Noi dobbiamo al 26 il 1 Gennaio, al 26 dobbiamo la nostra capacità di sottoporci ai rovesci e trarre da questi le più grandi vittorie, la sicurezza piena che basta, per essere grandi, tentare il più grande
Leidys Labrador Herrera
Non è necessaria una testimonianza grafica qualsiasi per sapere qual’era esattamente la triste e desolante fotografia di quest’isola verso il 1953: miseria, crimini impuniti, fame, giochi d’azzardo, prostituzione, droghe e un permanente «sí, señor» a ogni ordine dell’impero.
Dal precedente calendario, con totale appoggio dei «padroni di Cuba», un tiranno si pasceva dalla seggiola presidenziale dopo aver calpestato qualsiasi spunto di costituzionalismo.
Facendo scorrere fiumi di sangue, si disponeva a spegnere la nostra ribellione e con questa la speranza d’abbracciare il sogno indipendentista storicamente accarezzato.
Pretendeva d’ignorare che per le vene del popolo cubano scorrevano il torrente mambí, il genio militare di Gómez, di Maceo, di Agramonte; aveva dimenticato la ferita aperta che ancora sanguinava per Mella, per Guiteras; ignorava la forza del pensiero di Villena; ma il suo errore peggiore fu credere che il più universale degli ideologi e dei patrioti cubani era restato nel passato. Ma Martì viveva.
All’altezza del suo centenario, il Maestro si alzò con il sangue giovane, palpitando forte nel petto di tutta una generazione, e cresceva un altro uomo infinito irripetibile, un altro leader naturale: Fidel.
Quel brillante giovane avvocato incontrò nelle idee dell’ Apostolo la fonte che diede forma al suo impeto e alle sue ansie di giustizia; si consolidarono i principi e i valori morali del rivoluzionario, l’inevitabile sentimento di disprezzo all’ imperialismo dei vassalli, prepotente, e la piena sicurezza necessaria per cambiare definitivamente il corso della storia.
Gloriosa quella mattina della Santa Ana, glorioso l’istante che portò davanti alle mura della Moncada tutta una valanga di patriottismo e volontà che già non si potevano fermare, un clamore di libertà che già mai più sarebbe stato silenziato.
Il primo grande passo verso il nostro diritto sovrano di scuoterci di dosso il colonialismo e l’embrione di «repubblica» che si affrettò dopo di lui
E si sbagliarono un’altra volta. Abbracciarono l’idea sbagliata di un errore, bagnarono di sangue la Patria e strapparono gli occhi di Abel; cercarono di rinchiudere tra le mura e le sbarre dell’Isola de Pinos quello che niente e nessuno ha potuto mai detenere: il pensiero.
Un pensiero che puntava assolutamente al trionfo, che si moltiplicò dalle mani dedite di Haydée e Melba, dopo la sua esposizione con un valore politico e una convinzione tali dalla figura dell’uomo già immenso che passò da accusato a accusatore, che non ebbe la più piccola possibilità di replica.
Gia si erigeva non solo il Programma della Moncada, ma molto di più: il modello immortale di una Rivoluzione; perché il 26 di Luglio del 1953 iniziò la fine dell’obbrobrio e dell’ingiustizia per Cuba.
Noi dobbiamo al 26 il 1 Gennaio, al 26 dobbiamo la nostra capacità di sottoporci ai rovesci e trarre da questi le più grandi vittorie, la sicurezza piena che basta, per essere grandi, tentare il più grande.
Ed è immenso già il legato di quest’opera che continua orgogliosa, seguendo una posizione tenace quando sono in gioco la sovranità e i pilastri che la sostengono.
Un’opera che non teme di morire, perchè rinasce da profondi principi di continuità.
Un’opera che si sa ben solida, perché non c’è niente più forte e duraturo di quello che il popolo ama e difende.