Nel 1958, a 23 anni, morì in combattimento il capitano dell’esercito ribelle Roberto Rodríguez Fernández, capo del Ploton Suicida, meglio conosciuto per il suo pseudonimo de El Vaquerito.
Roberto Rodríguez Fernández era un contadino povero che si unì giovanissimo alla guerriglia di Fidel Castro, che lo assegnò alla colonna 8 “Ciro Redondo” guidata da Che Guevara. Dopo averlo conosciuto il Che rimase impressionato dalle sue qualità militari tanto che lo nominò, nonostante la giovane età, a capo del Plotone Suicida: un gruppo di impavidi soldati che tentavano le azioni più pericolose.
Arrivato nella Sierra Maestra, egli ricevette da un contadino un cappello e un paio di stivali messicani, i Vaqueri: egli se ne affezionò e l’indossò sempre per tutto il resto della sua vita, donde il soprannome di El Vaquerito.
Fu uno dei protagonisti della battaglia di Santa Clara: la sua intrepida azione fu uno dei principali motivi della vittoria dei castristi, seconda forse solo al genio tattico del Che. Avendo saputo che Fulgencio Batista stava inviando armi e munizioni alle truppe a lui fedeli tramite un treno che viaggiava in una zona collinare, El Vaquerito con il suo Plotone Suicida attaccò le colline e spazzò via le linee nemiche con un’audace azione supportata da un massiccio utilizzo di bombe a mano e il convoglio fu costretto a cambiare direzione spostandosi nel centro della città, diventando più facilmente catturabile per i ribelli.
El Vaquerito partecipò inoltre agli assalti di numerosi altri edifici come la caserma 31, il carcere, il Tribunale, il Palazzo del Governo Provinciale, il Grand Hotel e la stazione di polizia: proprio in quest’ultima circostanza venne ucciso. Quando lo seppe, Che Guevara disse “è come se mi avessero ucciso cento uomini”.
Sempre secondo il Che durante la battaglia di Santa Clara egli “giocò con la morte un’infinità di volte nella lotta per la libertà” e il medico argentino fece di tutto per ricordarne la figura: la caserma in cui perì fu ribattezzata El Vaquerito in suo onore.
Dalla Storia, quella con la S maiuscola, gli uomini che vengono ricordati, sono sempre quelli che avevano un ruolo di comando: i presidenti, i generali, i papi e i re. Gli altri, quelli che con le loro azioni hanno contribuito in modo determinante al compimento della Storia, quasi mai vengono ricordati o menzionati. Con questa pagina, voglio ricordare alcuni avvenimenti della rivoluzione cubana. Tutti conoscono o hanno sentito parlare di Fidel e di Raul Castro, di Ernesto Guevara della Serna e di Camilo Cienfuegos, figure eroiche e grandi comandanti della rivoluzione, nessuno o quasi conosce la storia di El Vaquerito che ha avuto un ruolo importante nella rivoluzione nella colonna sotto il comando di Ernesto Guevara. Io ho avuto la curiosità di indagare ed ecco cosa ho scoperto.
Conosciuto come El Vaquerito.
Combattente rivoluzionario cubano
e capitano dell’Esercito Ribelle.
Nato il 7 luglio 1935 a El Mango, nella zona di Perea dintorni di Las Villas, nella regione centrale di Cuba. Di famiglia contadina.Ha trascorso la sua infanzia nella povertà. Ad undici anni andò a lavorare in un locale che offriva servizi di bar-trattoria e di locanda. Dopo trovò diversi lavori malpagati, lavorò come lattaio, scaricatore, aiutante tipografo, venditore ambulante, come pugile e come illusionista.
Aderì ai gruppi rivoluzionari e decise di unirsi alla lotta armata dirigendosi verso la Sierra Maestra, dove Fidel Castro comandava un piccolo gruppo di guerriglieri che combattevano contro la dittatura di Fulgencio Batista. A metà aprile 1957 raggiunse la Sierra Maestra disarmato e scalzo, in compagnia di alcuni dirigenti del movimento 26 luglio: Haydee Santamaria, Celia Sanchez e Marcelo Fernández Font. I rivoluzionari accompagnavano il giornalista americano Bob Taber e il cameramen Wendell Hoffman, entrambi della catena statunitense Columbia Broadcasting System (CBS) da Fidel per intervistarlo e per preparare un servizio su quello che succedeva nella Sierra Maestra e farlo conoscere al mondo.
Guerriglia
I guerriglieri della Sierra Maestra all’inizio non volevano accettarlo a causa della sua piccola statura e per il suo aspetto malaticcio, ma quando Roberto Rodriguez riuscì a parlare con Fidel, convinse il comandante dei rivoluzionari e venne arruolato nell’esercito ribelle. Celia Sanchez gli procurò un paio di scarpe d’epoca stile messicano e un grande sombrero contadino. Questo abbigliamento gli diede l’aspetto di un vaquero messicano, per questo motivo e associando l’aspetto con la piccola statura di Roberto, i suoi ormai compagni, iniziarono a chiamarlo El Vaquerito.
Agli inizi ebbe il compito di fare il messaggero, poi diventò un soldato della colonna 1 José Martí guidata da Fidel Castro. Mostrando disprezzo per la morte, usava sparare in piedi con il fucile Garand che aveva in dotazione e che per dimensioni era alto quasi quanto lui.
Nel 1958 Fidel diede ordine a Guevara e Cienfuegos di dirigere le loro colonne verso Occidente facendo fare alla guerriglia un passo verso la conquista dell’intera isola.
El Vaquerito che continuava a militare nella Colonna 1 guidata da Fidel, seppe che ne lui ne gli altri uomini della sua colonna sarebbero andati verso Occidente per partecipare all’invasione. Si lamentò della cosa presentandosi ai suoi superiori e volle offrirsi volontario chiedendo di partecipare all’impresa guidata dai Comandanti Camilo Cienfuegos ed Ernesto Guevara.
Fu arruolato nei ranghi della Colonna 8 Ciro Redondo e nel luglio 1958 gli fu dato l’incarico di guidare un gruppo scelto di diversi guerriglieri. Colpito dal suo coraggio personale e da quello degli uomini che guidava, il capo della colonna 8, comandante Ernesto Guevara, cominciò a chiamare la loro unità “Plotone Suicida”.
Durante l’offensiva a Occidente El Vaquerito partecipò alla battaglia di La Federal, dove la colonna ribelle è stata attirata in un’imboscata da parte dell’esercito. In quella battaglia, con i suoi compagni Angel Acevedo e Enrique Frías prese d’assalto una villa dove si erano trincerati otto soldati nemici, e fece prigionieri quattro di essi.
All’alba del 26 dicembre durante l’offensiva che si dirigeva verso la citta di Santa Clara, il Plotone Suicida entrò a Caibarién e mise sotto assedio la caserma dell’esercito. La popolazione si era già unita in massa agli assedianti. Si sparava in continuazione, la fornitura d’acqua alla caserma era stata tagliata e i soldati non potevano mettere fuori neanche la testa. Ma resistevano esasperando gli assedianti. Si tentò di dare fuoco alla caserma con pneumatici di automobile incendiati ma l’esperimento fallì. Il Vaquerito si procurò un camion dei pompieri, ordinò che riempissero la cisterna di benzina e si avvicinò alla finestra per innaffiarla, a rischio di saltare in aria con i suoi uomini. Con un altoparlante si rivolse ai soldati, e da una finestra spuntò una bandiera bianca. Il tenente che comandava la caserma rifiutava di arrendersi, a quanto pareva perché aveva commesso dei crimini contro la popolazione e aveva paura delle rappresaglie. Il Vaquerito, infuriato, lo sfidò a uscire e a battersi in un duello alla pistola con lui invece di continuare a esporre i suoi uomini che non volevano combattere. Nel frattempo a pochi metri da quello scambio di battute, alcuni suoi uomini stavano disarmando i soldati. Il tenente insultò il Vaquerito, che gli rispose dicendo che era molto stanco e che mentre i soldati ci pensavano su, lui avrebbe dormito un po’. Detto fatto, si lasciò cadere su una brandina da campo e si addormentò profondamente. Fu il colpo finale per il morale dei soldati che non tardarono ad arrendersi.
A Santa Clara
Il Plotone Suicida fu il primo ad entrare a Santa Clara. Senza quasi incontrare resistenza, si impossessò della stazione ferroviaria. Successivamente su ordine di Ernesto Guevara, raggiunse le colline della città dove sostava il “Tren blindado“, il treno carico di soldati, armi e munizioni che era stato inviato dal dittatore Battista a Santa Clara impaurito dalla continua perdita di caserme e di soldati. Contro i soldati scesi dal treno per contrastarli, i ribelli iniziarono ad usare le granate riparati dietro la collina per sottrarsi al fuoco delle mitragliatrici montate sul treno. Dopo poche ore il treno sottoposto al fuoco che proveniva dall’alto della collina, inizia velocemente a ritirarsi. Nella notte, con un’intuizione che dimostra la sua grande intelligenza tattica, Che Guevara aveva fatto smontare un tratto di binari per bloccare il treno e per impedirgli di raggiungere la caserma dove era acquartierata la gran parte delle truppe del regime. Così dopo poco, il treno inizia a sbandare, si impenna e con un gran frastuono sbatte contro gli ostacoli che incontra distruggendo tutto. Immobilizzati dal treno bloccato e sottoposti al fuoco della guerriglia, dopo una trattativa tra il Che e il loro comandante, i soldati i si arrendono consegnando armi e munizioni preziose per la guerriglia, era il 29 dicembre del 1958.
Mi hanno ammazzato cento uomini
Il giorno dopo il Che manda il Vaquerito e i suoi 24 uomini del Plotone Suicida ad attaccare la stazione di polizia, dove si difendono circa quattrocento tra poliziotti e soldati, appoggiati da carri armati leggeri e aerei. Il comandante della stazione è un colonnello conosciuto come torturatore e assassino di civili perciò non vuole sentirne di arrendersi. I ribelli si avvicinano con grandi difficoltà, al plotone suicida si sono aggiunte altre squadre di appoggio per un totale di circa 70 uomini. Nelle strette viuzze non riescono a muoversi agevolmente ed hanno avuto diversi feriti, inoltre la caserma della polizia non è distante dalla grande caserma dell’esercito e c’è la preoccupazione che da un momento all’altro possa esserci un contrattacco. Si combatte casa per casa e a quel punto il Vaquerito ordina che si avanzi all’interno delle case. Con la collaborazione degli abitanti, si sfondano le pareti creando varchi di passaggio senza essere visti dall’esterno e in quel modo riescono ad arrivare ad una chiesa posta di fronte alla stazione di polizia. Avanzano anche sui tetti. Il Vaquerito come suo solito sparava in piedi sopra il tetto, rischiava troppo. I suoi compagni lo rimproverano. Lui risponde come fa sempre: «la pallottola che ti uccide non si sente mai». Assieme ad altri due compagni Orlando Beltrán e Leonardo Tamayo, prende posizione su un tetto a cinquanta metri dalla stazione della polizia. Questo è il racconto dei due, Beltrán: «senza pensarci saltammo giù dal tetto appena vedemmo un gruppo di sei guardie che correva. Li attacammo, ma due carri armati che si trovavano li vicino, lungo la strada, cominciarono a spararci con una mitragliatrice». Tamayo prosegue: «Gli gridai: “Vaquerito, buttati a terra che ti ammazzano!”. Non lo fece. Poco dopo gli urlai dalla mia posizione: “Ehi, che ti succede che non spari?”. Non rispose. Guardai e lo vidi pieno di sangue. Lo raccogliemmo subito e lo portammo dal medico. Il colpo era mortale. Un colpo di M-1 in testa».
Che Guevara, attraverso il tunnel di muri abbattuti dentro le case, incontra gli uomini che stanno trasportando il cadavere del Vaquerito. Le cronache raccolgono la frase desolata del comandante davanti al più aggressivo dei suoi capitani, il più pittoresco, il più temerario: «Mi hanno ammazzato cento uomini».
Era il 30 dicembre 1958. La notte successiva quella tra il 31 e il 1 gennaio 1959 alle 3,15 del mattino Fulgencio Batista con quattro aerei sui quali aveva caricato parenti, amici, e ricchezze, scappò da Cuba e si rifugiò a Santo Domingo dal suo amico e parimenti a lui sanguinario dittatore: Leónidas Trujillo. La guerriglia aveva vinto e iniziava la rivoluzione.
«Mi hanno ammazzato cento uomini» era la che frase fu scolpita sulla prima tomba del Vaquerito. Guevara ordinò la sua sepoltura a Placetas, zona già liberata e dove, sotto il continuo attacco da parte di aerei nemici, alcuni dei suoi compagni e la gente di Santa Clara gli tributarono un semplice omaggio. La caserma della polizia che attaccava quando morì, è stata trasformata in una scuola che porta il nome di “El Vaquerito”. Dal dicembre del 2009 i suoi resti sono stati riuniti a quelli degli altri caduti durante la Guerra di Liberazione nel Mausoleo dedicato al Frente de Las Villas, vicino a dove riposano i resti del Comandante Ernesto Guevara e i suoi compagni della guerriglia boliviana.
Fonti:
– Guevara de la Serna, Ernesto. Una entrevista famosa. Revista Verde Olivo. 15 de octubre de 1961
– Guevara de la Serna, Ernesto. Pasajes de la guerra revolucionaria. Cuba 1956 – 1959. Edición anotada. Editorial Política. La Habana. 2004. Tercera Edición. Quinta reimpresión. ISBN-959-01-0400-2
– Paco Ignacio Taibo II. Ernesto Guevara, También Conocido Como El Che – Planeta 1997
– Paco Ignacio Taibo II. Senza perdere la tenerezza, vita e morte di Ernesto Che Guevara – il Saggiatore S.p.a., Milano 2004