Alessandra Anselmi, critica d’arte, autrice di un importante studio sull’arte, la cultura e la società déco all’Avana, manda a Il manifesto una lettera indignata:
“Batista, Fidel e un giornale che si definisce «quotidiano comunista»
Sono una storica dell’arte e per questo è da tantissimi anni, io ne ho 59, che conosco gli scritti di Álvar Gonzáles Palacios, che ho anche avuto modo di incontrare nella sua bellissima casa romana.
Nato nel 1936 a Santiago de Cuba, da un importante famiglia, lasciò la nativa Cuba nel 1957, per studiare Storia dell’Arte in Italia, diventando uno dei massimi esperti di arti decorative. Gentiluomo d’altri tempi, Álvar Gonzales Palacios è certamente più a suo agio tra musei, collezionisti e case principesche, che non nelle aule universitarie, oggettivamente, non sempre il massimo del glamour. Una vita ricca d’incontri, gli studi, le letture, rendono interessanti anche le sue autobiografie.
Dunque, nonostante Álvar non sia orientato a sinistra e sia decisamente anticastrista, tanto da non essere più tornato a Cuba dopo il 1959, per la sua vasta cultura, può essere accettabile, anche se un po’ stupefacente, che il Manifesto quotidiano comunista ospiti suoi articoli. Certo è che se alcuni suoi scritti, come quelli sulle ville dell’aristocrazia inglese, possono presentare interesse storico, lascia piuttosto perplessi che il Manifesto accolga articoli come quello sull’aristocratica Domietta Del Drago (il Manifesto, 18 luglio 2021). Maria Laudomia (detta Domietta) del Drago Hercolani fu, infatti, icona di eleganza e dotata di vari talenti, tanto da collaborare con Luchino Visconti, ma, onestamente, personaggio di scarso rilievo, al di fuori delle cronache mondane e dei salotti romani o, comunque, italici. Veramente strano, per un quotidiano che “per statuto” non ospita cronache mondane, che si sia dedicata una pagina a questa aristocratica signora. Forse i tempi che corrono – la gente ha più voglia di distrarsi e sognare che di capire – hanno suggerito alla redazione de il Manifesto, di far entrare questo tipo di scritti dalla finestra, ovvero su Alias, inserto culturale del sabato e della domenica.
Se tutto ciò può essere, in certa misura, tollerabile, è, invece, inaccettabile che il Manifesto quotidiano comunista (edizione del 24 aprile), abbia permesso che Álvar González Palacios terminasse la recensione del mio libro, L’Avana déco: arte cultura, società, con una frase che, dopo aver menzionato la villa di Lidia Cabrera, afferma: «all’arrivo della nuova dittatura, verso il 1959, Lidia lasciò per sempre Cuba e subito dopo la sua dimora fu rasa al suolo».
Nessun astio verso Álvar González Palacios, verso il quale, anzi, nutro simpatia, a testimoniare che non sono una rigida “fondamentalista” marxista. Ho sempre ascoltato, più o meno in silenzio, per il rispetto che si deve all’età e a vissuti personali, probabilmente dolorosi, le sue opinioni su Cuba, radicalmente diverse dalle mie. Ma che un giornale, “quotidiano comunista”, accetti che, di fatto, Fidel Castro venga equiparato a Batista, tout court, senza alcun distinguo, e permetta si pubblichi un’espressione di forte carica simbolica negativa, quale: «e subito dopo la sua dimora fu rasa al suolo», come se la Rivoluzione abbia fatto terra bruciata di tutto, questo è inaccettabile.
Va bene il pluralismo democratico, ma un giornale che si auto-definisce “quotidiano comunista” non può pubblicare simili equiparazioni. Con il trionfo della Rivoluzione nel 1959, a Cuba non arrivò una “nuova dittatura”, fu un cambio epocale. A un regime marcato da sfruttamento, corruzione, disuguaglianze (gran parte della popolazione analfabeta e senza accesso alle cure mediche), violenza, mafia dilagante, subentrò un governo che poneva al primo posto l’uguaglianza, l’educazione e il diritto alle cure mediche per tutti, la restituzione della dignità umana a persone che vivevano come schiavi. Questo non vuol dire che Cuba si trasformò in un paradiso. Furono fatti anche errori, come per fare un esempio, data la cultura machista di origine spagnola, la persecuzione degli omosessuali, alcuni confinati nelle UMAP. Errore peraltro riconosciuto dallo stesso Fidel. Ci furono scelte economiche sbagliate, ma è tutto da vedere e contestualizzare storicamente. Cuba ha i suoi problemi. Ma quali sono i paesi che non ne hanno? In Italia, che è una delle sette potenze industriali, si continua a morire per la mal sanità. In alcune regioni, come la Calabria, dove ho insegnato all’università per vent’anni, la situazione sanitaria è da terzo mondo, per non parlare di quella dei trasporti e altre.
La strategia della tensione, inauguratasi con la strage di piazza Fontana nel 1969 e culminata nella strage di Bologna nel 1980, ordita dall’estrema destra, con la collusione di apparati dello stato, e appoggiata dalla Nato (non sono illazioni, lo attestano le carte giudiziarie) ha fatto tantissime vittime, che ancora attendono giustizia e risarcimenti.
Josep Borrell, in una nota a nome dell’Unione Europea, lo scorso 29 luglio ha di fatto accusato Cuba, come fa la maggior parte della stampa, di violare i diritti umani. Ha parlato di mancanza di cibo, medicine, acqua, energia, libertà di espressione. Praticamente, a mio avviso con intenti destabilizzanti, ha dipinto Cuba come se fosse immersa in una crisi umanitaria. Non è così, problemi ce ne sono e tanti, ma non c’è una crisi umanitaria. A Cuba, nonostante tutte le difficoltà, non c’è un solo bambino malnutrito, che dorma sotto un ponte, non c’erano neanche durante il período especial; in Europa e negli USA, invece, ci sono, visti con i miei occhi. La storia ci insegna che, dopo la seconda guerra mondiale, in realtà anche prima, a tutti i “cambiamenti” spalleggiati, a diversi livelli e con diverse modalità, dagli USA, ha fatto seguito lì si, veramente, il disastro umanitario, ancora sotto i nostri occhi.
Puntare i fari sui diritti umani a Cuba è ingiusto, mistificante e manipolatorio. In Italia, paese che si considera democratico, ci sono persone che marciscono in carcere in attesa di giudizio e altre, all’opposto, colpevoli, come i riconosciuti stragisti, che sono (o erano, alcuni sono morti) a piede libero, perché i reati sono caduti in prescrizione.
Negli USA sono finite sulla sedia elettrica persone, per lo più afroamericani, poi riconosciute innocenti. Matteo Renzi ha stretti rapporti con un paese, l’Arabia Saudita (così come ce l’hanno la maggior parte dei paesi del mondo, il petrolio, tanto per parafrasare, non è acqua), che ha fatto tagliare a pezzi un suo scomodo giornalista all’interno di una sede diplomatica. Oltretutto, e a parte ciò, se per qualcuno l’orrida morte di Jamal Kashogghi non fosse abbastanza, è noto che i sauditi non brillano per i diritti civili.
Mangiare è un diritto umano basilare. Eppure, le multinazionali, gli stati cosiddetti democratici, con politiche scellerate, riducono alla fame intere popolazioni, ma dei morti silenziosi non parla nessuno. Molti prodotti tecnologici, come i cellulari, che tutti noi usiamo, comportano, all’inizio della catena produttiva, materie prime estratte, solo un esempio, in Congo, da persone trattate come schiave, tra cui bambini. Di questo pochi parlano, tra cui, c’è da riconoscerlo, il Manifesto.
La manipolazione mediatica, il bombardamento di notizie sull’Ucraina, ha fatto dimenticare che la maggior parte degli africani ancora non sono vaccinati e che di Covid si continua a morire, mentre lo scorso dicembre in Europa sono scadute dosi di vaccino, che avrebbero potuto salvare vite umane.
Cuba, nonostante l’embargo, e le tante difficoltà, ha prodotto un suo vaccino, che non si vuole circoli nel mondo. Pfizer non si è ancora arricchita abbastanza?
Cuba è un piccolo stato sotto assedio, non sempre può prendere le decisioni, anche in tema di libertà di stampa, che, a un occhio esterno, potrebbero sembrare le più ovvie. Non concordo, infatti, con il Fiat veritas et pereat mundus di Hannah Arendet, che piace tanto a Tania Bruguera. Peraltro, la sua idea di collocare un microfono aperto nella Plaza de la Revolución, nel 2014, in un momento in cui Obama diceva a Raul qualcosa come “non sei poi così cattivo come mi avevano insegnato nel mio paese” e Raul, analogamente, gli diceva “neanche tu sei poi così brutto”, mi sembrò, veramente, solo una sterile e dannosa provocazione, fecero bene a proibirla. Comunque sia, la libertà di stampa nei paesi dove vive e fa le sue performance Tania Bruguera sono spesso lettera morta. Gabriella Ferri, amata cantante italiana, in un suo disco diceva: «tanto di tutto tanto di niente le parole di tanta gente». Nei paesi cosiddetti democratici di giornali ce ne sono fin troppi e, spesso, come nella canzone di Gabriella Ferri, non dicono proprio nulla, non informano: fanno solo il lavaggio mediatico al cervello delle persone.
Nonostante l’embargo, Cuba segue, seppur con tante difficoltà, tra cui gli ultimi massicci esodi, dignitosamente per il suo cammino. Il fatto che nella maggior parte del mondo abbia trionfato il cinismo capitalista non vuol dire che il progetto cubano abbia perso validità.
Il revisionismo storico è dilagante, l’ignoranza della storia pure. Lo scrittore e giornalista uruguaiano, Eduardo Galeano, ha detto che contro Cuba gli altri paesi applicano sempre la lente d’ingrandimento, che focalizza aspetti negativi, ingigantendoli, secondo la convenienza del momento e del nemico. Mentre degli aspetti positivi non si parla, come, solo per fare un esempio, ci furono pagine e pagine dedicate al terremoto di Haiti, senza menzionare i 1000 medici, mandati da Cuba. Per essere più attuali, del vaccino cubano trattano in pochissimi.
Lo stesso Galeano affermò che lui non applaude a tutto quello che Cuba fa, neanche io, amo questo paese, ma su alcune cose non sono pienamente d’accordo. Per esempio, i codici di comunicazione propagandistica, dovrebbero essere, a mio avviso, modificati, ma, come diceva Galeano, penso che il vero amico è anche quello che critica di fronte, sempre che la critica sia costruttiva, e, in caso, elogia di dietro.
Detto tutto ciò, non è ammissibile, non è tollerabile che il Manifesto pubblichi un articolo, come quello di Álvar Gonzáles Palacios, che veicola il messaggio che la Cuba di oggi è una dittatura, come quella di Batista.
Il Manifesto, come tutti i giornali, ha un comitato di redazione che seleziona e, quando vuole e ritiene opportuno, censura o non pubblica. Questa frase di González è sfuggita? Errare è umano, ma perseverare è diabolico. Data la linea che, anche sul tema della guerra in Ucraina, il Manifesto sta assumendo, è dovere morale del giornale chiedersi se non sia, a questo punto, opportuno eliminare dalla testata la dicitura «quotidiano comunista».
In quanto a Cuba, penso che per i paesi che la attaccano valga il detto biblico: «non guardare la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello se non vedi la trave che è nel tuo occhio».