Venezuela. “Guerra asimmetrica nella semiosfera”

Intervista esclusiva a Sergio Arria Bohórquez

Geraldina Colotti

In una stanza piena di monitor, fili e tastiere, scorrono ininterrottamente le immagini. Siamo a Caracas, nei locali del ministero della Cultura venezuelano, dove il canale https://culturavenezuela.com/ dà conto, sulle 24 ore e in modo gratuito, della vivacità artistica del paese, e ne custodisce l’archivio. Sergio Arria Bohórquez, antropologo audiovisuale di scuola francese, spiega le potenzialità del progetto, che oggi anima come viceministro della cultura per l’audiovisivo, in base agli orientamenti del ministro Ernesto Villegas. Si tratta di una piattaforma autonoma e basata su software libero, che diffonde gratuitamente i contenuti inseriti dagli artisti.

Sergio – una lunga esperienza sia nella comunicazione istituzionale che nella creazione di media alternativi e nella formazione -, per due anni ha prodotto anche il programma di Hugo Chavez “Aló Presidente”. Ora è coordinatore generale della Rete di intellettuali e artisti in difesa dell’umanità (Redh).

Il conflitto in Ucraina e il blocco alle piattaforme russe hanno riportato in primo piano il dibattito sull’asimmetria esistente tra la potenza dei grandi conglomerati mediatici a guida Usa e chi vi si oppone. Una riflessione che ha attraversato anche gli ultimi congressi internazionali che si sono tenuti a Caracas, come quello contro il fascismo. Quale politica state perseguendo al riguardo?

Qual è il livello di sviluppo tecnologico di cui dispone i Venezuela per mettersi all’altezza di questo conflitto asimmetrico?

In che senso?

Uno dei fattori più importanti, è come l’imperialismo abbia cercato di distruggere il multilateralismo, attaccando i Brics e minando tutte le strutture che servivano da contrappeso in America latina: debilitando Unasur, Celac, Alba, Petrocaribe… Debilitando, però, anche l’Onu, impotente di fronte all’invasione di territori o alle guerre, o di fronte alle misure coercitive illegali come quelle imposte al Venezuela a partire dal decreto Obama. Entrando nel sito del Dipartimento del Tesoro statunitense, è possibile rendersi conto del numero di “sanzioni” – circa 500 – che ci hanno impedito di usare le nostre risorse finanziarie all’estero, per acquistare alimenti e medicine, che hanno consentito il furto degli attivi mediante la farsa del “presidente a interim” che ha creato una condizione giuridica fittizia, utile solo a questo fine. In questo contesto, nel nuovo scenario che si è venuto a creare a partire dal 2012, si dà la battaglia comunicativa. La diffusione delle reti sociali produce una “democratizzazione” solo apparente, giacché tutto funziona in base alla logica del capitalismo, e serve a rafforzare il concetto di autoreferenzialità delle persone: con il selfie guardo me stesso in tutte le posizioni, ma non la realtà esterna con cui devo interagire e che devo trasformare, insieme alla mia comunità. Siamo esseri sociali, e portatori di un progetto costituzionale approvato dal popolo che ci obbliga a costruire uno stato democratico partecipativo protagonista, multiculturale e multietnico. È questo il mandato popolare. Invece, il messaggio dominante che vuole imporsi anche attraverso le reti sociali è quello di costruire un limbo temporale in cui importa solo il narcisismo del presente, il culto della banalità su cui plasmare le giovani generazioni, che consumano contenuti in modo costante e diretto. Ma c’è anche un’insidia politica, come hanno mostrato alcuni scandali come quello di Cambridge Analytica, la compagnia privata britannica che ha utilizzato i dati raccolti per influenzare i processi elettorali e collocare presidenti. Dunque, le reti sociali servono per modellare le coscienze. E su questo stiamo misurando le nostre strategie, al ministero della Cultura e con la Redh, stiamo ripensando strumenti e contenuti.

Quali sono i principali ostacoli e problemi, anche considerando che il bloqueo ha reso difficile l’accesso ai cellulari di ultima generazione per le classi popolari?

Come funziona la Redh?

La Redh, che allora non comprendeva anche gli artisti, è nata ai tempi della guerra in Iraq da un’idea di Fidel, assunta dall’intellettuale messicano Pablo González Casanova, che lesse, il 1° Maggio, in piazza un appello rivolto “Alla coscienza del mondo”. A dicembre del 2014, la Redh si è formalizzata a Caracas, in un incontro tenutosi al teatro Teresa Carreño. Chávez ha chiamato a raccolta oltre 500 intellettuali di tutti i paesi per riflettere sulle contromisure da prendere di fronte all’arroganza dell’imperialismo. Allora, per la produzione e la diffusione dei contenuti avevamo strumenti ridotti: la posta elettronica, le conferenze, i libri. Oggi, siamo in un altro contesto, dobbiamo digitalizzare tutta l’attività nella miglior maniera possibile, dobbiamo utilizzare le reti sociali, pur considerando i limiti imposti dal bloqueo, e dobbiamo mantenere anche l’attività in presenza, in ripresa dopo la pandemia. Allora, la Redh era una novità, ora che ce ne sono molte altre, aspira a diventare una rete di reti, con una sua specificità e mantenendo il suo funzionamento orizzontale. La Redh è attiva in 24 paesi e agisce in base a 4 gruppi di lavoro: su femminismo, ambiente, comunicazione e economia, ai quali è stato aggiunto il gruppo degli artisti. Mentre riflettiamo ai necessari meccanismi di rinnovamento, continuiamo a lavorare all’idea di Fernando Buen Abad di creare una università in difesa dell’umanità: virtuale, ma con i corsi certificati da convegni con altre università, che già esistono con l’Argentina, con Cuba e con altri paesi. I componenti della Redh terranno corsi di sociologia, di storia, per avanzare nella costruzione di una visione comune.

Considerando la situazione di asimmetria esistente nella battaglia delle idee, la superiorità del nemico e degli algoritmi concepiti per non dare priorità ai nostri contenuti, abbiamo bisogno di costruire centinaia di università di questo tipo, che agiscono in aree diverse ma complementari. La Uicom, che ha una sua sede e una sua equipe di lavoro, è un gran punto di forza su cui costruire.

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