Colombia: le sfide che attendono Petro dopo la storica vittoria

Geraldina Colotti

Gustavo Petro è il nuovo presidente della Colombia, per il periodo 2022-2026. Il candidato della coalizione Pacto Historico è stato votato da 11.281.013 di persone, totalizzando il 50,44% delle preferenze, contro i 10.580.412 dello sfidante, Rodolfo Hernandez, che ha corso per l’alleanza Liga de Gobernantes Anticorrupción, ottenendo il 47,31%.

Entrambi i candidati hanno notevolmente aumentato il numero dei voti, considerando che, al primo turno, Petro aveva vinto con 8.526.352 di voti (più del 40%), mentre per Hernández avevano votato 5.952.748 (poco più del 28%). Molti dei 15 milioni di astenuti, che erano rimasti lontani dalle urne il 29 maggio, sono andati a votare, facendo registrare una partecipazione del 58,09%, l’astensione più bassa da vent’anni a questa parte per le prime elezioni realizzate dopo la pandemia.

Un risultato su cui le destre, al di là delle “congratulazioni” dell’ex presidente Ivan Duque e delle dichiarazioni di Hernández, che ha riconosciuto la sconfitta, si apprestano a speculare. Contano sulla loro capacità di incidere, attraverso i meccanismi giudiziari, sulla realtà politica, infangando, perseguendo e mettendo fuori gioco gli avversari. Un meccanismo smascherato dallo scoppio delle proteste del 2001, precedute da altre minori, nel 2019 e nel 2020. Il governo Duque, che aveva cercato di imporre una riforma fiscale a scapito dei settori popolari già ampiamente colpiti dalla crisi e dalla pandemia, ha dovuto far fronte a mesi di sciopero generale, contro cui ha scatenato una repressione senza precedenti. La polizia ha torturato, violentato e compiuto esecuzioni extragiudiziarie. Almeno 87 persone sono state uccise, vi sono stati centinaia di feriti, molti dei quali con danni permanenti alla vista, come accadde durante la repressione in Cile. Durante il suo primo comizio da presidente, Petro ha chiesto al procuratore generale Francisco Barbosa di liberare i giovani della “prima linea”, arrestati durante le proteste, e che vengano restituiti all’attività pubblica i sindaci destituiti per le proteste.

Barbosa si è subito trincerato dietro la separazione dei poteri e ha replicato che “se il presidente eletto vuole la liberazione di chi ha commesso delitti, deve chiedere il favore al Congresso affinché cambi la legge, non al procuratore generale”. Un riferimento chiaro alla battaglia istituzionale che si annuncia per impedire alcune delle riforme proposte da Petro in campagna elettorale.

Mentre al Senato il Pacto Historico ha ottenuto la maggioranza alle elezioni politiche del 13 marzo, al Congresso è la seconda forza rappresentata, ma non ha i numeri necessari per far passare agevolmente una legge. Dovrà, quindi, cercare alleanze nel campo moderato su temi puntuali, sapendo che l’uribismo, per quanto in crisi, non ha alcuna intenzione di mollare l’osso, e che anzi cercherà di ricompattare i ranghi usando alcune zone geografiche di confine e alcuni suoi bastioni istituzionali, in vista delle elezioni dei sindaci e dei governatori dell’ottobre 2023. Il calcolo definitivo dei parlamentari eletti il 19 si avrà solo a metà luglio.

Nel secondo paese dell’America latina con il maggior indice di disuguaglianza dopo il Brasile, che conta oltre 21 milioni di poveri e 7,4 milioni che vivono in povertà estrema, il piano di governo di Petro implica riforme economiche che riguardano le pensioni e la sanità, dove si prevede di ridurre il margine di manovra delle imprese private incaricate di erogare prestazioni mediche. La figura della vicepresidenta, Francia Marquez, premio Nobel per l’ambiente e femminista afro-colombiana, votata soprattutto dai giovani, dalle donne, da lavoratori poveri e dai senza-diritto, rappresenta le aspettative degli esclusi e delle escluse: lavoratrici domestiche, gli spazzini, i contadini poveri, quelli che non hanno mai avuto incarichi politici, e che hanno dato voce alle proteste popolari denunciando il volto feroce di una società razzista e classista.

Da politico navigato che non si caratterizza per posizioni radicali, Petro ha promesso di impegnarsi per costruire un “miglior capitalismo”, promettendo però di voler passare da un modello estrattivista, ossia dipendente dal petrolio e dell’estrazione mineraria (il settore petrolifero contribuisce al Pil per il 7,1%), a uno produttivo, basato sulla produzione agro-pecuaria. Considerando che la Colombia vanta il triste primato dei conflitti ambientali nel continente, è facile comprendere che per passare dalle parole ai fatti, anche per portare avanti un programma di riforme conseguenti, Petro dovrà scegliere però da che parte stare nello scontro fra le popolazioni, soprattutto indigene, e le grandi multinazionali. Sono già 47 i massacri avvenuti in Colombia dall’inizio dell’anno, durante il quale sono stati uccisi oltre 76 leader sociali e 21 ex-guerriglieri. Molti dei paramilitari, impiegati in precedenza nella guerra sporca contro la guerriglia e contro l’opposizione sociale si sono riconvertiti in esercito privato della sicurezza delle grandi imprese multinazionali.

Francia Marquez ha promesso di dar voce alle zone più povere delle campagne, che scontano l’assenza di una riforma agraria in un paese che, principalmente per questo, ha visto il sorgere di due guerriglie lungo oltre mezzo secolo (le Farc-Ep e l’Eln). Una delle principali rivendicazioni del processo di pace che Duque si è dedicato a demolire, e che Petro ha promesso di portare avanti, contando anche sui seggi degli ex guerriglieri passati alla vita politica.

Un compito non facile, considerando i grandi interessi che intrecciano il potere dell’oligarchia locale con quelli degli Stati Uniti, che perpetuano la logica del Plan Colombia intrecciando l’economia di guerra con quella del controllo del territorio. In Colombia, l’unico socio della Nato in America Latina, risiede il maggior numero di basi militari Usa della regione, supportate da un sistema militare di antico fervore anticomunista, che data almeno della guerra di Corea. Nel 1950, la Colombia fu l’unico paese latinoamericano che mandò le sue truppe agli ordini degli Usa contro i comunisti coreani.

Nel secondo paese del continente per numero di militari dopo il Brasile e il primo in relazione alla quantità di abitanti, non si contano le denunce per le violazioni compiute dai militari, presentate dalle organizzazioni per i diritti umani. Eppure, la fitta rete di propaganda che circonda la “famiglia militare”, che si considera nemica di Petro, indica la pervasività di questa cultura in vari settori della società colombiana. Tanto che, in base a un’inchiesta del 2021, la Forza Armata risultava essere l’istituzione considerata più prestigiosa dal 26,8% della popolazione. All’ultimo posto, figuravano i partiti e i movimenti politici, con solo un 8,5% di gradimento.

Le ripetute aggressioni al Venezuela bolivariano hanno potuto contare sulla posizione strategica delle basi militari, visibili o occulte, fornite di potenti strumenti satellitari e di controllo, i cui terminali agiscono anche dall’ambasciata nordamericana, e che sono stati impiegati in modo massiccio per perseguire le proteste popolari. La space-economy è un settore importante dell’economia di guerra, e la Colombia è anche in questo campo un satellite importante degli Stati Uniti.

Intanto, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Colombia, Juan Carlos Pinzón, ha detto che lascerà il paese il giorno prima dell’assunzione d’incarico di Petro, il 7 agosto. Per quella data, Duque ha organizzato un grande concerto di addio, durante il quale darà libero accesso ai “migranti venezuelani”, per i quali ha ricevuto dai suoi padrini nordamericani e europei finanziamenti miliardari di cui non hanno mai visto un centesimo, dando però in cambio il proprio voto all’uribismo che glielo aveva concesso a tempo di record.

Si spera che, oltre all’ambasciatore Usa facciano fagotto anche i rappresentanti dell’autoproclamato “presidente a interim” del Venezuela, Juan Guaidó, ai quali Duque ha “regalato” l’impresa petrolchimica Monómeros, sottratta al Venezuela per conto degli Usa. Sia il presidente venezuelano Nicolas Maduro che il vicepresidente del Psuv, Diosdado Cabello, hanno felicitato l’arrivo di Petro e Marquez al governo della Colombia, unendo la propria voce a quella degli altri presidenti progressisti dell’America Latina e a quella del presidente dell’Alba, Sacha Llorenti.

Durante la campagna elettorale, per impulso dei settori più radicali che compongono la sua coalizione, Petro, nonostante precedenti dichiarazioni infelici contro il governo Maduro, ha promesso di riallacciare le relazioni con il Venezuela. E nel suo primo comizio ha nuovamente accennato all’integrazione latinoamericana, parlando di “un cambiamento senza odio, né vendetta”, basato sul un “dialogo regionale”. Un altro punto su cui il ricatto dei poteri forti si è già fatto sentire, amplificato dai media internazionali e dalle piattaforme uribiste che intossicano le reti sociali.

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