Orinoco Tribune, 12 ottobre 2021
Un controverso rimpasto di governo dimostrava quanto sia difficile attuare un cambiamento radicale e ridistributivo. Il Presidente Pedro Castillo vinse le elezioni del 6 giugno in Perù al secondo turno. Le sue politiche di punta erano; nuova costituzione e nazionalizzazione delle risorse naturali. Anche l’espulsione delle forze statunitensi (basi militari, USAID, DEA) faceva parte del manifesto vincente.
Tuttavia, queste promesse si sono scontrate cogli interessi delle multinazionali, che sembrano aver costretto il governo in un angolo dopo il controverso rimpasto di governo.
Quando il Presidente Castillo prestò giuramento ufficiale, a luglio, chiarì l’intenzione di realizzare i cambiamenti votati dai peruviani. Nominò Guido Bellido primo ministro; un indigeno Quechua e dirigente del partito socialista Peru Libre. Il professore marxista Hector Bejar fu nominato ministro degli Esteri. Il suo primo atto fu ritirarsi dal ‘gruppo di Lima’ antivenezuelano, lasciandolo senza sede. Tuttavia, la pressione si fece sentire fin dal primo giorno. Ogni media nazionale attaccò in modo aggressivo il Presidente Castillo per aver scelto Bellido. Anche il quotidiano liberale La Republica usò lo stesso linguaggio maccartista per implorare Castillo ad assumere figuri liberali delle precedenti amministrazioni. Bejar fu il primo ad essere rimosso. Furono portati alla luce vecchi commenti di Bejar in cui collegava CIA e Sendero Luminoso, e altri in cui affermò che i militari avevano commesso violazioni dei diritti umani durante la guerra civile, provocando indignazione nelle forze armate. Bejar rivelò in un’intervista a teleSUR che fu la Marina a costringerlo a dimettersi, sottolineando anche che: “Le forze armate hanno potere deliberativo, quindi tale azione della Marina è incostituzionale”. L’esercito sostituì Bejar con un membro dell’establishment, Óscar Maúrtua, ex-ministro degli Esteri del governo di destra di Alejandro Toledo (attualmente a Miami latitante per le accuse di corruzione in Perù). In pochi giorni Maúrtua firmava un accordo di cooperazione coll’USAID.
Il licenziamento di Bellido seguiva o stesso formato. La settimana precedente rilasciò un comunicato che recitava: “Chiamiamo la società operativa e commerciale del gas Camisea a rinegoziare la distribuzione degli utili a favore dello Stato, se ciò non sarà possibile opteremo per il recupero o la nazionalizzazione delle nostre risorse”. Semplicemente ribadendo la seconda promessa più importante della campagna di Pedro Castillo. Tuttavia, spedì media, opposizione ed interessi aziendali peruviani su un impeto di rabbia. Lo stesso giorno l’opposizione al congresso rilasciò un comunicato congiunto, affermando che il controllo pubblico delle risorse naturali è “un atteggiamento autoritario che mette in grave rischio la sicurezza giuridica degli investimenti nel Paese”. Il testo prosegue affermando che l’opposizione utilizzerà il Congresso per “fermare e sconfiggere ogni minaccia di nazionalizzazione”. La settimana dopo, Bellido fu costretto a lasciare il governo. In una conferenza stampa che l’annunciava, Bellido spiegò che: “Il popolo è testimone del modo in cui, al di sopra dello Stato, ci sono forze potenti che governano, fanno pressione, costringono, denunciano e perseguitano. Anche se il presidente cambia, tali forze sembrano permanenti e hanno occupato il sistema giudiziario, usandolo per criminalizzare i loro avversari politici”. Come nel caso di Bejar, Bellido fu sostituito da un’altra figura dell’establishment, Mirths Vasquez, ex-presidentessa del Congresso del governo neoliberista Sagasti precedente a Castillo.
Vladimir Cerron, il leader di Peru Libre, sul cui piano Pedro Castillo vinse le elezioni, denunciò tale rimpasto: “Siamo sicuri che coll’attuale governo non cercheranno nemmeno di mantenere le promesse elettorali, sarà uno spazio per difendere lo status quo, saranno mantenuti i privilegi di sempre, la storica discriminazione contro il popolo”.
Ciò che è chiaro è che le politiche popolari con cui vinse Castillo vengono neutralizzate da chi vuole garantirsi la continuità tecnocratica-liberale del Perù governato prima di Castillo ed ampiamente respinto alle urne proprio per l’incapacità di tale tendenza ad affrontare la povertà e disuguaglianza. Hector Bejar fu particolarmente previdente due mesi prima, quando disse: “Di questo passo, il Presidente Castillo dovrà chiedere il permesso alle forze armate prima di nominare ogni ministro, se continua così i militari finiranno per governare. Spero che non accada”.
Per aiutare a decifrare cosa succede, abbiamo parlato col giornalista Martin Manco. Martin visitò i nostri uffici a luglio per incontrare Evo Morales, lo abbiamo contattato per ascoltare la sua intuizione.
Governare nell’interesse dei poveri, piuttosto che negli interessi dell’élite, si è rivelato più difficile di quanto si pensasse inizialmente per Pedro Castillo.
E’ estremamente difficile per Pedro Castillo attuare le trasformazioni che previde, c’è una resistenza molto forte contro il cambiamento dal governo e ne ho discusso col nostro fratello Evo Morales. Non era solo Bellido uscito ora, ma altri sette ministri rimossi, in Istruzione, Lavoro, Produzione, Miniere, Interni, Cultura e altro. Tutti questi cambiamenti danno l’impressione che Castillo sia spinto al centro, in Perù lo chiamiamo ‘Humalisacion’, che significa seguire il percorso dell’ex-presidente Ollanta Humala eletto come candidato di sinistra ma poi abbandonò le promesse governando da neoliberista, costruendo qualche programmi sociali ma mantenendo lo status quo del modello economico per conto dei potenti interessi economici.
Chi è il nuovo Primo Ministro, il suo governo ha intenzione di attuare le promesse vincenti della campagna elettorale di Castillo come nuova costituzione e la nazionalizzazione del gas?
Penso che la nazionalizzazione del gas rimarrà all’ordine del giorno nonostante tale sconfitta. C’è un ampio riconoscimento della necessità per lo Stato di un maggiore controllo delle risorse naturali. Siamo ben consapevoli dell’esperienza boliviana in questo e del successo coll’ex-presidente Evo Morales. Mirtha Vazquez fu presidentessa del Congresso e il suo breve periodo tale non è visto particolarmente negativo. È chiaramente una figura centrista ed è così che governò, quindi possiamo vedere che Pedro Castillo vi è spinto al centro. Metterà da parte la sinistra dal governo, Peru Libre, e non risponderà alle sue priorità. La pressione perché ciò accada, da media, Congresso e popolazione di Lima, è schiacciante, hanno paura di cambiare la struttura della società a cui sono abituati. Un altro fattore è la fuga di capitali, gli interessi aziendali minacciano Castillo dicendo che abbandoneranno la valuta locale e manterranno il capitale in dollari, cosa che i media usano per spaventare la popolazione; tali interessi hanno costretto il prezzo della valuta locale a scendere rispetto al dollaro per chiarire il potere che hanno. A livello internazionale, il dollaro USA è in calo, ma in Perù il suo valore è aumentato. Questo è il potere che hanno tali gruppi di interesse speciale. Tutto questo spaventava Pedro Castillo facendogli credere di poter destabilizzare l’economia.
Come hanno reagito i media a tali cambiamenti?
Tutti i media in Perù hanno una posizione estrema contro Pedro Castillo. Molti chiedevano di rovesciarne il governo, altri che Castillo non finirà il mandato, minaccindolo. Tale rimpasto di governo è volto a calmare tali attacchi, sperando che prendessero una posizione meno radicale sul governo. Penso che Pedro Castillo volesse attuare grandi trasformazioni, ma si è reso conto che non c’erano le condizioni per il cambiamento delle strutture di potere dominanti nel Paese.
Traduzione di Alessandro Lattanzio