Roberto Cursi www.lantidiplomatico.it
Non è bastato quello che il ministro boliviano, Eduardo Del Castillo, ha denunciato il passato lunedì, illustrando il piano del precedente Governo Añez, in cui alcuni dei mercenari che hanno assassinato il presidente haitiano Jovenel Moïse si trovavano in Bolivia a pochi giorni dalle elezioni presidenziali 2020, per uccidere il candidato socialista Luis Arce, poi eletto presidente col 55% dei voti.
No, non è bastato, perché sembra che il mancato magnicidio non sia stato ben digerito da chi lo aveva organizzato, e allora, da quello che ha pubblicato la testata argentina «Pagina/12» “La destra latinoamericana consolida la sua base operativa in Florida, USA” e con “Un think tank di destra, l’Interamerican Institute for Democracy, tenta di destabilizzare il governo di Luis Arce”.[1]
Per ricordare il piano con il quale si voleva assassinare il candidato del ‘MAS’, Luis Arce, il sito boliviano del “Ministerio de Gobierno” (Ministero degli Interni) ha pubblicato un articolo riassumendo gli aspetti più importanti dell’intera operazione[2]. Ne riporto solo alcuni passaggi:
«Giorni prima delle elezioni generali, l’ex ministro della Difesa del Governo ‘De Facto’, Fernando López Julio, aveva pianificato, con mercenari e paramilitari, di porre fine alla vita dell’allora candidato Luis Arce Catacora, con l’intenzione di disconoscere la volontà popolare espressa alle urne, come avevano già fatto nel 2019 con Evo Morales.
Il signor López Julio ha contattato società che esternalizzano sicari o paramilitari, per compiere azioni violente nel nostro paese, e aveva pianificato di contrattare 300 persone, anche se non avrebbero esitato di impiegare 10.000 uomini per raggiungere l’obiettivo.
C’era un’intera strategia armata per impedire l’ascesa del Presidente Luis Arce e sequestrare la nostra democrazia, con dettaglati contratti, importi, e i curricula delle persone coinvolte, fino alle armi che intendevano utilizzare per uccidere i boliviani e boliviane.
“Sappiamo cosa avete fatto e sappiamo cosa state facendo, vi chiediamo di smettere di farlo, di seguire le regole della democrazia e di rispettare le istituzioni e la sovranità del Paese, non vi permetteremo di rubare ancora una volta la democrazia al popolo e nemmeno di contrattare paramilitari stranieri e sicari per assassinare i boliviani e boliviane”».
Se una settimana fa, nel Paese andino, si è denuciato il tentato magnicidio, il 23 ottobre il quotidiano argentino «Pagina/12» ha pubblicato un articolo dove spiega che, nella città di Miami, è ormai da tempo che la Bolivia e altri Paesi della regione sono sotto attacco da parte delle amministrazioni Usa:
«La città non è più solo l’esclusiva piattaforma geopolitica per organizzare ogni tipo di attacco contro Cuba. Sono anni che i cospiratori hanno anche altri obiettivi nel mirino. Nella lista dei governi da destabilizzare ci sono anche Venezuela, Nicaragua, Bolivia. E prima ci sono stati il Brasile di Lula e Dilma Rousseff e l’Ecuador presieduto da Rafael Correa”.
Questo intento, finanziato con fondi del governo degli Stati Uniti, è in parte spiegato dal ruolo svolto da organizzazioni come l’Interamerican Institute for Democracy (IID). Un’entità che si definisce “non profit”, ma in realtà è un ‘think tank’ nostalgico di un vecchio conflitto, oggi messo in atto con altri mezzi: la Guerra Fredda.
Dove c’è un paese che non si autodisciplina con la politica emisferica degli Stati Uniti, l’IID esplora tutte le possibili soluzioni. Dalle messe in scena con latitanti dalla giustizia stabilitisi a Miami, al sogno di nuovi colpi di Stato.
Il caso del presidente Luis Arce Catacora è un paradigma di questa offensiva in corso.
Secondo l’IID, Arce “guida inequivocabilmente una dittatura in Bolivia”. Parole del suo presidente, l’ex sindaco di Miami, Tomás Regalado.
Intenti come questi [assassinare Luis Arce, n.d.t.] vengono stimolati da Miami da forum come quello del 28 luglio, intitolato “Dittatura in Bolivia, Testimonianza di perseguitati, prigionieri ed esuli”, organizzato dall’IID. In questa loro rappresentazione, il regime dell’ex presidente boliviana Jeanine Añez sarebbe una vittima e non un carnefice, rappresenterebbe la Repubblica, mentre il Movimento al socialismo (MAS) di Morales e Arce Catacora rappresenterebbe una banda sediziosa che ha preso il potere con un assalto, e non per mezzo di elezioni supervisionate da osservatori internazionali».
A queste assurde accuse portate avanti dall’IID, ma non solo, si può rispondere con un’altra notizia uscita proprio il giorno dopo l’articolo di ‘Pagina/12’, dove la OSA (Organizzazione degli Stati Americani), presieduta dal contestatissimo Segretario Luis Almagro, colui che ha legittimato il colpo di Stato in Bolivia accusando Evo Morales di brogli, non si è presentata al confronto richiesto dalla commissione di esperti internazionali che stanno vagliando la veridicità delle accuse di brogli.
L’ambasciatore argentino presso la OSA, Carlos Raimundi, ha dichiarato che loro assenza “è un dolore, perché c’è una responsabilità politica, del Segretario e della Segreteria Generale di questa ‘Organizzazione’ che, se fossero tanto convincenti i loro argomenti, starebbero qui presenti per difenderli”.
Jake Johnston del Center for Economic and Policy Research (CEPR) ha nuovamente indicato “difetti” nell’indagine dell’agenzia regionale:
“La condotta dell’OSA, in relazione alle elezioni boliviane del 2019, ha portato a un chiaro intervento politico, che si basava su statistiche errate e su una falsa rappresentazione persino delle sue stesse scoperte”.
Eppure, dopo queste dichiarazioni degli esperti della commissione, continuiamo a leggere e ad ascoltare la narrazione che la ex Presidente Jeanine Añez è una perseguitata politica e non una corresponsabile del colpo di Stato.
Tra i narratori di questa impresentabile storia ne è parte anche l’Europarlamento, che l’aveva candidata tra i tre finalisti del Premio Sakharov (sic!).
L’articolo di ‘Pagina/12’ continua portando altri elementi sui personaggi che da Miami preparano strategie comunicative per diffonderle all’opinione pubblica per mezzo di grandi media compiacenti:
«Un personaggio chiave di questa storia è il boliviano Carlos Sánchez Berzaín, Direttore esecutivo dell’Interamerican Institute for Democracy (IID), che per loro sarebbe un’altra vittima [del nuovo governo boliviano di Luis Arce, n.d.t.]. Ma la sua storia indica il contrario.
Lui era il ministro dell’ex presidente Gonzalo Sánchez de Lozada ed entrambi sono fuggiti negli Stati Uniti dopo la cosiddetta guerra del gas.
L’Interamerican Institute for Democracy, dove il boliviano Carlos Sánchez Berzaín svolge un ruolo chiave, opera finanziato con fondi della USAID, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale. La sua dialettica cospirativa è “musica” per le orecchie della CIA, e si riflette nei messaggi che pubblica dal suo account Twitter: “Dittature di #Cuba, #Venezuela, #Bolivia e #Nicaragua in crisi: economie in miseria, […] il mondo li riconosce come un ‘gruppo transnazionale di crimine organizzato’ [arrivando a chiamarli ‘Narco-Stati’, n.d.t.]”
Carlos Sánchez Berzaín, che si presenta come avvocato, esperto di diritto costituzionale […] nonché politologo, è un editorialista regolare per ‘Infobae’ [un noto quotidiano argentino online di destra, diffuso in tutto il Continente, n.d.t.]. Infatti, il 10 maggio 2018, la testata giornalistica, Infobae, fondata da Daniel Hadad, ha ricevuto il premio interamericano di giornalismo ‘Horacio Aguirre’. E dove gli è stato assegnato? Ovviamente a Miami.
Al suo fianco c’era anche un cubano – il più famoso di tutti – Carlos Alberto Montaner [“padrino” e mentore di Yoani Sánchez, la blogger cubana, n.d.t], condannato al carcere dal suo paese natale poco dopo la Rivoluzione. Colui che in un curioso scambio di lettere con Silvio Rodríguez[2], pubblicato nel 2010 dal quotidiano spagnolo El País, riceve dal cantautore la seguente domanda: “So che i tuoi ingegnosi inganni si moltiplicheranno mille volte più di qualsiasi verità cubana. Da questo ‘recinto’ di dignità continuerò a cantare ciò che penso. Ho ancora molte più ragioni per continuare a credere nella Rivoluzione che nei suoi detrattori. Se questo governo è così cattivo, da dove è uscito fuori questo popolo così buono?”
Nonostante tutto l’uruguaiano Luis Almagro, docile funzionario delle preoccupazioni di Washington, insiste ancora oggi con la sua tesi di brogli alle elezioni vinte da Evo Morales nell’ottobre 2019. Mentre proprio lui è stato uno dei promotori del golpe che ha lasciato sul campo 37 morti, centinaia di feriti e ha chiuso un periodo storico di totale discredito per l’OSA.»
Aspettiamo l’evolversi degli eventi per quanto riguarda il Paese andino. Sappiamo invece che, dalla “base operativa di Miami”, già stanno preparando un’altra campagna mediatica di discredito e menzogne contro Cuba, consapevoli che i loro “ingegnosi inganni si moltiplicheranno mille volte più di qualsiasi verità cubana.”
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[1] Articolo di ‘Pagina/12’ https://www.pagina12.com.ar/376617-complot-en-miami-contra-el-gobierno-de-bolivia
[2] Articolo dal sito del “Ministerio de Gobierno” boliviano sul tentato magnicidio https://www.mingobierno.gob.bo/lun-18102021-0815ex-ministro-fernando-lopez-planifico-magnicidio-mercenarios-paramilitares-contra-luis-arce