Giorgio Trucchi www.altrenotizie.org
Managua. Il 28 novembre oltre 5 milioni di honduregni saranno chiamati a eleggere il Presidente della Repubblica, 128 deputati al Congresso nazionale, 20 al Parlamento centroamericano, 298 sindaci e oltre 2000 consiglieri comunali. Man mano che si avvicina la data elettorale, si polarizza l’ambiente politico, si acutizza il conflitto e cresce la tensione sociale.
Nessuno dimentica la violenta repressione del 2017 contro coloro che protestavano per i grossolani brogli elettorali che prolungarono l’agonia dell’attuale regime. In quell’occasione, oltre trenta persone persero la vita in modo violento e questi crimini restarono nella totale impunità. Gli accadimenti degli ultimi giorni risvegliano nuovamente i fantasmi della violenza e della repressione.
L’11 novembre il candidato a consigliere comunale per il Partito Liberale, Óscar Moya, fu freddato con vari colpi d’arma da fuoco a Santiago di Puringla (La Paz). Due giorni dopo fu assassinato il sindaco di Cantarranas (Francisco Morazán) e aspirante alla rielezione sempre per il Partito Liberale, Francisco Gaitán.
Il giorno dopo sono stati uccisi il dirigente del partito d’opposizione Libertà e Rifondazione (Libre) Elvir Casaña e un attivista del Partito Liberale, Luis Gustavo Castellanos, rispettivamente a San Luis (Santa Barbara) e a San Jerónimo (Copán). Nell’attacco mortale contro Castellanos sono rimasti feriti altri due attivisti.
Il 15 novembre, un altro attentato ha tolto la vita a Darío Juárez, aspirante a vicesindaco per il Partito Liberale nel municipio di Concordia (Olancho). Due giorni dopo, Héctor Estrada, candidato indipendente per il comune di Campamento (Olancho) e Juan Carlos Carbajal, candidato a sindaco di El Progreso per il Partito Salvador dell’Honduras (PSH) hanno subito un grave attentato che è quasi costato loro la vita.
Secondo l’Ufficio dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Oacnudh) in Honduras e l’Osservatorio nazionale della violenza (ONV) dell’Università nazionale autonoma dell’Honduras (UNAH), sono più di 30 le morti violente registrate nell’ambito dell’attuale processo elettorale, che si prospetta persino più violento di quello del 2017.
L’Osservatorio ha riportato, fino al 25 ottobre, almeno 64 casi di violenza elettorale, tra cui 27 omicidi e 11 attentati. A questi bisogna aggiungere i più recenti attacchi che causarono la morte di cinque persone in cinque giorni (come illustrato prima), ed altre aggressioni non letali.
L’Oacnudh ha condannato gli atti di violenza elettorale “che colpiscono il diritto alla partecipazione politica” e sollecitato le autorità a condurre “indagini immediate, esaustive ed imparziali”.
Un’eredità di impunità
“Questi omicidi di leader locali sono il preludio di quanto potrebbe verificarsi durante e dopo le elezioni. Ricordiamo che tutto ciò avviene in seguito all’approvazione nel Congresso di riforme e leggi che inaspriscono la criminalizzazione della protesta sociale e della mobilitazione popolare”, ha ammonito Bertha Oliva, coordinatrice del Comitato dei Familiari di Detenuti Scomparsi in Honduras (Cofadeh).
“In pratica hanno man mano legalizzato la repressione contro chi manifesta il proprio malcontento e chi difende i diritti umani. Questi sono i risultati”, ha aggiunto.
Nel 2017 la repressione contro coloro che protestavano per la frode elettorale orchestrata dal Partito Nazionale costò la vita a 37 vittime innocenti (Cofadeh 2018). Di tutti questi casi, si è riusciti a portarne in tribunale solo uno, e l’agente accusato di aver sparato e ucciso venne prosciolto.
“Non s’indagò mai sulla catena di comando, né sul contesto in cui si verificarono quelle morti. La dittatura diede alla polizia militare garanzie d’impunità per catturare, torturare e uccidere gli oppositori per strada. Questo non fa altro che creare le condizioni affinché fatti simili e anche più violenti si ripetano”, ha preannunciato l’attivista dei diritti umani.
In tal senso, il Cofadeh sarà pronto a monitorare e denunciare tanto i reati elettorali che vengano commessi prima e durante la giornata elettorale, quanto le violazioni contro le persone che staranno esercitando il diritto al voto.
In tre per un posto
Dei 16 aspiranti alla presidenza, solamente tre hanno possibilità reali di vittoria: Xiomara Castro, del partito d’opposizione Libre, in testa nei principali sondaggi; Nasry “Tito” Asfura Zablah del Partito Nazionale, principale concorrente della moglie dell’ex presidente Zelaya, e Yani Rosenthal del Partito Liberale, rappresentante dell’altro partito tradizionale dell’Honduras e con ridotte possibilità di vittoria.
Per Xiomara Castro si tratta del secondo tentativo di aggiudicarsi la presidenza del paese, dopo le denunce di brogli e la contestata sconfitta subita nel 2013 per mano di Juan Orlando Hernández.
Dopo la presentazione pubblica del suo “Piano di governo per rifondare l’Honduras”, Castro e Salvador Nasralla (Partito Salvador dell’Honduras), hanno formato un’alleanza, cui si è aggiunto il Partito di innovazione e unità (Pinu), settori del Partito Liberale e una candidatura indipendente. Allo scopo di sommare sforzi e voti potenziali, Nasralla ha rinunciato alla sua candidatura presidenziale appoggiando quella di Libre.
Nasralla, un eccentrico e apprezzato conduttore di programmi sportivi, fu candidato alla presidenza nel 2017 per l’Alleanza d’opposizione contro la dittatura, di cui facevano parte anche Libre e Pinu e che ricevette il sostegno di un’ampia varietà di organizzazioni sociali, popolari e sindacali.
In quell’occasione, l’Alleanza denunciò l’incostituzionalità di una nuova candidatura di Juan Orlando Hernández, poiché in Honduras la Magna Carta proibisce la rielezione del presidente. Analogamente, si mobilitò per settimane contro la frode elettorale che privò Nasralla della poltrona presidenziale, col consenso tacito di Stati Uniti, Unione Europea ed OSA.
“Tito” Asfura, popolarmente conosciuto come “Papà, agli ordini”, è stato sindaco di Tegucigalpa per due periodi (2014-2022) per il partito di governo. Imprenditore che da più di 30 anni occupa posti governativi e legislativi, è stato azionista di una società offshore a Panama mentre era funzionario pubblico. In ultimo la suddetta società finì sotto il controllo della Banca Ficohsa, proprietà della potente famiglia Atala Faraj.
A giugno di quest’anno, la Corte d’appello decretò “sospesa” un’istruttoria contro il candidato filogovernativo per i reati di abuso d’autorità, uso di documenti falsi, malversazione di fondi pubblici, frode e riciclaggio di denaro sporco. Per poter procedere, la Corte dei conti dovrà portare a termine una speciale revisione dei conti sui fondi contestati dal Pubblico ministero.
Secondo informazioni pubblicate negli ultimi giorni, il nome dell’ex sindaco di Tegucigalpa è correlato al clamoroso caso di corruzione “Diamante”, che coinvolge il sindaco di San José (Costa Rica), Johnny Araya, il quale è sotto inchiesta nel suo paese per presunte tangenti in cambio di appalti pubblici.
Il terzo candidato è l’ex deputato e banchiere Yani Rosenthal, che nel 2017 fu accusato e condannato a tre anni di carcere negli Stati Uniti per aver partecipato a transazioni monetarie con beni di provenienza illecita (riciclaggio di denaro sporco del narcotraffico).
Si consegnò volontariamente e fu recluso nel Centro penitenziario metropolitano di New York. Rientrò in Honduras a metà del 2020.
Tanto le inchieste realizzate dai pubblici ministeri statunitensi, quanto i Pandora Papers, hanno rivelato la connessione esistente tra la famiglia Rosenthal, una delle più ricche della regione, e varie società offshore, che sarebbero state utilizzate per il riciclaggio di denaro.
Programmi e proposte
Se nel suo programma di governo Xiomara Castro indica la necessità di ricostruire la democrazia distrutta dal colpo di Stato del 2009 e rifondare il paese attraverso un’Assemblea costituente, che “riunisca tutti i settori per organizzare le basi legali della futura convivenza in un nuovo ordine stabilito di comune accordo”, indirizzando la nazione verso la costruzione di uno Stato socialista democratico, tanto Asfura quanto Rosenthal propongono le stesse consunte ricette neoliberiste che hanno portato l’Honduras a collocarsi tra i paesi con maggiore povertà e disparità del continente.
“Xiomara propone un governo di riconciliazione nazionale che aggreghi tutti i settori dell’opposizione. Un governo che ha l’obiettivo di superare questi anni tanto nefasti, che hanno esasperato il modello neoliberista, privatizzando servizi, cedendo territori, consegnando beni comuni, espandendo l’estrattivismo, mettendo in vendita la sovranità nazionale”, ha affermato Gilberto Ríos, candidato a deputato per il partito Libre.
Il dirigente sociale ha spiegato che il programma di governo di Libre propone di passare da uno Stato profondamente oligarchico a uno socialista democratico. Tra i molti altri punti, si vogliono abrogare tutte quelle leggi e riforme approvate dalla dittatura, che ledono profondamente gli interessi e i diritti dell’immensa maggioranza della popolazione honduregna.
Stiamo parlando, tra le altre, della Legge sull’impiego a ore, che aggrava la precarizzazione del lavoro ed annulla i diritti dei lavoratori e lavoratrici, la Legge sui segreti, che non permette la revisione dei conti pubblici per i fondi dello Stato, la Legge sulle intercettazioni, che consente di spiare l’opposizione politica e la “Legge organica della ZEDE”, che viola la sovranità nazionale. Si spera anche di revocare le riforme apportate al Codice Penale che criminalizzano la protesta e mobilitazione sociale.
“Sarà un governo più redistributivo, di opere e progetti sociali, che difende i diritti umani, coerente con le necessità e la sicurezza della popolazione. In questo senso – ha chiarito Rios – ci differenziamo dagli altri candidati e partiti politici, perché loro sono apertamente neoliberisti e rappresentano gli interessi dell’oligarchia honduregna, del capitale multinazionale e del vecchio bipartitismo. Di questo si tratta: sconfiggere il bipartitismo tradizionale e il neoliberismo”.
Com’è oggi l’Honduras?
Il paese centroamericano arriva a queste elezioni in condizioni difficili, per usare un eufemismo. Attualmente l’Honduras è tra i paesi più iniqui dell’America Latina, con il 62% della popolazione sprofondata nella povertà e quasi il 40% nella povertà estrema (EPHPM 2020). Secondo un recente rapporto dell’Istituto nazionale di statistica (INE 2021), ritirato dal sito web dell’istituto dodici ore dopo la sua pubblicazione, nel luglio 2021 la povertà aveva raggiunto il 73,6% della popolazione.
Un aumento che è anche il risultato dell’inadeguata gestione governativa rispetto all’impatto della pandemia del Covid-19 e dei due uragani che hanno colpito il paese lo scorso anno.
Secondo i dati dell’Unità tecnica di sicurezza alimentare e nutrizionale (Utsan), sono 1,3 milioni gli honduregni, donne e uomini, che devono affrontare l’insicurezza alimentare e quasi 350 mila le persone in “situazione critica”. Nel frattempo il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 10% della popolazione economicamente attiva, forse la più alta della regione latino-americana. Almeno 4 milioni di honduregni hanno problemi occupazionali e più di 700 mila non cercano nemmeno più il lavoro.
Di fronte a questo scenario, la migrazione irregolare resta l’unica opzione per migliaia di famiglie, la stragrande maggioranza delle quali viene bloccata alle frontiere. È il ritratto di una delle tragedie più immani degli ultimi 40 anni.
“Negli ultimi dieci anni l’Honduras ha subito un netto deterioramento, non solo nello stato di diritto in generale, nell’istituzionalità democratica, nell’accesso della popolazione ai servizi di base e nella lotta contro la povertà, ma anche sul piano socio-economico. Quando si guarda a tutti questi indicatori, ci si rende conto che più che di Stato fallito dobbiamo parlare di Stato defunto”, ha detto Ismael Zepeda, economista del Forum sociale del debito estero e sviluppo dell’Honduras (Fosdeh).
Attualmente il debito pubblico dell’Honduras ha superato il 70% del PIL. La crescita economica del paese si concentra fondamentalmente in tre settori: finanziario, energetico e delle telecomunicazioni.
“Sono settori che non producono sviluppo, né generano redistribuzione, al contrario producono ulteriore accaparramento. Abbiamo inoltre un esercito di oltre 250.000 impiegati pubblici che assorbono quasi il 50% del bilancio, mentre c’è un calo preoccupante delle entrate. La situazione è insostenibile e costituirà un carico molto gravoso per chi vincerà le elezioni”, ha spiegato Zepeda.
Per anni il Partito Nazionale ha mantenuto del personale in soprannumero, costituito principalmente da attivisti del partito stesso. Praticamente si è usato lo Stato come un grande bottino per dare impiego ai propri dirigenti politici e creare reti clientelari per mantenersi al potere.
Riprogettazione statale
Per l’economista del Fosdeh è necessaria una riprogettazione immediata del governo, una riconversione del sistema produttivo, un patto fiscale per dinamizzare l’economia e la ricerca di una graduazione nelle imposte. È altrettanto impellente garantire la trasparenza, la rendicontazione e la lotta alla corruzione, sviluppando parallelamente una strategia per uscire dall’indebitamento interno ed estero.
Infine la creazione di posti di lavoro dignitosi, la realizzazione di programmi di contrasto alla povertà, una gestione più equa e politiche redistributive per ridurre il divario sociale, sono altri elementi chiave che il nuovo governo dovrà implementare d’mmediato.
“Quando un paese è sprofondato in una crisi dai molteplici aspetti ed è fortemente deteriorato è facile, per così dire, per un candidato fare promesse. La cosa più importante, allora, non è tanto ciò che si offre e promette, bensì il modo in cui man mano si fanno le cose”, ha concluso Zepeda.
Precarizzazione del lavoro
Il colpo di Stato del 2009 in Honduras non soltanto infranse le istituzioni e consolidò l’oligarchia e i gruppi di potere, ma permise ai governi prosecutori del golpe di esasperare il modello neoliberista estrattivista, incentivando il saccheggio di territori e beni comuni e deregolamentando sempre più il mercato del lavoro.
Per Joel Almendares, segretario generale della Confederazione unitaria dei lavoratori dell’Honduras (Cuth), gli impatti di queste politiche sui diritti lavorativi e sindacali sono stati devastanti per la stragrande maggioranza della popolazione.
“C’è stata una crescente deregolamentazione del lavoro, insieme all’intensificarsi della flessibilizzazione e precarizzazione lavorativa. Una delle leggi più nefaste è stata senza dubbio la Legge dell’impiego a ore: si sono persi dei diritti e si sono resi precari degli impieghi a tempo indeterminato”, ha affermato Almendares.
“Ci sono anche state imprese o istituzioni che semplicemente cambiando denominazione o ragione sociale hanno fatto fuori i sindacati. Altre hanno creato sindacati paralleli per neutralizzare un percorso autentico di organizzazione”, ha aggiunto.
Regressioni
Tutte queste misure anti-operaie hanno avuto un impatto negativo sulla tutela dei diritti. “Vi è un evidente regresso nel diritto alla libera sindacalizzazione e alla negoziazione collettiva. I programmi per creare posti di lavoro si sono rivelati una burla e sono stati fatti su misura per gli interessi delle grandi multinazionali. Juan Orlando Hernández ha significato decisamente un vero caos per il settore lavorativo e sindacale”. Altro fattore che ha contributo ad acuire la crisi è stato il comportamento delle autorità del lavoro.
“Facendosi scudo della necessità di creare posti di lavoro e un ipotetico sviluppo, sono diventate di parte, proteggendo sistematicamente gli interessi del grande capitale nazionale e multinazionale. L’hanno fatto a scapito dei diritti di lavoratori e lavoratrici, abbandonandoli e consentendo che se ne violassero i diritti. Non li hanno tutelati, al contrario sono stati i loro carnefici”.
A fronte di questa situazione, la Cuth ha consegnato alla candidata di Libre la proposta politica del settore sindacale, nella quale si chiede, tra i vari punti, l’abrogazione immediata delle leggi già menzionate, di mettere fine all’esternalizzazione e precarizzazione del lavoro, di garantire il rispetto dello Statuto del Docente e delle convenzioni dell’OIT, ovvero gli accordi su libertà sindacale, negoziazione collettiva, relazioni di lavoro nella pubblica amministrazione, lavoratrici e lavoratori domestici, violenza e mobbing nel mondo del lavoro, consultazione previa, libera ed informata.
Il cancro della corruzione
Il 17 novembre scorso, si è proiettato in anteprima in un cinema di Tegucigalpa il lungometraggio “Ai bordi delle ombre”, un documentario che mette a nudo le reti di corruzione, impunità, usurpazione territoriale e violenza che vive il popolo honduregno, obbligato ad affrontare piani perversi che operano nell’ombra.
Luís Méndez, membro del collettivo ‘La Cofradía’ che realizzò il documentario, ha spiegato che l’obiettivo dell’opera è per l’appunto mostrare alla popolazione come sono costituite e come si articolano le reti di corruzione che coinvolgono in modo trasversale politici, funzionari pubblici, gruppi economici nazionali e multinazionali.
Il documentario affronta quattro ambiti che sono cruciali: il saccheggio della Previdenza sociale e la crisi sanitaria dovuta alla pandemia del Covid-19; l’usurpazione di territori e beni comuni; la cooptazione del sistema giudiziario e la sua collusione con la corruzione, il crimine organizzato e la criminalizzazione della protesta. Il quarto ambito ha a che fare col concetto di democrazia in un contesto collassato com’è quello honduregno.
Attraverso personaggi chiave ed esperti, con la partecipazione dell’attuale titolare dell’Unità fiscale specializzata contro reti di corruzione (Uferco), Luis Javier Santos, per tirare le somme, l’opera smuove le fondamenta e scuote la coscienza della gente, evidenziando come l’Honduras sia controllato da una rete criminale che ha governato dal colpo di Stato del 2009 e che si è incistata nell’apparato statale.
“Il documentario provoca disappunto, sdegno e rabbia, ma lascia anche la sensazione che non siamo vinti, che è possibile lottare, come fanno molte organizzazioni e persone a partire dai loro territori e città. In mezzo a tanta violenza di Stato, in mezzo ad uno Stato sequestrato – ha continuato Méndez – c’è resistenza e lotta. Come diceva Berta, i popoli sanno fare giustizia e lo fanno a partire dal loro percorso, dalla loro resistenza, dalla loro lotta per emanciparsi”.
Ora basta!
A pochi giorni dall’appuntamento elettorale, la Convergenza contro il continuismo, spazio composto da varie organizzazioni e personalità, si è pronunciata pubblicamente e ha ricordato che queste elezioni “si svolgono in un contesto di narco-dittatura, i cui artefici sono giunti al controllo dello Stato per la via violenta e incostituzionale e non sono disposti a cedere il potere attraverso la via politica democratica”.
In tal senso, la Convergenza ha ribadito il suo ripudio “alla mafia che guida Juan Orlando Hernández” e ha messo in guardia contro la possibilità che, di fronte a un’imminente sconfitta, “orchestri un nuovo e brutale broglio elettorale, partendo dalla manipolazione delle procedure di votazione e del conteggio dei voti”.
Infine, ha lanciato un accorato appello al popolo honduregno affinché “si mobiliti in massa alle urne” e difenda il suo voto “da tali macchinazioni antidemocratiche”. L’ha inoltre esortato a punire con il voto “il gruppo criminale che ha sequestrato lo Stato” e a votare per le candidature “che hanno dato solida prova di essere contro la narco-dittatura, di lottare contro la corruzione e per la difesa della sovranità nazionale”.
Violenza contro attivisti dei diritti
Diversi rapporti a livello internazionale, tra cui “Ultima linea di difesa”, pubblicato quest’anno dall’organizzazione britannica Global Witness, segnalano l’Honduras come uno dei luoghi più pericolosi al mondo per le persone che difendono i diritti umani, specialmente per coloro che difendono la terra ed i beni comuni.
I casi emblematici dell’assassinio di Berta Càceres, la sparizione forzata degli attivisti garìfuna di Triunfo de la Cruz e la carcerazione illegale degli otto difensori dell’acqua e della vita di Guapinol, sono un chiaro esempio di quanto sta avvenendo nel paese.
L’uso e abuso del sistema giudiziario e la collusione dello Stato con imprese estrattiviste sono due degli elementi che caratterizzano la violazione sistematica dei diritti umani in Honduras.
Secondo Global Witness, nel 2020 almeno 129 persone, garífuna ed indigene, hanno subito attacchi per essersi opposte a progetti estrattivi e 153 attivisti, uomini e donne, sono stati assassinati negli ultimi dieci anni. Il Centro d’informazione su imprese e diritti umani (Ciedh) segnala inoltre l’Honduras come paese con la maggiore persecuzione giudiziaria contro persone attive nella tutela dei diritti umani.
Drammatica è anche la situazione delle donne e delle persone LGBTI. L’Osservatorio dei diritti umani delle donne del Centro dei diritti delle donne (Cdm) segnala che, nei primi cinque mesi dell’anno, la Procura ha registrato un totale di 1.423 denunce per reati sessuali (9,5 al giorno). Di questi, in 1.238 casi si trattava di aggressioni contro donne (8,1 al giorno), in 785 casi (il 63,4%) contro minori. Questi dati confermano che in Honduras ogni 3 ore viene aggredita sessualmente una donna o una bambina.
Negli ultimi dieci anni in Honduras sono state assassinate 4.707 donne, 710 negli ultimi due anni (2019-2020), e 301 sono le vittime di femminicidio fino al 15 di novembre 2021. L’impunità è praticamente assoluta.
Secondo l’Osservatorio delle morti violente della Red Lésbica Cattrachas, in poco più di 12 anni sono state ammazzate 390 persone Lgbti, 17 solo quest’anno. Il 91% dei casi cade completamente nel dimenticatoio e nell’impunità. Solamente il 9% ottiene una sentenza di condanna.
Nei mesi scorsi un nutrito e rappresentativo gruppo di organizzazioni di donne e femministe realizzò un’assemblea con Xiomara Castro, per esporre le proprie richieste e proposte. L’attività condusse alla firma di un ‘patto di Stato’, il cui contenuto comincerà ad essere attuato nel caso in cui lei venga eletta come prima presidentessa dell’Honduras. La candidata dell’alleanza d’opposizione si è parimenti impegnata, nel suo piano di governo, a realizzare politiche pubbliche che salvaguardino l’esistenza e garantiscano l’accesso ai diritti umani fondamentali delle persone Lgbti(p.64).
Votare contro la dittatura
Il Consiglio civico di organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh) ha unito la sua voce “in un momento di battaglia per la sopravvivenza di fronte alla massima espressione di usurpazione, paura e violenza della storia del nostro Paese, dovuti all’instaurazione di un governo de facto e autoritario”.
Sebbene nelle urne non si cambierà l’Honduras – spiega il comunicato del Copinh – votare contro la dittatura che ci governa costituirà un primo passo. Il popolo honduregno, nella sua maggioranza, darà un voto di rifiuto per via dei patimenti accumulati. L’organizzazione di cui Berta Cáceres fu cofondatrice, ha allertato la popolazione sul fatto che “le condizioni per i brogli sono già installate”, affermando che come cittadini “ci prepariamo a respingere la frode elettorale a partire dalle forme ed espressioni che il popolo ha”.
Infine il Copinh ha esortato all’immediata convocazione di un’Assemblea costituente popolare e democratica “che dia luogo alla ricostruzione del nostro paese accogliendo le richieste storiche delle comunità indigene, nere, contadine, delle donne, delle comunità migranti, dei lavoratori e lavoratrici, della comunità Lgbti, dei settori della chiesa di base, tra gli altri, per abrogare ogni legge che esponga la popolazione alla consegna forzata dei propri territori ed alla violazione dei diritti”.
“Facciamo appello al popolo – conclude il comunicato – affinché attivi processi organizzativi, di articolazione e dibattito per realizzare il sogno urgente di Berta Cáceres di rifondare l’Honduras. Il popolo dell’Honduras ha bisogno di un governo d’interesse popolare che faccia fronte ai settori economici che si sono arricchiti indebitamente in questi 12 anni di batoste contro i popoli indigeni, neri e contadini e contro la maggior parte della popolazione”.
La sfida di porre fine al neoliberismo
Senza alcun dubbio, le elezioni di domenica prossima rappresentano una pedina molto importante sullo scacchiere politico e sociale honduregno e centroamericano.
“La cittadinanza ha un enorme desiderio di cambiamento. Vuole avere un’alternativa a ciò che ha dovuto vivere in questi anni. Ha l’aspettativa che si avvii una fase di recupero dei diritti persi. Vuole avere delle opportunità, vuole che si rispettino i territori e la sovranità nazionale”, ha spiegato il sociologo e analista politico Eugenio Sosa.
“L’Honduras si trova quindi a un bivio. Deve scegliere tra il continuismo di un regime e di un modello fallito e l’inizio di un processo di apertura e cambiamento” ha aggiunto.
Il regime rispetterà un’eventuale sconfitta o cercherà, come nel 2017, un modo illegale per mantenersi al potere? Questo si chiede Sosa.
“La gente non ha dimenticato quanto è accaduto quattro anni fa. Vi è molta incertezza riguardo a ciò che saranno l’adempimento delle autorità elettorali, il conteggio dei voti, la trasmissione dei risultati, l’individuazione degli scrutatori di seggio per evitare la compravendita di credenziali.
Allo stesso tempo c’è una determinazione mai vista prima e Xiomara (Castro) ha saputo recuperare e trascinare a sé il consenso di ampi e diversi settori della società honduregna”, ha concluso Sosa.
Traduzione: Adelina Bottero
Fonte: LINyM