Venezuela: “Turismo sostenibile, malgrado la pandemia”.

di Geraldina Colotti e Veronica Diaz

Ali Padron, ministro del Turismo venezuelano, ci riceve nel suo ufficio a Caracas, mentre è ancora in corso la Fiera Internazionale del Turismo, che quest’anno si svolge nello Stato della Guaira. Iniziamo l’intervista chiedendogli quale sia la situazione del turismo venezuelano con la pandemia da Covid-19 ancora in corso.

“Il Venezuela – inizia Padron – è tra i primi dieci paesi al mondo, su 193, più ricco di biodiversità. Un paese al contempo amazzonico, andino, caraibico, sulle cui coste non sono mai arrivati gli uragani. Siamo un paese che alberga 1.418 specie di uccelli, 48 delle quali endemiche, ossia esistenti solo sui nostri territori”. Appena il ministro pronuncia la parola “uccello”, sentiamo un insistente pigolio dietro la porta, inframmezzato da piccole spinte. Giriamo lo sguardo intorno alla stanza, alla bandiera nazionale, al ritratto del presidente Maduro e a quello di Chávez, ai giocattoli che ingombrano il tavolo, destinati ai bambini dei quartieri. Non vediamo nessun uccello, ma il pigolio continua insistente. Il ministro sorride: “È la mia ninfa, mi chiama perché vuole entrare”, dice aprendo la porta.

Fa il suo ingresso un colorato pennuto che vola sulla spalla di Ali Padron, felice di ricevere carezze e bacetti. Un esemplare – una femmina, apprendiamo -, della specie dei colibrì. Lunga circa dieci centimetri, è verde brillante sopra e verde più opaco sotto, con la gola e il petto grigi. Ha la coda arrotondata, principalmente verde vicino al corpo ma con una metà inferiore blu-nera e gli angoli bianchi. Si chiama Spasky, e resterà con noi per tutta l’intervista, saltando da una spalla all’altra, e commentando a suo modo i passaggi del discorso.

Un’intervista con Ali Padron, economista marxista che si ritiene “orgogliosamente comunista”, è necessariamente una riflessione sulla fase che attraversa il Venezuela bolivariano e sulle politiche messe in atto per far fronte al micidiale blocco economico-finanziario con il quale l’imperialismo nordamericano e i suoi alleati cercano di ottenere l’agognato “cambio di regime”.

Il turismo è, per l’appunto, uno dei 17 “motori produttivi” che disegnano il piano economico per il periodo 2022-2024, come parte delle azioni del governo per sviluppare meccanismi di sviluppo del mercato, della produzione e dei prezzi giusti – in una permanente battaglia contro la speculazione e gli attacchi alla moneta. Il Turismo nazionale e internazionale – precisa Padron – è il motore n. 9, ma non per importanza, essendo un tema che abbraccia praticamente tutti i settori della società venezuelana: dalla gastronomia, alla cultura, all’arte, alla storia.

Quale modello di turismo è possibile praticare oggi in Venezuela?

Un turismo di prossimità, di esperienza, un turismo ecologico. Nonostante la pandemia, ancora in corso, il Venezuela è un paese dalle molteplici destinazioni e dalle infinite potenzialità ancora da sviluppare. Un terzo del paese è ricoperto da parchi nazionali, ne abbiamo 44, e da una nutrita presenza di monumenti naturali unici, come il parco nazionale Canaima, un’area naturale protetta situata nello Stato di Bolivar, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1994. Tre dei parchi nazionali più grandi del mondo si trovano in Venezuela. Oltre al Canaima, c’è l’immenso Parima Tapirapecó, situato nel sud-est dello Stato Amazonas, e il Caura, di recente creazione, una riserva che si trova nella zona vitale della foresta pluviale tropicale. Elementi che costituiscono una solida base per sviluppare ulteriormente il turismo. Dobbiamo, però, fare i conti con una storia di rentismo petrolifero che ha favorito il turismo emissivo, i viaggi all’estero più che il turismo di prossimità. Ora dobbiamo passare da questa visione a un’altra, che deriva dall’economia produttiva, di esportazione, e che porta a sviluppare il turismo ricettivo. Per via della pandemia, il turismo ha registrato una caduta quasi dell’80% a livello mondiale. Una diminuzione presente anche da noi, che pure vantiamo un numero di contagi e di morti molto basso di tutta l’America Latina, grazie alle misure di contenimento adottate per tempo dal presidente Maduro l’anno scorso e alla massiccia campagna di vaccinazione. E questo, sicuramente, costituisce un vantaggio per la ripresa del turismo. A colpire la nostra economica, c’è però la persistenza del blocco economico-finanziario, delle misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati Uniti. Ciononostante, mentre molti paesi sono ancora nel pieno delle difficoltà dovute alla pandemia, da tre mesi noi abbiamo ripreso a organizzare la venuta dei turisti, soprattutto dalla Russia e dall’Europa dell’est. Sono già arrivati oltre 6.500 turisti russi. All’aeroporto di Porlamar, sull’isola Margarita, ne sbarcano 400 a settimana.

Cosa cerca un turista in Venezuela?

Principalmente si tratta di un turista esperienziale, che ama la natura, le spiagge, le montagne, la selva, la cultura, la relazione con la gente, le esperienze di potere popolare, gli spazi aperti, non i supermercati. I visitatori russi, non solo hanno visitato lo Stato di Nueva Esparta, Canaima e gli spazi protetti, dove la popolazione è vaccinata e vengono rigorosamente rispettate le misure di biosicurezza, ma anche alcuni barrios popolari di Caracas, nei quali la comunità, che stiamo formando al riguardo, è attiva nello sviluppo del turismo e cosciente che il turismo è uno strumento per la crescita, è il petrolio che non finisce.

Da quali paesi arriva il maggior afflusso turistico?

Nell’ultimo congresso dell’Alba, tutti i paesi membri hanno approvato un progetto proposto dal Venezuela, che è il paese con la maggior biodiversità nell’organismo continentale. Un accordo di cooperazione per promuovere le mete turistiche del Venezuela che non esistono in altri paesi caraibici, neanche a Cuba. Abbiamo eccellenti relazioni con il Messico, la nostra compagnia aerea nazionale, Conviasa, ha appena riaperto una rotta con l’Argentina. I turisti argentini amano particolarmente il Venezuela, soprattutto l’isola di Margarita, e così pure i cileni, e i colombiani, per i quali è molto più economico venire sulle nostre spiagge che andare in quelle della Colombia, che purtroppo adesso non sta autorizzando i voli.

Secondo la propaganda, il Venezuela è uno dei paesi più insicuri al mondo…

Sapete quanti atti delinquenziali vi sono stati, per esempio, contro i 6500 turisti russi che sono arrivati in Venezuela? Zero, eppure avrebbe potuto succedere quel che può accadere a un viaggiatore in qualunque altro paese a seguito di una disattenzione. Noi, però, sappiamo di dover stare molto attenti, anche con la nostra Polizia turistica, per via della campagna ostile a cui accennavo prima. Un turista che arriva in Venezuela, immagina di trovare una grande instabilità, ha sentito dire che qui non si mangia da cinque anni e che la gente deambula scheletrica per strada. Poi si rende conto che è tutta una menzogna, com’è capitato al milionario statunitense che dopo aver visitato un gran numero di paesi, ha lasciato per ultimo il Venezuela per tutti quei sentito dire. Quando se n’è andato, ha collocato il nostro paese al quinto posto nel mondo per attrazioni turistiche. Ha scritto che le nostre spiagge non hanno niente da invidiare alle Maldive e che non capisce perché i venezuelani che vivono negli Stati Uniti parlino male del loro paese. Questo è accaduto quattro mesi fa. Anche i turisti turchi che vengono, numerosi, in Venezuela, hanno fatto le medesime constatazioni. E così pure avviene con i numerosi visitatori che vengono da noi nel corso di congressi internazionali e che ricevono una grande accoglienza anche per il loro appoggio politico.

Un altro punto critico è quello della carenza di combustibile e della difficoltà nei trasporti, a causa del bloqueo. A che punto stanno le cose?

Veniamo da situazione molto complessa. Sei mesi fa, erano aperti solo tre aeroporti, oggi il 95% per cento di tutti gli aeroporti è operativo, e si stanno incrementando le rotte, anche a livello internazionale. Per ora, solo con la Turchia, la Russia e in parte con il Portogallo e la Spagna. Il settore aeronautico è stato fra i più colpiti a livello internazionale e la situazione è ora ulteriormente complicata dalla variante omicron che colpisce molti paesi. Un nigeriano per arrivare in Venezuela impiega 40 ore.

Nei congressi internazionali che hanno per tema l’ambiente, come quello sugli Oceani, il governo bolivariano non viene invitato, però vengono ascoltate ong finanziate dagli Stati Uniti che presentano un quadro disastroso a livello ambientale. Come risponde a queste accuse?

La tutela dell’ambiente, in Venezuela, è garantita per legge, essendo l’eco-socialismo uno dei nostri principi strategici, contemplato nell’obiettivo numero 5 del Plan de la Patria. Per questo, non promuoviamo un turismo sviluppista, quello dei grandi supermercati e delle grandi catene alberghiere, ma un turismo sostenibile che mira a ridurre al minimo l’impatto ambientale. Ovviamente, l’unica maniera di azzerare l’impatto è che non vi siano turisti, ma i parchi nazionali è giusto che siano visitati, nel rispetto della natura. Certo, vi sono alcuni danni ambientali, come in tutti i paesi. Niente a che vedere, però, per esempio, con quel che accade in Colombia, dove si stanno distruggendo intere montagne per lo sfruttamento del carbone e i danni all’ambiente sono giganteschi. Nessuno, però, s’indigna come avviene per qualunque pur minimo episodio che accade in Venezuela. C’è una propaganda negativa che minimizza i dati positivi e esagera i problemi, e questo anche per colpa dei venezuelani che vivono all’estero. Fa parte della guerra contro il Venezuela, del linciaggio internazionale, della guerra mediatica che mira anche a minare l’autostima del nostro popolo. Invece, tutti quelli che vengono si rendono conto del contrario.

Che bilancio fa di questa Fiera del turismo?

È stata un gran successo, di pubblico e di progetti, riconosciuto anche dalla stampa internazionale. In questi tempi di pandemia, solamente l’Argentina e noi abbiamo organizzato un evento simile, nel quale sono stati presenti 17 paesi, oltre 75 delegati, seminari e convegni commerciali, e una grande esposizione della nostra gastronomia, della nostra cultura, dell’arte. Abbiamo esposto e confrontato le nostre rotte e le nostre proposte in tema di turismo ecologico, agroturismo, turismo religioso…. Stiamo concludendo l’anno con un tasso di occupazione nel settore turistico alberghiero superiore a quello degli ultimi cinque anni. Nonostante la complessa situazione, l’economia sta crescendo.

Cosa può apprendere il Venezuela dall’esperienza di Cuba, un paese fratello che ha sviluppato il turismo durante il periodo especial?

Cuba ha dimostrato che si può trasformare una situazione di crisi in un’occasione. Prima del periodo especial, infatti, i cubani non vivevano del turismo, non ci pensavano nemmeno. Vivevano della relazione economica diretta con l’Unione Sovietica e con il Consiglio di mutua assistenza economica con i paesi socialisti dell’Europa orientale, l’economia si basava prevalentemente sul nichel, il cobalto, la canna da zucchero e il settore primario. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la fine dell’appoggio diretto, pur senza avere tutte le infrastrutture necessarie, Cuba ha saputo far tesoro delle proprie bellezze paesaggistiche, ha preparato il popolo e ha favorito gli investimenti esteri sviluppando un capitale misto sotto controllo dello Stato. Anche noi siamo a un punto di svolta, ma con un vantaggio maggiore di quello che aveva Cuba allora. Il bloqueo, la crisi pandemica e anche quella della curva del petrolio, ci hanno messo di fronte alla necessità di un cambio di paradigma. Siamo in un momento di passaggio dall’economia rentista, nella quale la dominante era che lo Stato erogava dollari a prezzo favorito per investimenti che poi magari non arrivavano oppure si avevano prezzi spropositati, a un’altra economia, diversificata e produttiva, nel quale il turismo, in base alle 5 linee strategiche disegnate, ha un ruolo centrale.

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