Enrique Ubieta Gomez www.cubadebate.cu
Accendi la freccia intermittente che indica che prenderai la corsia di sinistra e svolta a destra. Il trucco è vecchio. Né le luci, né le parole, sono definitorie: lo sono le azioni. Quando si vuole distruggere una Rivoluzione vittoriosa perché dici che non è perfetta, quando si collabora a questo sforzo con l’imperialismo e poi si cerca di impedire che quella si difenda, quando si ostacola qualsiasi processo di natura nazionalista (necessariamente antimperialista, in paesi neocolonizzati) in collusione con la destra o ti allei con la NATO nei suoi tentativi di conservare o recuperare l’egemonia imperialista, militi nella destra.
Non importa se ti autodefinisci libertario o ti credi trotskista. Non è possibile associare il nome del rivoluzionario Leon Trotsky, che giunse a dire, dal suo esilio messicano, che, se i nazisti avessero invaso l’URSS, sarebbe andato a difenderla, con questi parassiti della dottrina. Non basta che ci dichiaramo contrari al blocco, se le nostre azioni sono state progettate per giustificare l’intensificazione o persino per giustificare un’invasione armata.
Conosco alcuni di tale genere: hanno approvato gli interventi della NATO (dell’imperialismo USA) in Medio Oriente in nome della democrazia, e ora firmano condanne della Rivoluzione Cubana – che li ha accolti, quando le loro vite fluttuavano nel limbo esclusivo della parole- perché, cavolo, si difende e non si lascia intimidire.
Nel soggiorno di casa mia, e di fronte alla mia osservazione che, allora, secondo il suo concetto, la NATO avrebbe dovuto intervenire nel suo paese di origine (membro attivo della NATO), dove le masse indignate occupavano indefinitamente il centro della capitale, uno di quei firmatari ha risposto spudoratamente: no, perché il mio paese è una democrazia. Quella e altre “democrazie” analoghe picchiano i manifestanti nelle strade, sparano loro e li perseguono duramente. Negli USA, il cui governo si arroga il diritto di definire chi è e chi non è democratico, come ricorda il nostro ministro degli Esteri Bruno Rodríguez, “1009 persone sono state assassinate dalla polizia nel 2021”.
Li ho anche nel cortile: usano il linguaggio della sinistra, parlano da un centro presumibilmente equidistante da tutte le militanze, e agiscono secondo il copione imperialista. Questi “sinistri” che si indignano della giustizia rivoluzionaria che risponde agli atti di violenza, al tentativo pianificato di sovvertire il socialismo liberamente scelto dal popolo -alcuni hanno firmato la prima versione di un documento che li ha tradiva, perché non menzionava nemmeno l’esistenza del blocco, e in seguito si sono uniti a quello elaborato da una mente più subdola, con le variabili appropriate: c’è un blocco, una pandemia, ma la colpa è della Rivoluzione-, sono accolti con entusiasmo nelle dimore della a destra, dove anarchici e imperialisti, socialdemocratici e neoliberali, ballano dolcemente tenendosi per mano per, assicurano, costruire una Cuba “inclusiva”. Diciamo così com’è: con i suoi errori, pregi e difetti, abbiamo aggirato e superato, il più possibile, il blocco e la pandemia, grazie all’esistenza di una Rivoluzione.
Ma la messa in scena distribuisce i ruoli. Un’attivista controrivoluzionaria delle arti visive (artista le piace definirsi) interpreta un personaggio ricco di sfumature: si unisce alla dichiarazione (è l’azione che la definisce) e poi dice di non essere d’accordo con i termini usati dai firmatari “di sinistra”. (il suo compito è renderli credibili, ma sono solo parole).
Di fronte a un’azione e a qualche parole, rimango con l’azione. Ma è interessante sapere che per lei il blocco non esiste, che comunque dovrebbe chiamarsi embargo, come le ha detto di dire il Dipartimento di Stato USA. Il trucco, ho già detto, è vecchio.
“L’Agenzia da tempo aveva avuto un’idea — scrive Frances Stonor Saunders nel suo libro ben documentato La CIA e la Guerra Fredda Culturale —: chi meglio degli ex comunisti per combattere i comunisti? (…) Naturalmente, per la CIA, la strategia di promozione della sinistra non comunista avrebbe dovuto essere ‘il fondamento teorica delle operazioni dell’Agenzia contro il comunismo per i prossimi due decenni’”.
Ma questi sinistri amici dell’imperialismo — li giudico dai loro atti, non dalle loro parole — non esercitano la democrazia che predicano. Sono infastiditi dall’emergere di una nuova generazione di rivoluzionari giovani, audaci e intelligenti, che hanno il loro proprio linguaggio, i loro codici di condotta, che assumono la continuità non delle forme, né degli obiettivi raggiunti; bensì dello sforzo collettivo per conquistare nuove quote di giustizia e dignità, che sono i principi fondamentali che sostengono la Rivoluzione. Giovani che sanno che senza la Rivoluzione al potere non si potrebbe fare nulla.
Li ho visti nella città di Matanzas, quando la pandemia ha colpito quella provincia come un uragano di massima intensità; erano direttori di ospedali e di centri di isolamento, ingegneri impegnati a rendere più funzionale e veloce la distribuzione dei letti, studenti universitari convertiti in aiutanti alle pulizie e di cucina nella zona rossa, taxisti che hanno offerto i loro almendron (auto vecchie) per il trasferimento dei sospetti di essere malati, soldati e ufficiali che trasportavano bombole di ossigeno.
Erano anche gli scienziati che hanno lavorato fianco a fianco con altri più veterani nella concezione e nella produzione di vaccini o di respiratori artificiali fatti in casa. Tutto l’odio era concentrato su quei ragazzi che distruggono la storia di una gioventù cubana apatica e discreditata, e superano il blocco, non con le parole ma con atti.
Uno di quei giovani, ironico e sagace, che fa risaltare il nome del suo programma televisivo Con Filo, è stato invitato a partecipare ad un evento su Cuba organizzato dall’Università di Nottingham, nel Regno Unito. Gli odiatori hanno scritto delle lettere per impedirlo. La democrazia che difendono si sente minacciata di fronte alle loro verità semplici e clamorose. Alcune firme si ripetono —senza principi guida, qualsiasi documento va bene per incanalare l’odio—, ma non voglio fare nomi. Un noto scrittore e regista è stato lapidario nel suo commento alla lettera: “Il programma potrebbe essere migliore o peggiore, ma impedire all’annunciatore di partecipare a un evento solo per questo è oscurantismo e fascismo”.
Non posso fare a meno di sorridere, pensando con dolore ai borghesi detronizzati e ai loro vecchi e nuovi ideologi che da sei decenni chiedono, ogni 31 dicembre, la riconquista dei loro vecchi privilegi a Cuba.
I loro libri annunciano “l’ora finale” di Castro, i loro blog promettono che questi saranno i nostri “penultimi giorni”, le loro canzoni proclamano l’arrivo del giorno finale. Preparano per poi disfare, davanti ad ogni fiasco, le valigie del ritorno, sia che si tratti dell’invasione mercenaria di Playa Girón, della caduta del Muro di Berlino o della partenza fisica di Fidel. Cercano di ingannarci e ingannano se stessi. Il manifesto di Ares, “Cuba Post-Castro”, provoca in essi il più grande degli incubi: il volto di Fidel appare moltiplicato, convertito in popolo.
(Tratto da La Jiribilla)