Geraldina Colotti
Davanti all’ambasciata di Cuba, a Caracas, si sta svolgendo una dimostrazione di solidarietà e di ripudio ai tentativi destabilizzanti portati avanti dai “gusanos” con il sostegno dei media internazionali. “Cuba-Venezuela, una sola bandiera”, gridano i compagni e le compagne dando il loro contributo alla giornata mondiale “Giù le mani da Cuba”. Dietro la bandiera del Psuv, alcuni dirigenti del processo bolivariano – Tania Diaz, Asia Villegas, Maria Rosa Jimenez, Penelope Alsina, Rander Peña -, volti noti del movimento femminista, accompagnano l’ambasciatore di Cuba in Venezuela, Dagoberto Rodriguez Barrera, l’associazione di cubani residenti in Venezuela e il movimento di Amicizia e solidarietà mutua Venezuela-Cuba.
Insieme alla Piattaforma Continentale Latinoamericana e Caraibica, il movimento di Amicizia e Solidarietà Mutua Cuba-Venezuela, coordinato da Yhonny García Calles, ha organizzato una serie di attività, dal 12 al 17 novembre, per denunciare “la campagna scriteriata e opportunista” contro Cuba anche in questi tempi di pandemia. Un tentativo di sottomettere il popolo cubano strangolando l’economia, analogo a quello tentato contro “la nostra amata Venezuela”.
Dall’arrivo di Trump alla presidenza degli Stati Uniti – ricorda il movimento – contro Cuba sono state emesse 243 misure coercitive unilaterali, ratificate dall’attuale inquilino della Casa Bianca Joe Biden, in flagrante violazione ai diritti umani. “Quanto più il Governo di Cuba avanza nel campo della salute e della scienza – dice il comunicato del movimento – tanto più deve scontrarsi con la disinformazione e l’attacco straniero”.
Intanto, i tifosi di Miami, riuniti nel cosiddetto Movimento Arcipelago, per contrastare l’apertura al turismo internazionale, decisa per il 15 dal governo cubano, e il ritorno in classe di alunni e studenti, hanno deciso di prolungare le proteste, prorogando la «Giornata civica per il cambiamento» fino al 27 novembre. Una sceneggiata che il popolo cubano diserta e contrasta con marce allegre e con occhio vigile, ma che è allestita a uso e consumo del palcoscenico internazionale.
Molti sono gli elementi di analogia con le violenze destabilizzanti che, a diverse riprese, hanno cercato di innescare in Venezuela il modello delle “rivoluzioni colorate” e di “balcanizzare” il paese: dalle forme di protesta – la battitura di casseruole, i falsi scoop, l’uso distorto dei social network – alla battaglia simbolica. Un elemento che connota questa nuova fase di provocazioni, tesa a costruire all’estero – partendo dalla Spagna e dal sostegno del Parlamento Europeo, dov’è forte la presenza delle lobby anticastriste e antichaviste – di una finta rappresentanza, sul modello dell’autoproclamato Juan Guaidó in Venezuela.
Per questo, occorre dare una vernice “socialdemocratica” alle proteste, persino impadronendosi di simboli fondanti il socialismo e la rivoluzione cubana, e distorcerli, dando la stura alla solita retorica su “libertà e diritti umani” contro “la dittatura”. Come se i partiti della ex socialdemocrazia, in Europa, non avessero da tempo aderito ai programmi del grande capitale internazionale, abbandonando non solo una prospettiva socialista, ma anche quella di riforme capaci di garantire i diritti basici.
E così, ecco l’Arcipelago passare dalle “manitas blancas” alla rosa bianca in mano, alludendo al celebre poema di José Marti, padre dell’indipendenza cubana, “Cultivo una rosa blanca”, scritto a New York nel 1891. Una subdola operazione, particolarmente indignante per l’America Latina che ricorda, quest’anno, il sogno della Patria Grande di Simon Bolivar e non certo il ritorno al colonialismo e alle tutele nordamericane. Una farsa che serve a nascondere chi siano i veri sponsor dei “gusanos”, il cui movimento più che un “arcipelago” evoca lo spettro di Guantanamo, l’isola rubata ai cubani e trasformata in un lager imperialista.
E, infatti, il condor sta cercando di planare sull’isola, impiantando i propri artigli in quella parte dell’America Latina che ancora continua a guardare a Washington e cerca di stroncare la nuova onda progressista che attraversa il continente, e di cui Cuba e Venezuela restano il cuore pulsante. Il nuovo progetto destabilizzante parte dall’Europa e dalla Spagna e ha come motore il partito di estrema destra Vox, che ha già messo radici in vari paesi dell’America Latina.
Ad appoggiare le proteste contro il governo cubano avrebbero voluto andare, infatti, anche due eurodeputati, l’italiano Carlo Fidanza di Fratelli d’Italia e Hermann Tertsch Del Valle-Lersundi di Vox, entrambi nel Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei. “Rosa è la figlia di Oswaldo Paya, leader dell’opposizione anti-comunista cubana, morto in circostanze misteriose nel 2012 – ha scritto Fidanza sul suo Fb – ha raccolto quel testimone e si batte per la libertà del suo popolo con una fede incrollabile. Oggi io e il collega Hermann Tertsch Del Valle-Lersundi avremmo dovuto volare con lei a L ‘Avana per seguire le manifestazioni di protesta contro il regime, che però ‘democraticamente’ ci ha vietato l’accesso all’isola”.
I falchi del Pentagono, e gli avvoltoi che li assecondano, sono sempre in agguato anche in Venezuela, pronti a sabotare e “disconoscere” le mega-elezioni del 21 novembre. Un primo siluro lo hanno già lanciato con il sequestro e l’estradizione arbitraria del diplomatico Alex Saab, che ha portato all’interruzione del dialogo in Messico tra il governo bolivariano e l’opposizione. Ieri, davanti all’ambasciata cubana, c’era anche il comitato Free Alex Saab. Il sindacato dei “motorizados” ha accompagnato l’arrivo di Camilla Fabi, moglie di Saab, e gli interventi del giornalista Pedro Carvajalino e dell’analista internazionale Laila Tajeldine.