Geraldina Colotti
“Un esercizio demagogico senza benefici, con incontri preregistrati e un’agenda totalmente manipolata”. Così il ministero degli Esteri cubano ha descritto il “Vertice per la democrazia” convocato dagli Stati Uniti il 9 e 10 dicembre in forma virtuale.
Un giudizio condiviso dai Paesi dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (Alba), che il 14 ha organizzato all’Avana un vertice con tutt’altro significato e con tutt’altra finalità: un incontro sud-sud, a favore dei popoli decisi a essere liberi e non complici di chi ostacola la loro sovranità e il loro vero sviluppo.
Il vertice di Biden – ha detto Cuba – non ha avuto effetti pratici quanto alla ricerca di una soluzione condivisa dei grandi problemi in gioco (fame, malnutrizione, povertà e disuguaglianze crescenti, condizioni insalubri, problemi migratori, traffico di droga, criminalità organizzata e transfrontaliera, corsa agli armamenti, clima, privatizzazione dei brevetti…), essendo l’imperialismo statunitense parte preponderante di questi problemi e non certo la soluzione. E così, l’unico risultato apparente è stato l’impegno a destinare 400 milioni di dollari alla sovversione politica di Stati sovrani, in flagrante violazione del diritto internazionale. La stessa vecchia strada.
Al contrario, nella dichiarazione finale, sintetizzata dal presidente cubano Miguel Díaz-Canel, l’Alba-Tcp ha proposto di avanzare su questioni come il cambiamento climatico, l’emigrazione, la strategia post-Covid-19, essendo l’organismo creato da Fidel e Chávez l’alternativa contro il nuovo colonialismo economico.
Il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha invitato i paesi partecipanti a creare un piano di sviluppo economico globale e non asimmetrico per i popoli che partecipano al meccanismo di integrazione. “Divisi siamo deboli – ha affermato – e nessuno da solo raggiungerà lo sviluppo individuale”.
Anche Cina e Russia hanno denunciato l’uso politico del “Summit for Democracy”, dal quale sono stati esclusi molti paesi, benché amici degli Usa. Uno degli obiettivi dell’incontro di Biden, hanno affermato Pechino e Mosca, è stato quello di dividere il mondo e usare la democrazia “come un’arma per mantenere l’egemonia degli Stati Uniti”, anche se Washington non ha titolo morale per proporsi come paladino della democrazia, essendo gli Usa un paese che viola palesemente i principi fondanti di questo concetto, dentro e fuori i suoi confini.
Dietro la retorica sulla democrazia “come sfida che definisce il nostro tempo”, il vertice di Biden ha riaffermato la difesa del sistema capitalista e ha esibito il contributo di quei governi che sostengono il modello e che accettano l’autorità egemonica degli Stati Uniti. Un tentativo di nascondere la crescente perdita di influenza del “gendarme mondiale”, sia nel continente latinoamericano che in altre regioni meridionali.
La presenza virtuale di un fantoccio autoproclamato che nessuno ha votato, come Juan Guaidó, ha ulteriormente mostrato il livello di “democrazia” promosso (anche con le bombe) da Washington. L’estradizione illegale del diplomatico venezuelano Alex Saab, rapito a Capo Verde, indica quanto poco l’amministrazione statunitense si preoccupi del rispetto delle regole. E, quanto alla retorica sul diritto di espressione, che gli Stati Uniti usano come arma contro i governi che sono la vera espressione del popolo, basti pensare al caso del giornalista Julian Assange.
Il fondatore del sito Wikileaks sta per essere estradato negli Stati Uniti, a seguito di una nuova decisione di un tribunale londinese. Dato il suo stato di salute e quello della “democrazia” americana, il giornalista avrebbe pochissime possibilità di sopravvivere nelle carceri degli Stati Uniti, dove coloro che hanno sfidato il sistema permangono detenuti da cinquant’anni.
La colpa di Assange è stata quella di aver svelato i veri interessi che guidano gli interventi “umanitari” dell’imperialismo per “esportare” il suo concetto di “democrazia” nei paesi del sud. Fare bene il proprio lavoro può costarei caro, come indicato dal gran numero di giornalisti uccisi o imprigionati ogni anno negli Stati Uniti e in Colombia.
Un’ondata di indignazione generale sta montando contro l’estradizione di Assange. Una dichiarazione congiunta del Gruppo Puebla e del Consiglio latinoamericano per la giustizia e la democrazia (CLAJUD) denuncia che l’estradizione del giornalista negli Stati Uniti crea gravi precedenti di violazione dei diritti umani e della libertà di espressione e di informazione. Il comunicato considera la decisione della Corte di Westminster nel Regno Unito un grave errore giudiziario che mette in pericolo la vita di Assange e che fa parte della strategia del lawfare, l’uso politico della magistratura.
Assange – rileva il comunicato congiunto – ha messo a disposizione del mondo prove inequivocabili sulla responsabilità di politici, diplomatici, militari, uomini d’affari, principalmente statunitensi, in decisioni e azioni che hanno avuto un forte impatto sulla politica interna dei diversi Stati in tutto il mondo. Rivelazioni che mostrano estorsioni, spionaggio, operazioni segrete, destabilizzazione e persino attacchi armati contro i civili. Fino alla comparsa di questi documenti – prosegue il comunicato – lo Stato nordamericano si è riservato di definire il momento e il contenuto dei documenti che potrebbero essere mostrati in pubblico e quali dovrebbero rimanere segreti.
Assange, quindi, ha reso un grande servizio alla verità e alla libertà di informazione. Eppure, paradossalmente, invece di essere applaudito, è stato punito, condannato, denigrato e criminalizzato. In nome, ovviamente, della “democrazia”.
Anche la dichiarazione finale dell’Incontro antimperialista per i diritti dei popoli, organizzata dal ministero degli Esteri venezuelano, sia in presenza che virtualmente, ha indicato il governo degli Stati Uniti e le sue agenzie quali l’Organizzazione degli Stati americani (Osa) e altre entità coloniali nordamericane, nonché i potenti gruppi economici transnazionali, come i principali artefici dei processi di violazione sistematica dei diritti dei popoli.
L’incontro ha dato origine alla proposta di un Coordinamento americano concepito come “uno spazio antimperialista di combattenti per i diritti umani e umani, proclamando categoricamente che la lotta per i diritti umani è una parte inseparabile delle lotte che condurranno alla Seconda e definitiva Indipendenza della nostra America”.