Geraldina Colotti
Il 16, in Venezuela e in altre città del mondo, è stato il giorno di Alex Saab. A Caracas, si sono svolti tre dibattiti significativi per chiedere la liberazione del diplomatico-imprenditore, sequestrato e deportato negli Stati Uniti, che lo accusano di “cospirazione”. Per la difesa e per il comitato Free Alex Saab, invece, il diplomatico ha solo aiutato il Venezuela bolivariano a evadere il blocco economico-finanziario imposto dagli Usa e dai suoi satelliti, importando alimenti, combustibile e medicine.
Per questo, il primo dibattito, dal titolo “La lotta contro il bloqueo nel 2022 e la liberazione del diplomatico Alex Saab”, è stato ospitato dalla Cattedra contro il Bloqueo, istituita nell’Università Bolivariana del Venezuela (UBV). La rettora dell’Università, Sandra Oblitas, ha aperto l’incontro. Con lei, il viceministro per le politiche contro il bloqueo, William Castillo, la giovane moglie di Saab, l’italiana Camilla Fabbri, Roigar Lopez per il Comitato Free Alex Saab e Indhriana Parada, che fa parte del movimento degli avvocati volontari in difesa del diplomatico.
Prima del dibattito, Parada ci ha anticipato alcuni temi della sua esauriente trattazione, nella quale ha mostrato tutte le fasi del sequestro di Saab, avvenuto 613 giorni fa a Capo Verde, quando il diplomatico, diretto in Iran per la sua missione umanitaria, è stato obbligato a far tappa per rifornirsi di carburante, e fatto scendere a forza dall’aereo, a dispetto della sua condizione di diplomatico. Ne è seguita una detenzione dura, fatta di pressioni, torture e deprivazioni, per convincerlo a dichiarare il falso contro il presidente Maduro, fino alla deportazione negli Stati Uniti, quattro mesi fa.
Una “rendition” come quelle praticate dagli Stati Uniti dopo gli attentati alle Torri gemelle del 2001 con le quali si “prelevarono” illegalmente presunti “combattenti nemici” per torturarli nelle prigioni segrete con la complicità degli Stati subalterni agli Usa. In questo caso, la complicità è stata quella del governo di Capo Verde, che si è prestato – come spiega l’avvocata di Saab – a numerose violazioni dei trattati internazionali per compiacere il volere degli Stati Uniti. Violazioni apparse chiare fin dall’inizio, in assenza di un vero e proprio ordine di cattura, arrivato posteriormente e per giunta a nome di un’altra persona e proseguite poi con il sistematico diniego di Capo Verde di rispondere alle sollecitazioni umanitarie inviate dalle istituzioni internazionali.
Il 16, si trattava di stabilire il cronogramma dell’iter processuale, iniziato presso un tribunale nel Sud della Florida dopo la deportazione di Saab, che ha rifiutato di patteggiare, dichiarandosi innocente. “Seppur in assenza di prove – spiega l’avvocata Pareda – gli sono stati imputati 8 capi d’accusa, sette relativi al riciclaggio di denaro “sporco” e uno per “cospirazione”. Anziché riconoscere il suo status di diplomatico, gli è stata applicata una teoria definita “delegittimazione del profugo”, benché Saab non avesse più messo piede negli Stati Uniti da oltre 10 anni”.
Nonostante gli altri 7 capi d’accusa siano poi caduti, resta così in piedi quello di “cospirazione”, che cadrebbe se venisse riconosciuta l’immunità diplomatica di Saab. Su questo, la difesa ha presentato appello presso una Corte di Atlanta, in Georgia, che lo ha ammesso e ora, dopo vari rinvii, “si attende il pronunciamento per il 4 aprile, a quasi un anno dalla presentazione dell’appello”. L’udienza che si è svolta mercoledì tra la Pubblica accusa e la difesa di Saab ha fissato il processo per il prossimo 11 di ottobre e una nuova seduta per il 10 di giugno, che verrà determinata dalla decisione del 4 aprile della Corte d’Appello di Georgia, relativa all’immunità diplomatica. Intanto, quello di Saab sta diventando un caso di scuola per comprendere la portata e le implicazioni delle misure coercitive unilaterali imposte al Venezuela.
Spiega ancora Indhriana Parada: “Dopo le misure coercitive imposte al Venezuela nel 2015, il presidente Maduro ha promulgato un decreto di emergenza economica che ha permesso di attivare tutto l’apparato amministrativo, a cui è seguita la Legge Contro il Bloqueo, accompagnata da un Osservatorio nazionale sulle “sanzioni” e da uno specifico viceministero, diretto da William Castillo. Al contempo, è stata creata la Cattedra antibloqueo, un corso di studi che riguarda vari ambiti di disciplinari e che, dall’università pubblica, potrebbe essere estesa anche all’educazione secondaria”.
William Castillo ha illustrato gli effetti e le implicazioni del bloqueo in tutti i campi della vita del paese e mostrato le strategie di ripresa che hanno motivato energie a tutti i livelli: da quelle di governo a quelle delle comunità in resistenza. Centrale, anche il tema della guerra mediatica. La relazione di Roygar Lopez intitolata “Alex Saab: operazione di assassinio morale con fucili mediatici e fini politici”, ha mostrato la costruzione di una campagna di discredito contro il diplomatico e la sua famiglia, e di minacce agli attivisti che lo difendono, “condotta da Ong pagate dagli Stati Uniti e da una persecuzione mediatica delirante deputata a creare un’opinione negativa, come nel caso del sito Armando.info”. Mettendo il nome di Alex Saab in motore di ricerca – ha detto Lopez – si incontrano “15.600.000 occorrenze. Facendo una breve analisi dei primi 100 risultati, appaiono 94 notizie negative e solo 6 positive”.
Un argomento ripreso anche nell’incontro internazionale della comunicazione popolare alternativa, organizzato dal Consejo Nacional e Internacional de la comunicacion popular (Conaicop), coordinato da Alcides Martinez. In serata, se n’è discusso anche al Teatro Alameda, nella parrocchia San Agustín della capitale, in un forum dal titolo “#NO+BLOQUEO”, sempre organizzato dal movimento Free Alex Saab. Vi hanno partecipato Laila Tajaldine, Olga Álvarez, Michel Caballero, Pedro Carvajalino, Mario Silva e il deputato Julio García Zerpa.
Gli analisti hanno trattato il tema in ambito geopolitico, mediatico, del diritto internazionale e in quello della guerra di quarta generazione. García Zerpa, che fa parte della Commissione parlamentare per il risarcimento delle vittime del bloqueo, ha chiarito ulteriormente l’importanza e il coraggio di Saab. Per questo, gli analisti hanno respinto in blocco la notizia, diffusa con gran fragore dagli Stati Uniti, secondo la quale il diplomatico venezuelano sarebbe stato un collaboratore della Dea.
Ma a che pro, allora, sequestrarlo e torturarlo e continuare a tenerlo segregato quando i veri traditori del Venezuela vengono protetti dagli Usa e liberati? L’intenzione – è stato detto – è quella di creare confusione nel movimento internazionale, che si stringe intorno alla famiglia di Alex Saab, protetta dal Venezuela e sempre presente ai dibattiti. Per questo, un gruppo di militanti in sala, si è alzato per cingere Camilla Fabri Saab con la bandiera venezuelana.