Il 22 gennaio del 1948 fu assassinato il dirigente operaio Jesús Menéndez, un crimine politico che commosse tuto il popolo lavoratore di Cuba.
Nicolás Guillén, suo amico e compagno di lotta gli dedicò una delle elegie più commoventi e nello stesso tempo più nuove, tecnicamente complesse della poesia in lingua spagnola, la cui prima pubblicazione apparve il 14 luglio del 1951, edita dalla Editorial Páginas, del Partito Socialista Popolare.
Quest’anno si compiono 70 anni dalla sua apparizione, coincidenti con i 110 anni dalla nascita del grande dirigente sindacale del settore dello zucchero.
Mirta Aguirre ha detto su /Elegía a Jesús Menéndez/, «Mai prima lo stesso Nicolás Guillén, essendo da sempre un grande poeta, aveva creato una cosa simile ».
Effettivamente, l’enorme varietà di risorse del linguaggio figurato e altre proprie della strutturazione poetica, l’ottenimento di un’emotività lirica di grande portata, infine i valori strettamente letterari, non velano ma segnalano il forte denunciatore del crimine, nè velano la trascendenza rivoluzionaria di Menéndez, grazie alla perfetta coerenza tra l’intenzione socio politica dell’autore e la sue espressione poetica libera da concessioni contenitive.
Nell’elegia – formata da sette Canti che vanno dal son cubano a una sorprendente poetizzazione di azioni in borsa, passando per il romanzo, il terzetto, la prosa poetica, la strofa di verso libero, la policroma, e anche un settetto costruito da sostantivi, si apprezzano non solamente il profondo dolore per la perdita del leader sindacale delle lotte politiche, ma l’ammirazione e l’affetto dell’autore verso l’amico e compagno scomparso.
Ma il poema va molto più in là: nell’elegia Jesús Menéndez, trasformato in simbolo delle lotte operaie, rimane vivo dopo il crimine ; per cui il senso elegiaco del poema no risulta unicamente un «pianto» –come si concettualizza questa forma lirica–, ma una denuncia del suo assassinio, una dichiarazione dell’immortalità delle sue idee e azioni, e una convocazione a riconoscere il suo legato e a continuare la sua opera.
Quanto espresso sul suo protagonista si amplia allegoricamente a ciò che rappresentava questi per i lavoratori e i contadini di Nuestra America e anche degli USA.
Il centro tematico di /Elegía a Jesús Menéndez/ sembra essere il paragone o meglio la contrapposizione delle personalità del pensiero e delle traiettorie del leader del settore zuccheriero e quelle del suo assassino, così come il destino finale di ognuno e di quello che ognuno rappresentava.
L’innominato capitano, perseguito dai suoi propri fantasmi e dal disprezzo delle migliaia di dolenti di Manzanillo, è morto in vita («Il vivo è il morto»); e fugge, dalla sua giurisdizione interna, dall’inevitabile sanzione giustiziera che alcuna volta lo raggiungerà, come avvenne grazie alla giustizia rivoluzionaria poco più di dieci anni dopo il suo crimine , sanzione che non va già al personaggio del poema, ma alla persona reale: il capitano assassino, rappresentante delle forze della repressione , il capitano Joaquín Casillas.
Jesús Menéndez, come ha espresso Mirta Aguirre, resta vivo, marcia nel tempo e per la geografia, sta in ogni momento in tutte le parti, ribollendo in tutte le mareggiate insorte, ribellandosi a tutti i dolori, gridando in tutte le gole, ritornando sempre per marcare la stupidità della sua violenta soppressione fisica.
E soprattutto Guillen ottiene la sopravvivenza di tanto portatore della certezza della vittoria finale, della quale, simbolicamente, sarebbe il conduttore:
/Allora giungerà, / Generale delle Canne, con la sua spada /fatto con un grande lampo brunito; / allora giungerà, /cavaliere su un cavallo d’acqua e fumo, /lento sorriso nel saluto lento; /allora giungerà per dire, /Jesús, per dire: /–Guarda, ho qui lo zucchero già senza lacrime.
/Per dire: / –Sono tornato, non temete. /Per dire: /–È stato lungo il viaggio e aspro il cammino. / È cresciuto un albero con il sangue della mia ferita. / Su di lui un uccello canta alla vita. / La mattina si annuncia con un trillo. (