Venezuela. In Parlamento, mano di ferro contro “i traditori”

Geraldina Colotti

Ha preso il ritmo poetico dell’invettiva e quello politico del “j’accuse” – yo acuso, ripetuto illustrando ogni motivo -, la requisitoria pronunciata da Jorge Rodriguez, presidente dell’Assemblea Nazionale. Parole forti, prima del voto di una seduta a suo modo storica, durante la quale si è deciso di togliere l’immunità parlamentare ad alcuni deputati e deputate, arrestati con l’accusa di traffico di droga, corruzione e anche finanziamento al terrorismo. Si tratta di una sindaca dello stato Zulia, eletta con il Psuv, una deputata del partito evangelico Ora e di un parlamentare eletto al Consiglio legislativo del Tachira, membro del Partito Podemos. Detenuto anche un deputato supplente del partito Primero Venezuela, appartenente al gruppo di opposizione moderata di Luis Brito.

Traditori del giuramento necessario a compiere quello che, per Rodriguez, è da considerarsi un “apostolato”. Un compito che richiede totale abnegazione, tempo dedicato all’esercizio della cosa pubblica, che implica rinuncia, sacrificio e ideali rivolti al bene comune. Una funzione che stride con l’esibizione di un lusso che gli eletti non potevano permettersi da semplici cittadini, e che dev’essere guardata con sospetto dal resto dei deputati, i quali non possono voltarsi dall’altra parte, ma agire per contrastare la deriva. Una funzione incompatibile anche con la frequentazione stretta di grandi imprenditori. Altrimenti, ha aggiunto Rodriguez, come si potranno poi presentare leggi contro lo sfruttamento capitalistico, leggi di segno socialista? Chi non se la sente – ha detto ancora – può “recarsi da me in privato, per essere sollevato dall’incarico”. In nessun caso, però, si dovrà permettere che venga infangata la bandiera del proceso bolivariano, a cui il Comandante Chávez ha dedicato fino all’ultimo istante di vita. “Non ci sarà pietra sotto la quale potrete nascondervi, traditori. Verremo a cercarvi e andrete in carcere”, ha detto Rodriguez.

Gli arresti, infatti, s’inseriscono nell’operazione Mano di ferro, annunciata dal presidente Maduro in questi giorni, come parte del processo di rinnovamento e ritorno alle origini del chavismo, sintetizzata nelle “3R.net”. Propongo – aveva detto il presidente – “un nuovo sistema 2022-2030 di transizione al Socialismo, basato nella pratica, nella verità e nei nostri sogni. Le 3R.net: Resistenza di fronte alle aggressioni imperiali, Rinascita dello spirito originale della Patria, e un permanente Rivoluzionare tutto per fare tutto meglio. Oltre ai deputati, un altro filone d’inchiesta ha castigato la corruzione legata al traffico di benzina, portando in carcere un altro sindaco, un giudice, un militare, la proprietaria di una pompa di benzina, e altre 8 persone ricercate.

Per questo, sia nel discorso di Rodriguez che nella conferenza stampa del Psuv che si prepara al suo V congresso nella storica data del 4 febbraio, si è tornati a riferirsi con più forza ai discorsi del Libertador e al messaggio di Chávez, che ha dato sbocco alle aspirazioni popolari, ispirandosi all’”albero delle tre radici” (Simon Rodriguez, Simon Bolivar e Ezequiel Zamora) per compiere l’insurrezione civico-militare. Un’operazione che strappò la maschera a quella democrazia camuffata, già messa a nudo dalla rivolta popolare del Caracazo, scoppiata a 14 giorni dalla elezione del presidente socialdemocratico Carlos Andrés Pérez (Cap), tornato con grandi aspettative dopo il suo precedente mandato del 1973-78. Riceveva in eredità un paese il cui debito estero si mangiava il 50% delle entrate, già in crisi per la caduta del prezzo del petrolio, che aveva trascinato con sé tutto l’apparato produttivo. Lo stesso Cap aveva descritto in questi termini la situazione nel marzo del 1990, in un articolo su El Nacional. Alla crisi economica (oltre il 62% della popolazione in povertà estrema) aveva aggiunto i livelli preoccupanti della denutrizione, della mortalità infantile, dell’abbandono scolastico, della burocrazia e il discredito del potere giudiziario. Del Venezuela si parlava allora di “delitti senza delinquenti”. Una democrazia borghese “moribonda” e un livello di corruzione dilagante, aveva denunciato Chávez durante e dopo la detenzione a Yare.

Solo qualche inguaribile demagogo, ignaro dei problemi che si presentano alle rivoluzioni, tanto più in un sistema-mondo dominato dalla globalizzazione capitalista, può sentirsi esonerato dall’assumersi le proprie responsabilità. E, infatti, proprio alla responsabilità ha fatto riferimento Jorge Rodriguez, ricordando le parole di Fidel quando dovette giudicare per narcotraffico il generale Arnaldo Ochoa, un eroe della rivoluzione, nel 1989. Non gli vennero concesse attenuanti e venne fucilato, ma Fidel, in una lunga requisitoria, si chiese anche dove potessero risiedere i suoi errori di dirigente del partito comunista. Un interrogativo inaggirabile che, tuttavia, occorre porsi in termini materialisti. Già ai tempi di Lenin e della Rivoluzione d’Ottobre, il rivoluzionario comunista spiegava bene i termini della questione in due articoli scritti nel marzo del 2023: “Come riorganizzare l’ispezione Operaia e Contadina (Proposta al XII Congresso del Partito)”, e “Meglio meno, ma meglio”. Trattava il tema dei limiti incontrati per smantellare il vecchio Stato e costruirne uno nuovo in condizioni di sviluppo arretrate, definendo i termini per rinnovare nel profondo la Commissione centrale di controllo: “non per mettere in avanti le esigenze della borghesia d’Europa, ma quelle che sono degne di un paese che si è posto il compito di divenire un paese socialista”. Anche la deputata femminista Maria Leon, dopo aver lamentato che a deviare dal cammino fossero state anche deputate giovani a cui la rivoluzione bolivariana ha consentito potere politico, ha proposto una legge che istituisca permanentemente il controllo sociale. L’ex guerrigliero comunista, Fernando Soto Roja ha analizzato il desvìo dai principi come parte della guerra multiforme e muldimensionale, nella quale la corruzione dei giovani e le infiltrazioni giocano un ruolo importante.

Screditare il ruolo dello Stato, minare la fiducia e la coesione del popolo dimostrando che il “socialismo è fallito” fa parte della strategia del “caos controllato” decisa dall’imperialismo che, di fronte alla perdita di egemonia del suo modello, si spinge fino a mettere una taglia sulla testa dei dirigenti bolivariani, accusandoli di “narcotraffico”. E mentre una destra golpista e impresentabile gongola per questi arresti, considerandoli una conferma delle proprie accuse, la rivoluzione bolivariana mostra, ancora una volta, di avere al suo interno gli anticorpi per rigenerarsi e si prepara a dettare nuove regole in questo febbraio ribelle: “juntando flores, tocando puertas, juntando sole hasta llegar”, come dice la canzone di Ali Primera: “raccogliendo fiori, bussando alle porte, riunendo il sole fino ad arrivare”.

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