Geraldina Colotti
Eliminare Cristina Kirchner dalla scena politica. Questo l’evidente proposito delle forze conservatrici, che ritengono un ostacolo ingombrante la presenza della vicepresidenta argentina. L’arma utilizzata, il lawfare, l’uso della magistratura a fini politici. In questo caso, si cerca di processare Cristina come capo di una vasta rete di corruzione relativa alla costruzione di opere pubbliche durante gli anni della sua presidenza, tra il 2007 e il 2015. Diego Luciani, pubblico ministero del processo Vialidad, ha chiesto per lei 12 anni di carcere e l’inabilitazione perpetua dai pubblici uffici.
“Chiedono 12 anni perché furono i 12 anni del miglior governo che abbia avuto l’Argentina negli ultimi decenni”, ha detto la vicepresidenta in un’appassionata difesa nella quale ha denunciato di non trovarsi di fronte a un processo, ma a “un plotone di esecuzione mediatico-giudiziario”. Una poderosa macchina del fango che si era già ampiamente mobilitata durante gli anni di governo di Cristina, seguiti a quelli del marito Nestor, prematuramente scomparso.
Procedimenti avviati per i più diversi motivi. Il più eclatante ha riguardato la scomparsa del procuratore Alberto Nisman, titolare dell’inchiesta sull’attentato alla mutua ebraica di Buenos Aires (Amia), avvenuto il 18 luglio del 1994 e ancora irrisolto. Allora, avevano perso la vita 85 persone e centinaia erano rimaste ferite. Nisman aveva ricevuto l’incarico da Nestor Kirchner, nel 2004. Tuttavia, a gennaio del 2015, il procuratore aveva accusato la presidente e l’allora ministro degli Esteri, Hector Timerman, di voler proteggere l’Iran, chiamato in causa per l’attentato. Pochi giorni dopo, era stato trovato cadavere nel suo appartamento.
Era tornato in luce, allora, l’intreccio di interessi, nazionali e internazionali, decisi a riportare l’Argentina sotto la tutela delle grandi istituzioni internazionali a guida Usa. Si era al culmine di una campagna giuridico-mediatica contro Cristina, “colpevole” di aver tenuto alta la bandiera dell’indipendenza dagli appetiti dei fondi avvoltoio e dell’Fmi, che pretendevano il pagamento del debito causato dal default del 2001. Una bandiera rivendicata in un memorabile discorso di Cristina all’Onu.
Allora, come ora, si era messo in moto quello “stato profondo”, abituato a risolvere “dall’alto” il problema della lotta di classe, usando un meccanismo ormai ben consolidato in America Latina: l’uso di una magistratura tutt’altro che “imparziale” posta come arbitro assoluto della politica. Una tecnica già vista in Paraguay, in Brasile, in Ecuador, in Bolivia, in Colombia…
Sia la vicepresidenta nel suo discorso di difesa, sia le inchieste di chi non si arrende al killeraggio mediatico dominante, hanno mostrato il coinvolgimento dei vari torquemada giudiziari con l’opposizione e con i think-tank statunitensi, che tirano per la giacca il moderato presidente Alberto Fernandez affinché scivoli una volta per tutte nel loro “cortile di casa”.
Le concessioni al Fondo Monetario Internazionale effettuate dal presidente, incapace di spezzare la morsa del debito estero imposta dal precedente governo Macri, e le misure di austerità sofferte dai lavoratori, stanno provocando mobilitazioni popolari. E di questo contano di approfittare i terminali imperialisti, che non perdono occasione per mettere in difficoltà il governo argentino.
E, infatti, ecco, puntuale, il “suggerimento” dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Buenos Aires, Marc Stanley, pronunciato al Consiglio delle Americhe: “Dimenticatevi le ideologie e i partiti e formate una coalizione che offra al mondo quello di cui ha bisogno: energia, alimenti, minerali – ha detto Stanley -. Lavorate a questi accordi ora, non aspettate 16 mesi. Ve lo dico come rappresentante del paese che vuole essere vostro socio e come qualcuno che ama l’Argentina e ne coglie il potenziale”. A buon intenditor…
E in chiave di avvertimento può essere interpretato anche il sequestro dell’aereo venezuelano, bloccato illegalmente con tutto l’equipaggio da due mesi per un ordine degli Stati Uniti, prontamente eseguito da un solerte giudice argentino.
“Questo non è un processo a Cristina Kirchner – ha detto la vicepresidenta -, questo è un processo al peronismo, è un processo ai governi nazionali e popolari, a chi si batte per la memoria, la verità, la giustizia, il salario, le pensioni, le opere pubbliche: sì, le opere pubbliche – ha aggiunto -, frutto di una formidabile gestione di governo”. È un tentativo – ha detto ancora – di “disciplinare” la politica. E ha concluso con una messa in guardia: “Non vengono per me – ha detto -, vengono per voi. Per i salari, per i diritti dei lavoratori, dei pensionati, per il debito, vengono per questo”.
Il lawfare come meccanismo di ricatto, di controllo e di “disciplinamento” della politica, dunque, che usa l’argomento “corruzione” per stigmatizzare qualsiasi intervento dello Stato nelle politiche pubbliche, lasciando intendere che solo il settore privato sarebbe esente dalle tentazioni, non avendo bisogno di denaro.
Niente di più falso, ovviamente, considerando la catena di prebende che alimenta il sistema capitalista, vorace per sua stessa natura. Basti ricordare la gigantesca fuga di capitali, pari a oltre 86.000 milioni di dollari che si è verificata durante i quattro anni di governo dell’imprenditore Macri, che nessun solerte giudice si affanna a condannare.
Ma tant’è. L’importante è che, come accaduto in Brasile contro Lula, Dilma e il Partito dei Lavoratori, si dia a intendere che quello della sinistra, in questo caso il peronismo, non sia un progetto politico ma un’associazione a delinquere che, così come avviene per le lotte sociali, debba essere perseguito in quanto fatto criminale.
Un meccanismo da cui la sinistra – che, a tutte le latitudini, cominciando da quelle dei paesi capitalisti, insiste nel delegare la rappresentanza politica a figure provenienti dai tribunali e non dalle fabbriche – dovrebbe una volta per tutte guardarsi, ricominciando ad assumersi le proprie responsabilità: ad assumere, cioè, per come si presenta nelle “società complesse”, la contraddizione tra la legittimità dei diritti e della lotta di classe e la “legalità” dello Stato borghese.
Subito dopo la richiesta di condanna del procuratore Luciani, il presidente Fernández ha affermato: “Oggi non è un bel giorno per chi, come me, è cresciuto nella famiglia di un giudice, è stato educato nel mondo del diritto, e insegna Diritto Penale da oltre trent’anni. Torno a trasmettere il mio più profondo affetto e la più profonda solidarietà alla vicepresidenta”.
Intanto, continuano le mobilitazioni popolari in difesa di Cristina, durante le quali si sono verificati scontri fra manifestanti e polizia. Si susseguono anche gli attestati di solidarietà alla vicepresidenta, provenienti dai governi socialisti e progressisti della regione, a cominciare da Cuba e Venezuela. Secondo l’ex presidente boliviano Evo Morales, ha ragione l’intellettuale messicano Fernando Buen Abad a parlare di un “nuovo piano Condor giudiziario” in marcia contro la nuova ondata progressista in America Latina.