Senza equità non c’è socialismo

Michel E Torres Corona www.granma.cu

Se teniamo l’equità come una variabile imprescindibile in questo sforzo, avremo maggiori possibilità di successo in questa imprescindibile lotta contro la povertà.

Ci sono molte variabili quando si parla di povertà. È impossibile esaminare seriamente questo fenomeno senza affrontare la sua natura multidimensionale, che va oltre l’aspetto strettamente finanziario: non si può misurare la povertà esclusivamente da quanto denaro si ha (o meno). Ci sono condizioni di vita, opportunità di miglioramento, possibilità di accesso alla cultura o allo svago che completano l’analisi. C’è anche, naturalmente, il contesto: non è lo stesso “essere poveri” in Europa che America Latina.

A Cuba, dopo il trionfo rivoluzionario, ci fu una decisa svolta nella lotta per l’eradicazione della povertà. Centinaia di migliaia di persone che vivevano nella più assoluta miseria ebbero per la prima volta l’opportunità di superare l’analfabetismo, studiare per una laurea, partecipare regolarmente a eventi artistici e sportivi. Molti migliorarono le loro condizioni di vita, benché la guerra economica contro il Paese, i logici errori commessi nell’inesplorato percorso socialista e gli alti e bassi dell’economia globale impedirono che quel benessere materiale stesse all’altezza di quello che, un tempo, si pensò per il Paese.

Tuttavia, le precarietà che cospiravamo contro la società nel suo insieme (diciamo blackout, penuria, ecc.) non erodevano, in modo visibile, la morale pubblica, fintanto che esisteva un’uguaglianza sociale in cui la stragrande maggioranza godeva e soffriva, rispettivamente, degli stessi benefici e rimpianti. L’equa ripartizione della ricchezza era una bandiera per la lotta ideologica a favore del progetto socialista: forse non ci avanza il pane, ma c’è giustizia sociale.

Contro la povertà si tentano molti metodi e stratagemmi: rompere il passaggio intergenerazionale delle condizioni di vita precarie con meccanismi di «discriminazione positiva», superare l’assistenzialismo statale per ricorrere a meccanismi di inclusione finanziaria, ricercare nelle comunità la creazione di alleanze per il sostegno agli individui in stato di vulnerabilità. Ma se qualcosa, a volte, viene trascurato nell’analisi della povertà è che, perché ci sia gente povera, ci deve essere gente ricca: la distribuzione più o meno ingiusta della «prosperità» è la sua determinante dialettica, nella logica dell’«unità e lotta degli opposti».

A Cuba oggi c’è la povertà, questo non può negarsi. E negli ultimi anni, dopo il periodo speciale, e con la moderata liberalizzazione dell’economia, si è andato approfondendo un processo di stratificazione sociale: c’è un gruppo di persone che ha accumulato somme di denaro tutt’altro che irrisorie, mentre sempre più persone lavorano per arrivare a fine mese.

Questa crescente disuguaglianza non solo è il principale problema socioeconomico del Paese, bensì una sfida politica e ideologica. L’equità, per il socialismo cubano, non solo è un obiettivo, è un necessario punto di partenza per qualsiasi decisione.

Una restaurazione capitalista non risolverà nessuno di questi problemi, come sono soliti proporre i nostri avversari. In ogni caso, può aumentarli. L’unica via d’uscita è più socialismo, l’unica soluzione per Cuba è più Rivoluzione. Se teniamo l’equità come una variabile imprescindibile in questo sforzo, avremo maggiori possibilità di successo in questa imprescindibile lotta contro la povertà, che deve necessariamente essere anche una lotta contro la disuguaglianza come valore incompatibile con i principi di giustizia sociale e sovranità popolare che hanno retto la nostra storia patria.

(Tratto da Gramna)


Sin equidad, no hay socialismo

Por: Michel E Torres Corona

 

Si tenemos a la equidad como una variable insoslayable en ese empeño, tendremos mayores probabilidades de éxito en esa imprescindible lucha contra la pobreza.

Hay muchas variables a la hora de hablar sobre la pobreza. Es imposible hacer un examen serio sobre este fenómeno sin abordar su carácter multidimensional, que va más allá de lo estrictamente financiero: no se puede medir la pobreza exclusivamente por cuánto dinero se tiene (o no). Hay condiciones de vida, oportunidades de superación, posibilidades de acceso a la cultura o a la recreación que complementan el análisis. También está, por supuesto, el contexto: no es lo mismo «ser pobre» en Europa que en América Latina.

En Cuba, tras el triunfo revolucionario, hubo un parteaguas en lo que a lucha por la erradicación de la pobreza se refiere. Cientos de miles de personas que vivían en la más absoluta miseria tuvieron por primera vez la oportunidad de vencer el analfabetismo, estudiar una carrera universitaria, asistir con carácter regular a espectáculos artísticos y deportivos. Muchos mejoraron sus condiciones de vida, aunque la guerra económica contra el país, los lógicos errores cometidos en el inexplorado camino socialista y los vaivenes de la economía global impidieron que ese bienestar material estuviera a la altura de lo que en un momento se pensó para el país.

Sin embargo, las precariedades que conspiraban contra la sociedad en pleno (dígase apagones, desabastecimiento, etc.) no erosionaban la moral pública de forma ostensible, en tanto existía una igualdad social en la que la inmensa mayoría gozaba y sufría, respectivamente, con los mismos beneficios y pesares. El equitativo reparto de la riqueza era un estandarte para la lucha ideológica a favor del proyecto socialista: puede que no nos sobre el pan, pero hay justicia social.

Contra la pobreza se ensayan muchos métodos y estratagemas: quebrar la transferencia intergeneracional de las condiciones precarias de vida con mecanismos de «discriminación positiva», sobrepasar el asistencialismo estatal para acudir a mecanismos de inclusión financiera, buscar en las comunidades la creación de alianzas para el apoyo a individuos en estado de vulnerabilidad. Pero si algo a veces suele soslayarse en el análisis de la pobreza es que, para que exista gente pobre, tiene que haber gente rica: la distribución más o menos injusta de la «prosperidad» es su condicionante dialéctica, en la lógica de la «unidad y lucha de contrarios».

En Cuba hoy existe pobreza, eso es algo que no puede negarse. Y en los últimos años, luego del periodo especial, y con la moderada liberalización de la economía, se ha ido profundizando un proceso de estratificación social: existe un grupo de personas que ha acumulado sumas de dinero para nada despreciables, mientras cada vez más personas pasan trabajo para llegar a fin de mes.

Esa desigualdad creciente no solo es el principal problema socioeconómico del país, sino también un reto político e ideológico. La equidad, para el socialismo cubano, no solo es una meta, es un necesario punto de partida para cualquier decisión.

Una restauración capitalista no resolverá ninguno de esos problemas, como suelen proponer nuestros adversarios. En todo caso, puede que los acreciente. La única salida es más socialismo, la única solución para Cuba es más Revolución. Si tenemos la equidad como una variable insoslayable en ese empeño, tendremos mayores probabilidades de éxito en esa imprescindible lucha contra la pobreza, que tiene que ser, necesariamente, también una lucha contra la desigualdad como valor incompatible con los principios de justicia social y soberanía popular que han regido nuestra historia patria.

(Tomado de Granma)

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