Anniversario nascita José Martí: “Unirsi, è questa la parola del mondo”

Geraldina Colotti

Anche quest’anno, ricordare la nascita di José Julián Martí Pérez, come straordinario poeta, politico e pensatore, ma soprattutto come creatore del Partito Rivoluzionario Cubano, dedito a organizzare la “Guerra necessaria” che porterà all’indipendenza dell’isola dalla Spagna, sarà un’occasione per esprimere gratitudine alla Rivoluzione Cubana.

Senza la sua capacità di resistere agli attacchi e alle minacce dell’imperialismo nordamericano, anche dopo la caduta dell’Unione Sovietica, non solo la storia dell’America Latina, non solo il percorso di emancipazione e integrazione dei popoli latinoamericani e caraibici non sarebbe stato lo stesso, ma sarebbe mancata al mondo la “rosa bianca” che Cuba ha offerto in tutti questi anni, anche a quei paesi che avrebbero voluto annientarla: medici e non bombe; cultura educazione, principi, dignità e non culto dei “dio mercato”. Questo è il comunismo, questo è una rivoluzione socialista che si situa in quell’orizzonte, capace di coniugare memoria e futuro, senza farsi irretire da false bandiere.

Questo è il messaggio che Fidel ha ripreso, rinnovato e trasmesso, coltivando la “rosa bianca” di José Martí. Così recita la celebre poesia dell’”apostolo della rivoluzione”:

“Coltivo una rosa bianca/ a luglio come a gennaio/ per l’amico sincero/ che mi dà la sua mano franca/ E per il crudele che mi strappa/ il cuore con cui vivo/ né cardo né gramigna coltivo:/ coltivo la rosa bianca”. Lo stesso spirito con cui i medici cubani si sono recati nei posti più diversi e ostili durante catastrofi e pandemie, come abbiamo visto anche di recente in Italia.

Dobbiamo essere grati a Cuba, al suo Partito Comunista, al suo presidente Miguel Diaz Canel, almeno per tre importanti ragioni strettamente connesse fra loro, che riguardano la necessità e possibilità dei popoli di lottare contro il capitalismo, di resistere e vincere. Prima di tutto, per la dimostrazione, nell’analisi e nel progetto, dell’indispensabile ricorso alla storia, alla storia delle rivoluzioni, per affrontare il presente, e alla necessità del comunismo come unica speranza per l’umanità.

In secondo luogo, per la ricerca costante di unità dei popoli, evidente sia nei progetti di integrazione regionale, che nei convegni internazionali, organizzati da Cuba e Venezuela in conseguenza del Foro di San Paolo. Unità nella diversità, ma nella consapevolezza di dover affrontare un nemico comune. “Juntarse, esta es la palabra del mundo”. Unirsi, è la parola del mondo, scriveva Marti. Il terzo elemento è quello della responsabilità. Contro l’ipocrisia di chi si è rassegnato a muoversi nei paradigmi di compatibilità del sistema capitalista, Cuba mostra – con flessibilità e fierezza – l’inaggirabile durezza della lotta di classe, lo scontro di interessi che si cela dietro la retorica e la propaganda borghese (pensiamo ai fatti di luglio). E ricorda che, nella dialettica tra mezzi e fini, non tutto “quadra”, occorre rifuggire i manicheismi: “Eppure lo sappiamo/ – scriveva Bertolt Brecht nella poesia A coloro che verranno –Anche l’odio contro la bassezza/ stravolge il viso./ Anche l’ira contro l’ingiustizia / fa roca la voce. Oh noi/ che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,/ noi non si poté essere gentili/”.  E, al riguardo, possiamo ancora richiamare le parole di Marti: “Algún día existirá un alzamiento de individuos pacíficos y se convertirán en guerreros por una vez para que ni ellos ni nadie jamás tengan que volver a ser soldados”. (Un giorno esisterà una rivolta di individui pacifici che per una volta si trasformeranno in guerrieri per non dovere mai tornare a essere soldati).

Infatti, nel centenario dalla sua nascita, il padre dell’indipendenza fu il “mandante” dell’assalto alla Caserma Moncada, che Fidel condusse contro la seconda fortezza militare del dittatore Batista, nello storico 26 luglio del 1953.  Nelle conversazioni con il comandante nicaraguense Tomás Borges, raccolte nel volume Un grano de maíz, parlando delle sue letture e dei personaggi storici preferiti, Fidel definì Marti “un Bolivar del pensiero politico, un vertice”, e disse di non ricordare nessuno di quel calibro intellettuale.

Confessò di avere “una predilezione” per il Libertador. “Bolivar – affermò – fu un genio della politica, un genio della guerra, uno statista perché ha ebbe opportunità di dirigere Stati che a Marti sono mancate”. La sua idea di riunire “quell’immenso continente nel pieno di difficoltà gigantesche è qualcosa di inedito – aggiunse -. Non solo con la sua azione ha contribuito alla liberazione di tutti questi paesi, ma il mero sforzo di provare a unirli rimane una idea fondamentale, vitale per tutta la nostra America, per tutto il continente, per tutti i popoli di origine iberica – ossia di origine spagnola, portoghese –, frutto di questa mescolanza che iniziò a prodursi 500 anni fa”.

Nel suo libro, Un viaje a Venezuela, Marti racconta il suo soggiorno di sei mesi a Caracas quando, a gennaio del 1881, ancora prima di cercare un albergo chiese dove si trovasse la statua di Bolivar, scomparso nel 1830. Tornato a New York, pronunciò vari discorsi in onore di Bolivar e del Venezuela e scrisse vari articoli, fra i quali Los tres Héroes, un omaggio a Bolívar, San Martín e al padre Hidalgo del Messico.

E così, nel solco di quei precursori e nel contesto della Patria Grande, la rivoluzione cubana ha fatto fruttare la lezione di Lenin, ha formato e incontrato nuovi quadri, come Hugo Chávez, capaci di ricevere la rosa bianca dai padri dell’indipendenza. Senza aver paura delle spine.

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