presentiamo vi siano ragionamenti di indiscutibile trascendenza: “L’obiettivo di un dibattito rivoluzionario è cercare la trasformazione della realtà che descrive. Si nutre della critica rivoluzionaria, che consiste nel convertire l’opinione in utilità. È un tipo di dibattito che include sia le insoddisfazioni che lo causano, sia il quadro istituzionale con il quale possono essere raggiunte le soluzioni che propone. Lo pseudo-dibattito, privo di questi obiettivi, è ripetitivo nella sua espressione, scarso nelle sue tematiche, superficiale nella sua analisi, ingenuo nelle sue proposte e nullo nella sua possibilità”.
Se siamo onesti, dobbiamo accettare che forse siamo stati in più di una riunione di gruppo che ha percorso quelle strade e abbiamo convissuto con il peccato, ma abbiamo ancora la possibilità di essere assolti.
Le proposte che Javier ci fa in questa compilazione si concludono nel mezzo dei processi di reversione generati sotto il governo di Donald Trump. E mi riferisco sia ai processi interni degli USA sia il suo rapporto con il mondo. L’autore ci prospetta e presenta la domanda su cosa dovremmo aspettarci dopo.
Il nostro commento: È molto difficile fare previsioni a lungo termine nella politica USA, ma quel paese è coinvolto in un processo di tendenza in cui è sempre meno capace di correggere squilibri interni e di assolvere al compito di presunta leadership mondiale che fino a poco tempo fa ha dato colore alla sua politica estera. Non dobbiamo mai aspettarci che l’egemone ferito ci perdoni i peccati di eresia di aver voluto essere diversi, di non sottometterci e di aver resistito, tanti anni, ad un brutale assalto, tanto meno con così poca geografia coinvolta.
La nostra salvezza starà, come sino ad oggi, nella genialità martiana di conoscere ogni influenza della letteratura mondiale, ma di scrivere la nostra, nel paradigma fidelista di cambiare tutto ciò che deve essere cambiato, nella disposizione di bruciare Bayamo piuttosto di consegnarla oltre e tornare alla manigua (palude) ogni volta che sia minacciato quel principio presente nell’asse della cubania, che è fare tutto ciò che sale … dal profondo.
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I testi raccolti in questo libro, scritto dal maggio 2016 al febbraio 2018, fanno parte del dibattito politico cubano che si è svolto su internet nel tempo intercorso tra la visita all’Avana del presidente USA, Barack Obama, e il primo anno della amministrazione Trump.
È una raccolta che mette davanti al lettore elementi per comprendere il funzionamento di una controrivoluzione di un nuovo tipo, creata dagli USA per abbattere la Rivoluzione cubana attraverso l’uso delle reti sociali, dei mezzi di comunicazione digitale e di una strategia di influenza sul settore intellettuale. Probabilmente la maggiore e complessa operazione di guerra culturale progettata dalla CIA dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
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Los corderos de hoy y los lobos de ayer: Descargue el libro “Las flautas de Hamelin” (+ PDF)
Por: José Ramón Cabañas Rodríguez
Palabras de presentación del libro Las flautas de Hamelin. Una batalla en internet por la mente de los cubanos, de Javier Gómez Sánchez.
Agradezco la invitación del autor, de la Editora Abril y de la Biblioteca Nacional, que es un templo del saber en Cuba. Para mí es realmente un honor y una causa de celebración participar en la presentación de este libro por un grupo de razones:
En primer lugar, tengo 60 años y estamos hablando de un autor de 37, con una obra hecha, que tuvo la lucidez de nombrar a su primer blog Sopa de Cabilla y que agradece en este texto a sus enemigos por haberle dado la oportunidad de conocer mejor a la Revolución.
En segundo, porque el autor ha escrito con la agitación en el pecho y la madurez propia de alguien que ha vivido más, y que ha estado presente en hechos de la vida de este país que él solo conoció por la educación de su familia y la escuela.
En tercero, porque defiende lo que es suyo y de todos nosotros, con sus bellezas e imperfecciones y nos inspira a luchar por ello, no solo alertándonos del peligro, sino también proponiendo soluciones.
Me percato de que el autor es esencialmente un provocador de signo positivo, como debería intentar serlo todo el que escriba para el gran público. Estoy seguro que más que alabanzas de los lectores, espera reacciones contrarias y hasta críticas a lo escrito, para entre todos construir una verdad. Nuestra verdad.
A los que no han tenido la suerte aún de leer este libro se les debe anunciar que en realidad presentamos dos textos, pues casi tienen tanto valor y extensión el cuerpo de cada artículo como el de las notas que lo acompañan. Lo otro sería saber que deben leer con ropa ligera y en un lugar ventilado, porque van a sudar.
Confieso que me siento identificado con la expresión de plantear ciertas cosas en solitario, como dice Javier que le sucediera a compañeros entrañables como Iroel Sánchez o Enrique Ubieta. En la vida de un diplomático esto sucede muchas veces, a lo que se agrega estar lejos de la patria y el peso enorme de decir: “Lo voy a plantear aunque esté totalmente equivocado”. En la mayoría de las veces la idea, si ha sido justa, ha podido desde el fondo de una cueva más que todo un ejército, otras veces no tanto, en ocasiones se ha demorado su reconocimiento y en algunas otras la idea ni era buena, ni justa. Pero debe prevalecer la voluntad de decir y de fundamentar lo que se dice.
Debo aclarar por respeto a la que ha sido mi responsabilidad principal hasta hoy, eso que el texto menciona como “mesura diplomática” no está reñido de ninguna manera con el ejercicio de una lucha política e ideológica intensa. Es más, al diplomático cubano le toca realizar un balance equilibrado entre las dos, todos los días con sus noches. En particular respecto a Estados Unidos, será así durante el resto de nuestra existencia como Nación. Habrá un ejercicio oficial en que podrían o no avanzar intereses mutuos bajo el más estricto respeto y reciprocidad, y como trasfondo estará siempre la defensa de nuestra soberanía e identidad.
Por cierto, cada vez que hablemos de Estados Unidos debemos recordar la diferencia entre el Estado que ha pretendido nuestra destrucción y un vasto pueblo que ha dado muestras de civilidad y hasta de solidaridad respecto a Cuba.
Los textos que nos proponen el autor y la Editora Abril en un solo volumen transcurren como la redacción de un diario personal en tiempos de singulares cambios para Cuba, en especial, la desaparición física del que fuera su líder indiscutido por 55 años. Este documento intenta y logra en gran medida recordarnos que contamos con un legado enorme del pensamiento de Fidel Castro que estará siempre disponible cada vez que pensemos que estamos frente a un obstáculo insalvable. Solo debemos conocerlo, estudiarlo y apropiárnoslo, no emularlo, ni repetir frases mecánicamente.
De forma adicional hemos vivido como sociedad y en pocos años el tránsito brutal entre los extremos en las relaciones con Estados Unidos: La gestión de la destrucción de la Revolución cubana mediante el acercamiento en diversos campos, y lograr el mismo objetivo a través de la presión más brutal que se haya podido ejercer jamás.
Por cierto, respecto a las referencias a Obama y su invitación a los cubanos a olvidar la Historia durante su discurso en el Teatro Alicia Alonso, deseo anotar que a su regreso a Washington en junio el propio 2016 dio el discurso principal en la ceremonia de graduación de la Universidad Howard de matrícula mayoritariamente afronorteamericana. Allí dijo al referirse a la esclavitud, que no tenían el derecho a olvidar ese flagelo. Nada, que los estadounidenses están educados para tener memoria selectiva.
A todos los retos descritos antes, se sumó el tránsito generacional en la dirección del país, hecho ante el cual los enemigos de Cuba se prepararon durante años para cuestionar absolutamente todo lo que sucediera después, por cualquier medio y sin respetar ninguna regla. La contrarrevolución siempre supo que no tenían opciones de éxito ante el liderazgo de Fidel y Raúl. Han visto la llegada de Díaz-Canel y de otros funcionarios con la misma brillantez en los ojos que la desaparición del campo socialista en los años 90 del siglo pasado.
Hay quizás otro elemento importante de estos tiempos y que aparece casi en cada página del texto: Cuba pasaba de ser uno de los países de menor penetración de Internet a contar con una exposición bastante masiva de las redes sociales y el uso de la telefonía celular. Y todo ello sin una preparación como sociedad para resistir el embate de lo nuevo, que era además agresivo, pero que se presentaba como una panacea ante los ojos de miles de jóvenes.
Aún hoy solo una mínima parte de nuestra población conoce que el origen de Internet es militar, como mismo lo son la mayoría de los ingenios recientes en este campo. Otros ignoran que la totalidad de las compañías civiles que recibieron el beneficio de estos adelantos para explotarlos comercialmente tienen un acuerdo con sus creadores militares para compartir información y permitirles el acceso a datos personales e institucionales que pueden ser de seguridad nacional. Muchos cubanos aún hoy entran a los que consideran sus espacios virtuales con inocencia de consumo, con pasividad y hasta con desnudez, sin conciencia de que cada comentario, muestra de interés, o un simple clic van construyendo una biografía detallada de cada uno de nosotros, en una mina de datos que se utilizará con diversos propósitos, hoy o mañana.
El autor nos recuerda lo inevitable del hecho, pero también el error que se comete si no nos preparamos adecuadamente y no nos articulamos para hacerlo mejor, defender nuestras verdades, llevarlas con distintos códigos a todas partes y, más aún, reproducirnos como sociedad y como sistema. El capitalismo lo hace todos los días con fines mezquinos, no necesita de reuniones de coordinación, ni de planes extensos y detallados. El socialismo cubano tiene que presentarse en cada minuto como la opción de presente y de futuro, para cada uno de los sectores sociales, etarios, de forma tangible y renovada.
Rechazamos por naturaleza la palabra vender en la labor política, y es justo, pero de lo que se trata es, precisamente, de que todos los días nos preguntemos cada cual -en lo que hace-, cómo el prójimo puede adquirir o compartir una idea para que nuestra sociedad sea mejor. Debemos preguntarnos cómo logramos que el otro asuma ese proyecto de sociedad que hemos imaginado entre todos, conociendo sus virtudes y defectos, sus limitaciones de hoy, sus metas de mañana, y ponga el alma para lograrlo.
Durante algún tiempo y por diversas razones no hemos observado que el mundo y Cuba cambian cada segundo, y que, si no logramos captar y comprometer la atención de los nuestros de forma creativa, lo harán otros. Esto sucede en el hogar, en la escuela, en un centro de trabajo, en un municipio o provincia. Hay que pensar todos los días en cómo nos reproducimos como sociedad y en ello la comunicación social es clave, no está en las orillas observando, pues ya estamos en un mundo donde es componente esencial. No hay marcha atrás.
Hay otro elemento muy importante en el recorrido de alertas que nos hace Javier. En un artículo reciente escribí “los corderos de hoy son hijos de los lobos de ayer”, al referirme a aquellos que asumen un ropaje seudointelectual para encubrir propósitos que son idénticos a los de los terroristas de ayer, que estuvieron obligados a transmutar después del atentado a las Torres Gemelas el 11 de septiembre del 2001, pero que no esconden la ambición de arrasar con todo lo construido en Cuba durante 60 años, cambiar los libros de Historia y no dejar en pie ningún símbolo de resistencia. Estos individuos solo pretenden abrir las murallas de Troya, para la entrada del famoso caballo, sabiendo cuál es su contenido.
El autor nos detalla sobre aquellos que se apostan desde un nombre intrascendente en las redes para lanzar dardos envenenados, aquellos que reciben un financiamiento para esa acción, aunque juren una y otra vez ser “independientes”, a los que están dispuestos a cambiar toda la gloria que se ha vivido, y que se vive, por algo material que les permita presumir, o parecerse más a sus manejadores.
No caben dudas que desde el exterior se continuarán multiplicando recetas para Cuba, formas de vida alternativas, espejitos a cambio de oro, como hicieron con nuestros aborígenes. Esta práctica ya ha tenido un efecto en nuestra sociedad y ha encontrado mejor pasto en momentos de nuevas limitaciones económicas. Hay un solo remedio frente a ese reto: Que nuestra obra sea tan inmensa y esté construida sobre una unidad social tan grande que el intento de los enemigos se sintetice en la cubana frase de “no se puede tumbar el Morro a pedradas”.
De forma natural el autor propone una reflexión ante lo que sucede, pero en modo alguno se trata de un repliegue de autocrítica tan prolongado que nos retire del frente de batalla, que nos haga perder la iniciativa, y que nos lleve a buscar lo perfecto para desechar lo bueno.
Copiamos como propia la frase que puede leerse en el libro: “La seudorrevolución siempre es socialmente rentable, financieramente rentable, cómodamente rentable, lo que nunca es moralmente rentable”
Igualmente nos complacemos al leer: “La seudorrevolución no tiene objetivos -es incapaz de tenerlos- pero tiene efectos en quien la ejerce, encerrándolo entre las cuatro paredes que en la Cuba de la segunda década de los 2000 han sido sus ejes temáticos, que en realidad son limitaciones temáticas. Dicho de forma coloquial:
La cantaleta del dogma.
La majomía de lo generacional.
La jodedera del consenso.
La bobería de la herejía”.
Algunos de estos términos han sido rescatados del lenguaje neo y seudo revolucionario -que pretendía capitalizarlos- por el verdadero sentido crítico de la Revolución.
Honestamente creo que en el volumen que presentamos hay razonamientos de indiscutible trascendencia: “El objetivo de un debate revolucionario es buscar la transformación de la realidad que describe. Se nutre de la crítica revolucionaria, que consiste en convertir la opinión en utilidad. Es un tipo de debate que incluye tanto las insatisfacciones que lo provocan, como contar con la institucionalidad con que pueden lograrse las soluciones que propone. El seudodebate, al carecer de esos objetivos, es repetitivo en su expresión, escaso en sus temáticas, superficial en su análisis, ingenuo en sus propuestas y nulo en su posibilidad”.
Si somos honestos, debemos aceptar que quizás hemos estado en más de una reunión grupal que ha transitado por esos caminos y hemos convivido con el pecado, pero aún tenemos posibilidad de ser absueltos.
Las propuestas que nos hace Javier en esta compilación concluyen en medio de los procesos de reversión generados bajo el gobierno de Donald Trump. Y me refiero tanto a los procesos internos de Estados Unidos, como en su relación el mundo. El autor se plantea y nos presenta la pregunta de qué debemos esperar después.
Nuestro comentario: Es muy difícil hacer pronósticos a largo plazo en la política estadounidense, pero ese país está envuelto en un proceso tendencial en el que es cada vez menos capaz de corregir los desequilibrios internos y de cumplir con la tarea de supuesto liderazgo mundial que hasta hace poco le dio color a su política exterior. No debemos esperar nunca que el hegemón herido nos perdone los pecados de la herejía de haber querido ser distintos, de no someternos, y de habernos resistido tantos años a un embate brutal, mucho menos con tan poca geografía de por medio.
Nuestra salvación estará como hasta hoy en la genialidad martiana de conocer cada influencia de la literatura mundial, pero escribir la propia, en el paradigma fidelista de cambiar todo lo que debe ser cambiado, en la disposición a quemar Bayamo antes de entregarla y de volver a la manigua cada vez que esté bajo amenaza ese principio presente en el eje de la cubanía, que es hacer lo que nos salga…desde muy adentro.
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Los textos reunidos en este libro, escritos de mayo de 2016 a febrero de 2018, son parte del debate político cubano ocurrido en internet en el tiempo transcurrido entre la visita a La Habana del presidente estadounidense Barack Obama y el primer año de la administración de Donald Trump.
Se trata de una compilación que pone ante el lector elementos para comprender el funcionamiento de una contrarrevolución de nuevo tipo, creada por Estados Unidos para hacer caer a la Revolución cubana mediante del uso de las redes sociales, medios digitales de comunicación y una estrategia de influencia sobre el sector intelectual. Probablemente la mayor y más compleja operación de guerra cultural diseñada por la CIA después de la caída de la Unión Soviética.
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