Si chiude oggi la XXX Fiera Internazionale del Libro dell’Avana. In mezzo a circostanze molto complesse, sia economiche che epidemiologiche, l’evento culturale più di massa di Cuba può catalogarsi come un successo di fronte alle avversità
Michel E. Torres Corona www.granma.cu
Si chiude oggi la XXX Fiera Internazionale del Libro dell’Avana. In mezzo a circostanze molto complesse, sia economiche che epidemiologiche, l’evento culturale più di massa di Cuba può catalogarsi come un successo di fronte alle avversità. Ci sarà chi insisterà solo nel segnalare le macchie dell’opera magnum (e sono esistite, non c’è dubbio), ma è innegabile che si siano state poste nelle mani del pubblico dei lettori un gran numero di novità editoriali. Un centinaio di attività artistiche e letterarie si sono svolte in tutta la città.
Certamente, un evento di tale portata testimonia l’impegno dello Stato cubano nel promuovere la cultura come strumento di emancipazione individuale e collettiva; ed è, allo stesso tempo, oggetto di rabbiose critiche da parte degli avversari ideologici della Rivoluzione, coloro che sono, semplicemente, incapaci di riconoscere, obiettivamente, una buona azione del Governo socialista. Alcuni di loro hanno attaccato, con particolare cattiveria, il prezzo di alcuni libri e altri articoli venduti da espositori stranieri. Inconsciamente, hanno così riconosciuto una conquista della politica culturale rivoluzionaria: il modico prezzo della letteratura stampata a Cuba.
Questo traguardo, che si traduce nella capacità d’acquisto dei cittadini rispetto al costo dei libri, è qualcosa che storicamente è stato difeso a Cuba e che continua ad essere difeso anche dopo la riorganizzazione, considerando che il sistema cubano che l’ha erogato per tale produzione poligrafa non è una spesa, bensì un investimento. Basta confrontare la nostra realtà con quella di altre latitudini, in cui l’acquisto di un libro costituisce un lusso, per valutare con giustizia la volontà di questo piccolo e bloccato Paese di sostenere la crescita intellettuale dei suoi cittadini.
E si può dire che l’imponenza della Fiera non è una piena garanzia che queste masse, in effetti, leggano. È vero. È anche vero che non sempre leggiamo il meglio o il più utile: si compra e si vende molta letteratura frivola. Ma la politica, la volontà dello Stato, esiste, ed è la materializzazione di due principi, uno di Martí e l’altro di Fidel: la cultura come conditio sine qua non della libertà, e la lettura come antitesi della credenza cieca.
Parlando con un amico, non eravamo d’accordo sulla concezione della natura della politica culturale come fenomeno. Per lui poteva solo qualificarsi come “politica culturale”, con tutte le lettere, l’esercizio pubblico, l’attività delle istituzioni a tutela dello Stato, poiché enti privati potevano svolgere solo il ruolo di mecenati. Per me il mecenatismo era il modo in cui la classe abbiente cercava di influenzare la narrativa simbolica di un’epoca: il mecenatismo era la politica culturale della borghesia.
Solo i più ingenui o i molti subdoli possono negare che c’è una correlazione tra il socialismo, il modello socioeconomico costituzionale che noi cubani abbiamo scelto in un referendum, e quella massività che ha non solo la Fiera del Libro, ma anche altri eventi come il Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano. La cultura che i mecenati finanziano è una cultura per le élite, nel migliore dei casi, o per intorpidire la sensibilità della maggioranza, nel peggiore. Gli interessi di individui molto facoltosi, che si impongono a colpi di libretto degli assegni, raramente rispondono a un’agenda veramente pubblica e democratica. Il mecenatismo è una politica culturale pagata da privati che cercano di soddisfare la propria vanità, il proprio senso di bellezza, o cercano di creare un mercato mainstream che svuoti di desideri emancipatori un’industria culturale creata per la servitù, non per la libertà.
La Fiera del Libro, prodotto di una politica culturale pubblica e popolare (che potrebbero essere sinonimi ma non sempre lo sono), è anche un successo perché dimostra che la logica mercantile non può significare lotta per il cuore e la mente di un popolo. E dimostra anche che dobbiamo lottare contro il mecenatismo come mezzo preponderante affinché l’artista trovi rifugio, sia esso quello tipico delle società schiave, feudali e capitaliste, o quel nuovo tipo di mecenate che talvolta, arrogandosi un falso dominio sulle casse di Liborio, cerca di fare delle istituzioni un veicolo di nepotismo e traffico di influenze.
La prossima Fiera, che speriamo si celebri in condizioni più ottimali, sarà una nuova opportunità per affermare la politica culturale della Rivoluzione, e per levigare ogni asperità, ogni difetto che si possa rilevare. Ma di una cosa siamo sicuri: il diritto alla lettura a Cuba gode e deve continuare a godere di tutte le garanzie, senza bisogno di mecenati.
Mecenazgo y política cultural
Hoy se clausura la XXX Feria Internacional del Libro de La Habana. En medio de muy complejas circunstancias, tanto económicas como epidemiológicas, el evento cultural más masivo de Cuba puede catalogarse como un éxito ante la adversidad
Autor: Michel E. Torres Corona
Hoy se clausura la XXX Feria Internacional del Libro de La Habana. En medio de muy complejas circunstancias, tanto económicas como epidemiológicas, el evento cultural más masivo de Cuba puede catalogarse como un éxito ante la adversidad. Habrá quienes solo insistan en señalar las manchas de la obra magna (y existieron, no hay duda), pero es innegable que se logró colocar en manos del público lector un gran número de novedades editoriales. Un centenar de actividades artísticas y literarias se produjeron por toda la ciudad.
Por supuesto, un evento de tal magnitud es evidencia del compromiso del Estado cubano con la promoción de la cultura como herramienta de emancipación individual y colectiva; y es, a la par, objeto de airados vituperios por parte de los adversarios ideológicos de la Revolución, esos que son, sencillamente, incapaces de reconocer con objetividad una buena acción del Gobierno socialista. Algunos de ellos atacaron, con particular saña, el precio de algunos libros y otros artículos que vendían los expositores extranjeros. Inconscientemente, reconocían de esa manera un logro de la política cultural revolucionaria: el precio módico de la literatura impresa en Cuba.
Ese logro, que se traduce en la capacidad adquisitiva de los ciudadanos con respecto al costo de los libros, es algo que se ha defendido históricamente en Cuba y que se sigue defendiendo después del reordenamiento, al considerar el sistema cubano que lo erogado para esa producción poligráfica no es un gasto, sino una inversión. Basta comparar nuestra realidad con la de otras latitudes, en las que la compra de un libro constituye un lujo, para aquilatar con justeza la voluntad de este pequeño y bloqueado país de apoyar el crecimiento intelectual de sus ciudadanos.
Y se puede decir que la masividad de la Feria no es garantía plena de que esas masas, en efecto, lean. Es cierto. También es cierto que no siempre leemos lo mejor o lo más útil: se vende y se compra mucha literatura frívola. Pero la política, la voluntad estatal, existe, y es la materialización de dos principios, uno martiano y el otro fidelista: la cultura como conditio sine qua non de la libertad, y la lectura como antítesis de la creencia ciega.
Conversando con un amigo, discrepábamos en la concepción de la naturaleza de la política cultural como fenómeno. Para él, solo podía catalogarse de «política cultural», con todas las letras, al ejercicio público, a la actividad de instituciones con amparo estatal, puesto que entes privados solo podían cumplir el rol de mecenas. Para mí, el mecenazgo era la forma en la que la clase adinerada buscaba influir en el relato simbólico de una época: el mecenazgo era la política cultural de la burguesía.
Solo los muy ingenuos o los muy taimados pueden negar que existe una correlación entre el socialismo, el modelo socioeconómico constitucional que elegimos los cubanos en referendo, y esa masividad que tiene no solo la Feria del Libro, sino también otros eventos como el Festival del Nuevo Cine Latinoamericano. La cultura que financian mecenas es una cultura para élites, en el mejor de los casos, o para entumecer la sensibilidad de las mayorías, en el peor. Los intereses de individuos muy pudientes, que se imponen a golpe de talonario, rara vez responden a una agenda verdaderamente pública, democrática. El mecenazgo es una política cultural pagada por privados que buscan satisfacer su vanidad, su sentido de la belleza, o intentan crear un mercado mainstream que vacíe de ansias emancipatorias a una industria cultural creada para la servidumbre, no para la libertad.
La Feria del Libro, producto de una política cultural pública y popular (que pudieran ser sinónimos pero no siempre lo son), es también un éxito porque demuestra que la lógica mercantil no puede signar la lucha por el corazón y la mente de un pueblo. Y demuestra, también, que debemos combatir contra el mecenazgo como vía preponderante para que el artista halle abrigo, ya sea aquel típico de las sociedades esclavistas, feudales y capitalistas, o ese nuevo tipo de mecenas que a veces, arrogándose un dominio espurio sobre las arcas de Liborio, intenta hacer de las instituciones un vehículo para el nepotismo y el tráfico de influencias.
La próxima Feria, que esperemos que se celebre en condiciones más óptimas, será una nueva oportunidad para afirmar la política cultural de la Revolución, y para pulir cualquier aspereza, cualquier defecto que pudiera señalársele. Pero de algo estamos seguros: el derecho a la lectura en Cuba goza y debe seguir gozando de plenas garantías, sin necesidad de mecenas.