Prigionieri politici a Cuba?

Proprio come nel 1952 c’era chi cercò di ungere Batista con il sacro abbigliamento del rivoluzionario, oggi il coro dell’isteria reazionaria cerca di ritrarre ladri e aggressori come “tristi vittime del regime cubano”, in una guerra semantica che cerca di viziare concetti per cercare di nobilitare l’incorreggibilmente indegno

Michel E. Torres Corona  www.granma.cu

Pochi giorni dopo il colpo di stato del 10 marzo 1952, il giovane avvocato Fidel Castro, “con studio legale in Tejadillo, n. 57”, presentò ricorso in tribunale per processare Fulgencio Batista per sedizione. La difesa leguleia di giuristi che, per interesse o codardia, avevano appoggiato il colpo di stato di Batista contro la Costituzione del 1940, era che non era avvenuto un colpo di stato bensì una rivoluzione, fonte di diritto.

A ciò, Fidel avrebbe risposto nell’argomentazione del suo appello: «(…) non c’è stato programma rivoluzionario, né teoria rivoluzionaria, né predicazione rivoluzionaria che precedessero il golpe: politicanti senza popolo, comunque, convertiti in assaltanti del potere. Senza una nuova concezione dello Stato, della società e dell’ordinamento giuridico, basati su profondi principi storici e filosofici, non ci sarà rivoluzione generatrice di diritto. Neppure si li potrà chiamare delinquenti politici”.

Naturalmente, l’appello non ebbe successo. Batista rimase al potere, perché così lo impose con la forza delle armi e l’appoggio USA. Fidel, a sua volta, capì che i canali legali per disputare per la democrazia, la giustizia sociale e la sovranità popolare erano esauriti e che si doveva passare alla lotta armata. Tuttavia, alla luce dei recenti eventi, questa risorsa presentata quasi 70 anni fa ci porta a ragionamenti illuminanti.

Lo scorso 11 luglio centinaia di persone sono scese in strada, in tutto il paese, per protestare, indotte, tra altri fattori, dalla campagna politico-comunicativa proiettata dall’estero. Alcuni erano comprensibilmente sfiniti dalle carenze e irregolarità nell’approvvigionamento energetico, a cui si aggiungeva la fatica pandemica nel pieno del periodo più critico del COVID-19 nel nostro paese. Altri si sono semplicemente uniti per esprimere la loro animosità verso il Governo e l’attuale modello socialista. Tra questi ultimi vi sono stati diversi che hanno manifestato violentemente, lanciando pietre, bottiglie, aggredendo persone che difendevano l’ordine costituzionale, siano esse civili o agenti dell’autorità, ribaltando auto in piena via pubblica.

Ci sono state anche persone che, in modo opportunistico e meschino, hanno approfittato delle ore di agitazione sociale per sabotare fabbriche, rubare elettrodomestici, depredare negozi… La prova di tutto questo sono state fornite proprio dai protagonisti di quegli eventi che, inebriati dalla momentanea impunità delle loro azioni, hanno caricato sulle reti sociali foto e video delle loro “prodezze”.

La notte di quello stesso 11 luglio c’era già una relativa calma. Molti sono stati arrestati e processati. Una volta accertato che si erano comportati in modo pacifico o che non avevano nulla a che fare con gli eventi ed erano stati arrestati ingiustamente, vari sono stati rilasciati in pochi giorni. Altri hanno dovuto fare appello, mettere in funzione tutta la macchina del nostro Stato socialista di Diritto, e anche loro, oggi, camminano per le strade delle loro rispettive città.

Tuttavia, a coloro che hanno approfittato di quelle complesse ore per far violenza agli altri, per distruggere; a coloro che hanno cercato nello sconcerto un’opportunità per rubare; a quelli che hanno creduto che la Rivoluzione era crollata e che fosse ora di salire per la scala del caos a colpi di insulti e pietre, giungendo ad attaccare persino gli ospedali; a tutti loro si è rotta l’illusione che le loro azioni sarebbero rimaste impunite e oggi devono affrontare le conseguenze legali derivate dalla loro condotta.

I nemici della Rivoluzione non hanno tardato nel tentativo di convertire quegli imputati in “prigionieri politici”, anche se i processi giudiziari non si sono neppure conclusi. Proprio come nel 1952 c’era chi cercò di ungere Batista con il sacro abbigliamento del rivoluzionario, oggi il coro dell’isteria reazionaria cerca di ritrarre ladri e aggressori come “tristi vittime del regime cubano”, in una guerra semantica che cerca di viziare concetti per cercare di nobilitare l’incorreggibilmente indegno

Ma con Fidel, con quello stesso Fidel del 1952, rispondiamo oggi: «(…) per Jiménez de Asúa, il maestro dei penalisti, solo merita questo concetto (delinquente politico) ‘coloro che lottano per un regime sociale di carattere avanzato verso il futuro”, mai i reazionari, i retrogradi, quelli che servono gli interessi di cricche ambiziose: quelli saranno sempre delinquenti comuni per i quali non sarà mai giustificato l’assalto al potere».


¿Presos políticos en Cuba?

Como mismo en 1952 hubo quien intentó ungir a Batista con el sagrado atavío del revolucionario, hoy, el coro de la histeria reaccionaria intenta mostrar a ladrones y agresores como «tristes víctimas del régimen cubano», en una guerra semántica que trata de vaciar conceptos para tratar de dignificar lo incorregiblemente indigno

Michel E. Torres Corona

A pocos días del golpe de Estado del 10 de marzo de 1952, el joven abogado Fidel Castro, «con bufete en Tejadillo, No. 57», presentó ante tribunales un recurso para juzgar a Fulgencio Batista por sedición. La defensa leguleya de juristas que, por interés o cobardía, habían apoyado el cuartelazo batistiano contra la Constitución de 1940, era que no había ocurrido un golpe sino una revolución, fuente de derecho.

A ello, Fidel respondería en la argumentación de su recurso: «(…) no hubo programa revolucionario, ni teoría revolucionaria, ni prédica revolucionaria que precedieran al golpe: politiqueros sin pueblo, en todo caso, convertidos en asaltantes del poder. Sin una concepción nueva del Estado, de la sociedad y del ordenamiento jurídico, basados en hondos principios históricos y filosóficos, no habrá revolución generadora de derecho. Ni siquiera se les podrá llamar delincuentes políticos».

Por supuesto, el recurso no prosperó. Batista siguió en el poder, porque así lo impuso con la fuerza de las armas y el apoyo estadounidense. Fidel, a su vez, entendió que las vías legales para disputar por la democracia, la justicia social y la soberanía popular estaban agotadas y que se debía pasar a la lucha armada. Sin embargo, a la luz de recientes acontecimientos, este recurso presentado hace ya casi 70 años nos trae esclarecedores razonamientos.

El pasado 11 de julio, cientos de personas salieron en todo el país a protestar, inducidos por la campaña político-comunicacional proyectada desde el exterior, entre otros factores. Algunos estaban comprensiblemente agotados por el desabastecimiento y la irregularidad en el suministro energético, a lo que se sumaba la fatiga pandémica en medio del periodo más crítico de la COVID-19 en nuestro país. Otros sencillamente se sumaron para expresar su animosidad con respecto al Gobierno y al modelo socialista vigente. Entre estos últimos, hubo varios que se manifestaron de forma violenta, arrojando piedras, botellas, atacando a personas que defendían el orden constitucional, fueran civiles o agentes de la autoridad, volteando carros en plena vía pública.

También hubo personas que, de forma oportunista y mezquina, aprovecharon las horas de conmoción social para sabotear establecimientos, robar equipos electrodomésticos, saquear tiendas… Las pruebas de todo ello fueron aportadas por los mismos protagonistas de esos hechos que, embriagados por la momentánea impunidad de sus actos, subieron a redes sociales fotos y videos de sus «hazañas».

Para la noche de ese mismo 11 de julio ya había relativa calma. Muchos fueron detenidos y procesados. Una vez que se determinó que se habían comportado de manera pacífica, o no tenían nada que ver con los acontecimientos y habían sido arrestados de manera injusta, varios fueron liberados a los escasos días. Otros tuvieron que apelar, poner en funcionamiento toda la maquinaria de nuestro Estado socialista de Derecho, y también hoy están caminando por las calles de sus respectivas ciudades.

Sin embargo, a esos que aprovecharon esas complejas horas para violentar a otros, para destruir; a esos que buscaron en el desconcierto una oportunidad para robar; a esos que creyeron que la Revolución se había desmoronado y que era tiempo de subir por la escalera del caos a golpe de insultos y pedradas, llegando a atacar incluso hospitales; a todos ellos se les rompió la ilusión de que sus acciones quedarían impunes, y hoy enfrentan las consecuencias legales derivadas de su conducta.

Los enemigos de la Revolución no tardaron en intentar convertir a esos imputados en «presos políticos», aun cuando siquiera han concluido los procesos judiciales. Como mismo en 1952 hubo quien intentó ungir a Batista con el sagrado atavío del revolucionario, hoy, el coro de la histeria reaccionaria intenta mostrar a ladrones y agresores como «tristes víctimas del régimen cubano», en una guerra semántica que trata de vaciar conceptos para tratar de dignificar lo incorregiblemente indigno.

Pero con Fidel, con ese mismo Fidel de 1952, respondemos hoy: «(…) para Jiménez de Asúa, el maestro de los penalistas, solo merecen ese concepto [delincuentes políticos] ‘‘aquellos que luchen por un régimen social de catadura avanzada hacia el porvenir”, nunca los reaccionarios, los retrógrados, los que sirven intereses de camarillas ambiciosas: esos serán siempre delincuentes comunes para quienes jamás estará justificado el asalto al poder».

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.