Se parliamo di Guerra Fredda e di nuova Guerra Fredda, non possiamo ignorare Marx, quando, dal 18 Brumaio… ci ricorda: «Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa»
Jorge Casals LLano www.granma.cu
Benché risulta quasi irresistibile la tentazione di iniziare il presente articolo con almeno un riferimento alle origini e all’essenza stessa del multiforme conflitto iniziato dopo la Seconda Guerra Mondiale fu denominato Guerra Fredda e si estese fino alla disintegrazione dell’URSS, ci esonera da ciò l’urgenza di esporre le minacce che si annunciano nel titolo e la necessità di riflettere sui nuovi pericoli che ci minacciano tutti per le azioni di USA e NATO contro la Russia.
La fine della Guerra Fredda, la prima, fu considerata il culmine delle guerre e delle rivoluzioni dopo il definitivo trionfo del mercato, del liberalismo e del neoliberalismo che erano stati promossi dal Washington Consensus. Con la decomposizione dell’URSS, nel 1991, si diede per terminato l’ordine mondiale post seconda guerra, quello del mondo bipolare, che il politologo Francis Fukuyama salutò con il suo frettoloso decreto della fine della storia, che supponeva il definitivo trionfo del liberalismo economico con le sue conseguenze politiche e sociali e per la democrazia liberale.
Al mondo bipolare seguì l’unipolare dominato dagli USA e, in questo, l’impero del neoliberalismo e il regno della globalizzazione. Tuttavia, e sfortunatamente per la pseudoscienza di Fukuyama, dagli stessi anni ’90, il neonato mondo unipolare cominciò a sfaldarsi, così rapidamente, che già a metà del decennio (1994-1995) cominciarono le crisi: la prima in Messico, a cui seguirono quelle dell’Argentina da Alfonsín, l’iperinflazione e il piano Austral, poi con Menen e la convertibilità del peso argentino e anche con De la Rúa e la sua fuga, in elicottero dalla Casa Amarilla; seguirono le crisi delle tigre asiatiche e anche quella della Russia, che la fine della storia l’aveva collocata nel presunto mondo libero; quella del Brasile con la svalutazione del Real… e il tutto accompagnato dalla crescente finanziarizzazione dell’economia.
E fu la finanziarizzazione quella che fece sì che l’economia mondiale, quella degli USA e dei paesi ricchi, funzionasse come lo avevano previsto i globalizzatori neoliberali. Gli USA raggiunsero un periodo di eccezionale boom – come era stato l’immediato periodo successivo alla II Guerra Mondiale, quando poterono approfittare degli orrori e della distruzione da questa causata- in cui pareggiarono il proprio bilancio, crebbero e addirittura fu considerata un’economia perfetta, espressione che era già stata usata, dalla stampa USA, nei giorni precedenti la crisi che sarebbe scoppiata quel lontano martedì nero dell’ottobre 1929. E così fu fino alla fine del 2007 e anche nel 2008 fino a che iniziò quella che si chiamò crisi sub prime, dopo ipotecaria, poi di illiquidità, di credito, di ipoteche spazzatura, globale…
A partire dalla crisi di molteplici nomi, si adottarono misure partendo dal presupposto che si trattava di un’altra crisi ciclica, finanziaria, per cui il trattamento fu più o meno lo stesso: iniezioni di liquidità, tagli fiscali, abbassamento dei tassi di interesse… misure tutte dirette a garantire che i mercati, agendo liberamente, ristabilissero la stabilità e l’efficienza nel sistema. Furono così commessi due errori: il primo, non comprendere che la crisi era già del capitalismo stesso, del sistema stesso, e non parte del suo meccanismo regolatorio; il secondo, e conseguenza del primo, supporre che le misure adottate avrebbero risolto la crisi.
Non tenendo conto che in quanto crisi del sistema, le crisi sono diverse e una sola -compresa quella dell’egemonia USAamericana, e dell’Occidente, in realtà degli USA e dei suoi stati vassalli e servi-, sarebbe fallita la strategia della continuità del processo di globalizzazione, accompagnato dall’indesiderabile (per il capitalismo) rafforzamento del socialismo di mercato. Tutto ciò, mentre promosse, ancor più, il processo di finanziarizzazione dell’economia, rese evidente l’errore della geostrategia globalizzante concepita per rispondere agli interessi della plutocrazia dominante (l’1%), sempre più transnazionale, insieme al fatto che gli stati- nazione incaricati di attuare tale strategia erano anche, sempre più, stati transnazionalizzati.
E, necessariamente, sarebbe fallita perché, pur senza un centro unico, questi stati transnazionalizzati utilizzano e sono impiegati da istituzioni come il g7, il g20, il FMI, l’OMC, il World Economic Forum (Davos Forum) e centinaia di università, think tank, comitati di esperti, il Pentagono e strutture come la NATO, ora anche come il quad, l’Aukus e altre strutture militari simili, che compongono una rete capace di programmare, coordinare e difendere gli interessi del grande capitale.
Solo che, paradossalmente, non essendo comuni gli interessi di questo grande capitale tra le parti che lo compongono, possono prodursi e si producono, disaccordi che non solo non contribuiscono a risolvere i problemi esistenti, a stabilizzare i mercati, ad aumentarne l’efficienza e tanto meno a risolvere i problemi della povertà, disuguaglianza, disoccupazione e del riscaldamento globale…, il che acutizza le contraddizioni del sistema, in particolare quelli del suo paradigma, e quelli di questi con i suoi partner, compresi quelli più vicini come quelli della NATO, poiché, come ci segnala il Capitale, «se il tumulto e le dispute significano profitti, li ci sarà il capitale accanendole. Prova: il contrabbando e la tratta degli schiavi». E oggi, alle prove che Marx ci presentò all’epoca, possiamo aggiungere la Guerra Fredda, ora più perversa, visto l’aumento di potenza mortifera raggiunto dalle armi nucleari e dai sistemi ipersonici che le trasportano.
E se parliamo di Guerra Fredda e della nuova Guerra Fredda, non possiamo ignorare Marx, quando, dal 18 Brumaio… ci ricorda: «Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa», e anche che quest’ultima può essere molto peggio. L’analisi da questa prospettiva complessiva permette precisare che, se nella prima Guerra Fredda la tragedia era stata conseguenza della lotta geopolitica tra capitalismo e socialismo, rappresentato dall’URSS, in cui il socialismo dell’Est europeo fu sconfitto, in questa nuova, nella farsa che ci viene presentata ora, il socialismo non è neppure menzionato, e persino solo formalmente ha a che vedere con la Russia, poiché, anche senza nominarla, si riflette la Cina.
È che in realtà ciò che si sta cercando di nascondere con questa nuova Guerra Fredda è il declino del capitalismo e, soprattutto, la perdita USA dell’egemonia globale e persino della sua capacità di dominare il mondo. A proposito, nella montatura della farsa è impossibile che non si noti che se alla fine della prima possa relazionarsi a Gorvachev ed alla perestrojka (dal russo, ricostruire), la seconda è già legata a Biden e al build back better (dall’inglese, ricostruire, benché con better dica meglio).
E nel pasticcio di mantenere gli interessi geopolitici degli USA in Europa orientale (ancora considerata parte della terra-cuore dalla geopolitica più tradizionale e quindi presumibilmente necessaria per il dominio del mondo), l’amministrazione Biden continua a promuovere il keynesismo militare, e la guerra fredda e la NATO, ciò che l’Europa accetta, anche quando va contro i suoi interessi più legittimi e porta il mondo al parossismo dell’assurdo. Al di là della farsa non c’è alternativa: c’è spazio solo per la razionalità e la ragione.
EE.UU.: Del liderazgo perdido a la nueva Guerra fría y más allá
Si hablamos de Guerra fría y de nueva guerra fría, no podemos pasar por alto a Marx, cuando, desde el 18 Brumario… nos recuerda: «Hegel dice en alguna parte que todos los grandes hechos y personajes de la historia universal aparecen, como si dijéramos, dos veces. Pero se olvidó de agregar: una vez como tragedia y la otra como farsa»
Autor: Jorge Casals LLano
Aunque resulta casi irresistible la tentación de comenzar el presente artículo con al menos una referencia a los orígenes y a la esencia misma del multifacético conflicto que al iniciarse luego de la Segunda Guerra Mundial fuera denominado Guerra fría y se extendiera hasta la desintegración de la URSS, nos exonera de ello la urgencia de exponer las amenazas que se anuncian en el título y la necesidad de reflexionar sobre los nuevos peligros que a todos nos acechan por las acciones de EE. UU. y la OTAN contra Rusia.
El final de la Guerra fría, la primera, fue considerado el colofón de las guerras y las revoluciones luego del triunfo definitivo del mercado, el liberalismo y el neoliberalismo que habían sido impulsados desde el Consenso de Washington. Con la descomposición de la URSS, en 1991, se dio por terminado el orden mundial post segunda guerra, el del mundo bipolar, lo que saludó el politólogo Francis Fukuyama con su apresurado decreto del fin de la historia, que suponía el definitivo triunfo del liberalismo económico con sus consecuencias políticas y sociales y para la democracia liberal.
Al mundo bipolar le siguió el unipolar dominado por EE. UU., y en este, el imperio del neoliberalismo y el reino de la globalización. No obstante, y desafortunadamente para la seudociencia de Fukuyama, desde los mismos 90, el recién nacido mundo unipolar comenzó a resquebrajarse, tan rápidamente, que ya a mediados del decenio (1994-1995) comenzaron las crisis: la primera en México, a la que le siguieron las de Argentina desde Alfonsín, la hiperinflación y el plan Austral, luego con Menen y la convertibilidad del peso argentino y también con De la Rúa y su fuga, en helicóptero y desde la Casa Amarilla; siguieron las crisis de los tigres asiáticos y también la de Rusia, a la que el fin de la historia la había situado en el supuesto mundo libre; la de Brasil con la devaluación del Real… y todo acompañado por la creciente financierización de la economía.
Y fue la financierización la que hizo que la economía mundial, la de EE. UU. y los países ricos, funcionara como lo habían previsto los globalizadores neoliberales. Estados Unidos alcanzó un periodo de auge excepcional –tanto como lo había sido el inmediatamente posterior al de la Segunda Guerra Mundial, cuando pudo aprovecharse de los horrores y de la destrucción por ella causada–, en el que equilibró su presupuesto, creció y hasta fue considerada una economía perfecta, expresión que ya había sido utilizada por la prensa estadounidense en los días previos a la crisis que estallara aquel lejano martes negro de octubre de 1929. Y así fue hasta los finales de 2007, y también en 2008 hasta que comenzó la que se llamó primero crisis sub prime, después hipotecaria, luego de iliquidez, de crédito, de hipotecas basura, global…
A partir de la crisis de múltiples nombres se adoptaron medidas bajo el supuesto de que se trataba de una crisis cíclica más, financiera, por lo que el tratamiento fue de más de lo mismo: inyecciones de liquidez, recortes impositivos, bajas de los tipos de interés… medidas todas dirigidas a garantizar que los mercados, actuando libremente, restablecieran la estabilidad y la eficiencia en el sistema. Se cometieron así dos errores: el primero, no comprender que la crisis era ya del capitalismo mismo, del sistema mismo, y no parte de su mecanismo de regulación; el segundo, y consecuencia del primero, suponer que las medidas adoptadas resolverían la crisis.
Al no tener en cuenta que en tanto crisis del sistema, las crisis son diversas y una sola –incluyendo la de la hegemonía usamericana, y occidente, en realidad EE. UU. y sus estados vasallos y siervos–, sería fallida la estrategia de la continuidad del proceso globalizador, acompañado del indeseable (para el capitalismo) fortalecimiento del socialismo de mercado. Todo ello, a la vez que impulsó aún más el proceso de financierización de la economía, hizo evidente el error de la geoestrategia globalizadora concebida para dar respuesta a los intereses de la plutocracia dominante (el 1 %), cada vez más transnacional, junto al hecho de que los estados-nación encargados de ejecutar tal estrategia eran, también cada vez más, estados transnacionalizados.
Y necesariamente sería fallida porque, aunque sin un centro único, esos estados transnacionalizados utilizan y son empleados por instituciones como el g7, el g20, el fmi, la omc, el Foro Económico Mundial (Foro de Davos) y cientos de universidades, tanques de pensamiento (think tanks), comités de expertos, el Pentágono y estructuras como la OTAN, ahora también como el quad, el Aukus y otras estructuras militares similares, que conforman un entramado capaz de programar, coordinar y defender los intereses del gran capital.
Solo que, paradójicamente, al no ser comunes los intereses de ese gran capital entre las partes que lo componen pueden producirse, y se producen, desacuerdos que no solo no contribuyen a resolver los problemas existentes, a estabilizar los mercados, a aumentar su eficiencia, y mucho menos a resolver los problemas de pobreza, desigualdad, desempleo y del calentamiento global…, lo que agudiza las contradicciones del sistema, en particular los de su paradigma, y los de estos con sus socios, incluyendo los más cercanos como los de la OTAN, pues, como se nos señala en El capital, «si el tumulto y las riñas suponen ganancias, allí estará el capital
encizañándolas. Prueba: el contrabando y la trata de esclavos». Y hoy, a las pruebas que nos presentara Marx en su momento, podemos agregar la Guerra fría, ahora más perversa, dado el aumento del poder mortífero alcanzado por las armas nucleares y los sistemas hipersónicos que las transportan.
Y si hablamos de Guerra fría y de nueva guerra fría, no podemos pasar por alto a Marx, cuando, desde el 18 Brumario… nos recuerda: «Hegel dice en alguna parte que todos los grandes hechos y personajes de la historia universal aparecen, como si dijéramos, dos veces. Pero se olvidó de agregar: una vez como tragedia y la otra como farsa», y también que esta última puede ser mucho peor. El análisis desde esta perspectiva abarcadora permite precisar que, si en la primera Guerra fría la tragedia había sido consecuencia de la pugna geopolítica entre el capitalismo y el socialismo, representado por la URSS, en la que salió derrotado el socialismo este europeo, en esta nueva, en la farsa que se nos presenta ahora, no se menciona siquiera el socialismo, y hasta solo formalmente tiene que ver con Rusia, pues, hasta sin nombrarla, queda reflejada China.
Es que en realidad lo que se trata de ocultar con esta nueva Guerra fría es la decadencia del capitalismo y, principalmente, la pérdida de EE. UU. de la hegemonía global y hasta de su capacidad para dominar al mundo. Por cierto, en el montaje de la farsa es imposible que no se note que si el fin de la primera puede relacionarse con Gorvachov y la perestroika (del ruso, reconstruir), la segunda queda ya vinculada con Biden y el build back better (del inglés, reconstruir, aunque con better diga que mejor).
Y en el embrollo de intentar mantener los intereses geopolíticos de EE. UU. en Europa oriental (todavía considerada parte de la tierra-corazón por la geopolítica más tradicional y por ello supuestamente necesaria para dominar el mundo), la administración Biden sigue impulsando el keynesianismo militar, y la Guerra fría y a la OTAN, lo que Europa acepta, aun cuando ello va en contra de sus intereses más legítimos y lleva al mundo al paroxismo de lo absurdo. Más allá de la farsa no hay opción: solo queda lugar para la racionalidad y la cordura.