Sergio Rodríguez Gelfenstein, Mision Verdad, 15 dicembre 2021
La situazione attuale in Cile è sempre più sorprendentemente simile a quella dei primi anni ’90 in Venezuela. Al momento, come oggi in Cile, c’erano stati 30 anni di post-dittatura. I due Paesi all’epoca si presentavano come “modello di democrazia da seguire” ed “esempio per il mondo” basato sul “successo” del sistema di democrazia rappresentativa bipartisan in cui l’economia era messa al servizio di una minoranza della popolazione.
“Non sono trenta pesos, sono trent’anni” avrebbero potuto esclamare le decine di migliaia di manifestanti che inscenarono il “caracazo” del 27-28 febbraio 1989, movimento di protesta popolare che si espresse in massa nel rifiuto delle misure neoliberali attuate dal presidente Carlos Andrés Pérez. Nel quinto maggior produttore ed esportatore di petrolio al mondo, c’era il 51% di povertà. Le sorti di Pérez (ostinatamente corrotto, come dimostrò qualche anno dopo) e della falsa democrazia furono segnate per sempre. Migliaia di morti e dispersi, finora, furono la risposta del governo alla vivace azione popolare. Ma entrambe le situazioni presentano delle differenze, una delle quali molto rilevante. Di fronte al massiccio clamore dei cittadini e la disapprovazione del sistema per l’inerzia, la passività e la complicità dei politici, un gruppo di soldati patriottici, attenti alla situazione creatasi, condusse nel 1992 due insurrezioni per esprimere il sostegno al sentimento popolare. Il primo di questi, effettuato il 4 febbraio sotto la guida di Hugo Chávez Frías, sconosciuto tenente colonnello delle forze speciali, sollevò lo spirito combattivo, indicò una strada diversa e pose Chávez sul piedistallo delle future battaglie. Come mai prima d’ora nella storia del Venezuela un leader si assunse la responsabilità del fallimento, ma questa volta della sconfitta “per ora”. Il movimento gli tracciò la via alla vittoria con ciò che quel giorno significò sconfitta.
Chávez e compagni andarono in prigione. Lo stesso pomeriggio di quel giorno in una riunione straordinaria del Congresso, l’ex-presidente Rafael Caldera emerse dall’ombra in modo che, coll’opportunismo tipico di ogni spregevole politico tradizionale, e con un discorso vibrante in cui chiamava a rivedere le vere cause della rivolta, colse il ruolo dell’azione che scosse la società venezuelana. Due anni dopo, Caldera fu eletto presidente del Venezuela. La somiglianza della situazione di entrambi i Paesi è data perché in Cile, dal 18 ottobre 2019, come in Venezuela durante il “caracazo”, era scosso da un grande movimento popolare per ripudiare il perdurante sistema neoliberista della dittatura. La massiccia protesta fu l’espressione dei sentimenti di un popolo stanco dopo 30 anni di esclusione e impoverimento, in particolare delle fasce più povere della popolazione. La risposta del presidente Piñera, come quella di Carlos Andrés Pérez trent’anni fa, fu una repressione brutale con l’aggravante di aver contribuito con una nuova tecnica composta dalle forze di polizia che sparavano agli occhi per accecare i manifestanti, esponendo così un nuovo attributo della democrazia rappresentativa. Va detto che i proiettili riuscirono a togliere la visione fisica dei manifestanti feriti, ma non intaccò la visione politica, grinta ed anima pura della maggioranza, come dimostra la senatrice Fabiola Campillai eletta con la prima maggioranza a Santiago, che perse la vista a causa della repressione omicida di Piñera e della democrazia rappresentativa.
Quando le proteste erano allo zenit e Piñera vacillava e quando il popolo decise di portare avanti il suo movimento fino alla fine di fronte a “inattività, passività e complicità dei politici”, da Rafael Caldera del 21° secolo, Gabriel Boric apparve, come una fenice, a salvare il suo camerata Sebastián Piñera proprio come, nel salvaguardare la democrazia rappresentativa, era corso a Londra per esprimere il suo sostegno a Pinochet detenuto per violazioni dei diritti umani. Così un “salvatore” ha salvato un altro “salvatore”. Il patto delle élite politiche del 15 novembre 2019 paralizzò largamente le proteste e Gabriel Boric emerse come il principale protagonista della salvezza del sistema tanto che due anni dopo, come Caldera, veniva eletto presidente o almeno, essere un candidato forte mentre scrivo queste righe.
Nel 1994, Caldera era considerato il “male minore” di fronte a quella che si stimava essere l’irruzione neoliberista in Venezuela. Un gran numero di forze venne a sostenerlo, compreso il Partito Comunista (PCV) contro il candidato che al momento rappresentava la sinistra. Fu così costituito il “chiripero”, i comunisti furono al governo per la prima volta dall’inizio della democrazia rappresentativa nel 1958. Un ex-guerrigliero, Teodoro Petkoff (al secolo Carlos Ominami), di ultra-sinistra divenuto neoliberista, divenne ministro della Pianificazione, privatizzando tutto ciò che poteva esserlo, come la compagnia aerea venezuelana (VIASA), lasciando disoccupati tutti i lavoratori tranne uno: suo figlio. Così, la sinistra “chiripera” divenne neoliberista e privatizzatrice, al punto che il PCV fu costretto a lasciare il governo dopo l’”inganno” di Caldera che fece il contrario di quanto concordato, prendendo le distanze dal governo di Carlos Andrés Perez. Al contrario, l’amministrazione Caldera fu di profonda continuità neoliberista.
Non votai per Caldera, non accettai il “male minore” e preferì aspettare una situazione migliore nel momento in cui il Comandante Chávez e i suoi compagni erano ancora in prigione. Chávez uscì di prigione nel 1994 e si mise in viaggio per le strade del Venezuela per illustrare il suo progetto per il Paese. Il “caracazo” del 1989, ampliato nel 1992, aveva dato i natali a un nuovo leader.
Nella campagna elettorale del 1998, Chávez invitò uomini e donne a partecipare alla costruzione di un Paese diverso basato sull’approvazione di una nuova Costituzione che doveva essere redatta da autentici rappresentanti del popolo e da questo approvata in un referendum costituente. Il popolo credettea Chávez e lo elesse presidente col 56,5% dei voti. Aveva ritrovato il coraggio, Chávez lo salvò e gli diede tutto il significato che dovrebbe avere una vera democrazia. Per questo in Venezuela la democrazia, oltre ad essere rappresentativa, è partecipativa e gode dell’importanza del popolo nel mandato della Costituzione che andò approvata il 15 dicembre 1999. Certo, il processo fu imperfetto, ebbe molti problemi perché modello in costruzione sotto assedio incessante, intervento e ingerenza delle potenze imperialiste nordamericane ed europee. Ma nel 1998 valeva la pena non arrendersi al “male minore” del 1994. Quello stesso inganno costò al Cile 32 anni di continuità dittatoriale a cui se ne potrebbero aggiungere altri quattro, se la Convenzione costituzionale non l’impedisse almeno in parte. Il “male minore” è quello che portò Biden alla presidenza degli Stati Uniti e ne abbiamo visti i risultati. Non ho dubbi che i democratici nutrano un’aspettativa diversa per il popolo nordamericano rispetto ai repubblicani. Allo stesso modo, non metto in dubbio che per il popolo cileno, Boric sia un’opzione diversa da Kast. Ma in politica estera, i due promettono la stessa cosa: continuare a mantenere il Cile quale alleato privilegiato degli Stati Uniti, in particolare nei tentativi di rovesciare i governi di Cuba. Nicaragua e Venezuela. Boric e Kast, allo stesso modo, caratterizzano i loro governi come dittature.
Il “male minore” cileno per il Venezuela si è diffuso alle organizzazioni internazionali. La signora Bachelet, espressione superlativa di tale “male minore”, continua ad essere espressione della politica imperialista basata su rapporti faziosi che ritrasmettono le politiche decise a Washington e che lei rispetta pienamente. Sono cileno e venezuelano. Rispetto sinceramente tutti i miei amici che in Cile voteranno per Boric, ma vivo in Venezuela, non posso votare per qualcuno che si presenta come nemico del Paese e che sostiene il rovesciamento del suo governo. Devo pensare al Paese, ma soprattutto al futuro della mia famiglia e di mio figlio. L’ambiente concertativo di Socialisti, Pepedes e Democratici Cristiani che si sono recentemente avvicinati a Boric per costruire la sua politica, è di buon auspicio per un nuovo Petkoff alla guida dell’economia. Emarginano il PC fino a quando non sarà costretto, se sarà coerente con la sua storia, a lasciare il governo. È solo auspicabile che con Boric non succeda ai comunisti la stessa cosa con González Videla negli anni Quaranta, che aiutarono a eleggere e che, una volta al governo, li perseguitò, isolò e represse. Per ora è anche auspicabile che la Convenzione costituzionale, pur non essendo costitutiva, possa generare un nuovo quadro istituzionale che spazzi via quello attuale, ereditato dalla dittatura, e che i cileni abbiano una nuova opzione in cui non sono obbligati ad optare per il male minore. Ho piena fiducia che la saggezza popolare porterà all’emergere di un’altra leadership che porti a un nuovo presidente fedele rappresentante dei suoi interessi. Finché arriverà quel momento, in questo 2021 in Cile, come nel 1993 in Venezuela, non voterò. Spero che anche il Cile abbia un 1998 luminoso che permetta di “aprire le grandi vie da cui passa l’uomo libero nel costruire una società migliore” come affermò il Presidente Allende, l’unico vero Salvatore che il Cile ha avuto nella sua storia recente.