Haiti: 4 anni consecutivi di proteste ininterrotte

Misión Verdad (misionverdad.com)

A luglio 2018 è iniziato, ad Haiti, un ciclo di proteste che è proseguito fino ad oggi (nonostante la pandemia). Il motivo principale della protesta del 2018 è stato che nel marzo di quell’anno il Governo del Venezuela (in conseguenza delle sanzioni illegali imposte dagli USA) non poteva continuare a inviare petrolio scontato ad Haiti attraverso lo schema PetroCaribe. I prezzi del carburante sono saliti alle stelle fino al 50%.

Il 14 agosto 2018, il regista Gilbert Mirambeau Jr. ha twittato una sua foto con gli occhi bendati e sostenendo un cartello che diceva: “Kot Kòb Petwo Karibe a???” (Dove sono finiti i soldi di PetroCaribe?). Rifletteva la sensazione più diffusa nell’isola: che il denaro del piano era stato saccheggiato dall’élite haitiana, il cui controllo del paese era stato assicurato attraverso due colpi di stato (1991 e 2004) contro il presidente, democraticamente eletto, Jean-Bertrand Aristide. L’aumento del prezzo del petrolio ha reso la vita quotidiana invivibile per la stragrande maggioranza della popolazione, le cui proteste hanno creato una crisi di legittimità politica per l’élite haitiana.

Nelle ultime settimane, le strade di Haiti, ancora una volta, sono state occupate da grandi cortei e posti di blocco, con il fiato sospeso. Banche e organizzazioni non governative (ONG) – comprese le associazioni di beneficenza cattoliche – hanno affrontato l’ira dei manifestanti, che hanno scarabocchiato “Abbasso gli USA” negli edifici che saccheggiavano e incendiavano. La parola creola dechoukaj o sradicamento – usata per la prima volta nei movimenti democratici del 1986 – è arrivata a definire queste proteste. Il governo ha accusato della violenza bande come il G9, guidate dall’ex poliziotto haitiano Jimmy “Babekyou” (Barbacoa) Chérizier. Queste bande fanno parte del movimento di protesta, ma non lo definiscono.

Il governo haitiano – diretto dal presidente ad interim Ariel Henry – ha deciso di aumentare il prezzo del carburante durante questa crisi, scatenando la protesta dei sindacati dei trasporti. Jacques Anderson Desroches, presidente del Fós Sendikal pou Sove Ayiti, ha dichiarato all’Haitian Times: “Se lo Stato non si decide a porre fine alla liberalizzazione del mercato petrolifero a favore delle compagnie petrolifere e a prenderne il controllo”, nulla di buono scaturirà da ciò. “Qualsiasi misura presa da Ariel Henry saranno misure cosmetiche”, ha detto. Il 26 settembre, le associazioni sindacali hanno indetto uno sciopero che ha paralizzato il Paese, inclusa la capitale di Haiti, Port-au-Prince.

Le Nazioni Unite (ONU) hanno evacuato dal Paese il personale non essenziale. La rappresentante speciale dell’ONU, Helen La Lime, ha detto al Consiglio di Sicurezza ONU che Haiti era paralizzata da “una crisi economica, una crisi di gang e una crisi politica” che si sono “converse in una catastrofe umanitaria”. La legittimità dell’ONU ad Haiti è limitata, dati gli scandali sugli abusi sessuali che hanno scosso le missioni di mantenimento della pace dell’ONU ad Haiti e il mandato politico dell’ONU che gli haitiani considerano finalizzato a proteggere l’élite corrotta che fa l’offerta dell’Occidente.

L’attuale presidente, Ariel Henry, è stato installato nel suo posto dal Core Group (composto da sei paesi e guidato da USA, Unione Europea, ONU e Organizzazione degli Stati Americani). Henry è giunto alla presidenza dopo l’assassinio, ancora irrisolto, dell’impopolare presidente Jovenel Moïse (finora l’unica cosa chiara è che Moïse è stato assassinato da mercenari colombiani e haitiani statunitensi). La Lime dell’ONU ha informato il Consiglio di Sicurezza, a febbraio, che “l’indagine nazionale sul suo assassinio [di Moïse] è in stallo, una situazione che alimenta le voci ed esacerba sia il sospetto che la sfiducia all’interno del paese”.

LE CRISI DI HAITI

 

È impossibile comprendere l’attuale ciclo di proteste senza guardare con attenzione a quattro eventi del recente passato di questo Paese. In primo luogo la destabilizzazione di Haiti dopo il secondo colpo di stato contro Aristide, nel 2004, avvenuta subito dopo il catastrofico terremoto del 2010 e che ha portato allo smantellamento dello stato haitiano. Il Core Group ha approfittato di queste terribili difficoltà per importare nell’isola un ampio ventaglio di ONG occidentali, che sembravano sostituire lo stato haitiano. Ben presto le ONG hanno fornito l’80% dei servizi pubblici. Hanno “sprecato” ingenti somme dei soccorsi e degli aiuti che erano affluiti al Paese dopo il terremoto. L’indebolimento delle istituzioni statali ha fatto sì che il governo disponga di pochi strumenti per affrontare questa crisi irrisolta.

In secondo luogo, le sanzioni illegali imposte dagli USA al Venezuela hanno posto fine al piano PetroCaribe, che aveva fornito ad Haiti vendite di petrolio a condizioni favorevoli e 2 miliardi di dollari di benefici tra il 2008 e il 2016, che erano destinati allo stato haitiano ma che sono sfumati nei conti bancari dell’élite.

In terzo luogo, nel 2009, il parlamento haitiano ha tentato di aumentare il salario minimo, nell’isola, a 5 dollari al giorno, ma il governo USA è intervenuto a nome delle principali aziende tessili e di abbigliamento per bloccare il disegno di legge. David Lindwall, ex vice capo della missione USA a Port-au-Prince, ha affermato che il tentativo haitiano di aumentare il salario minimo “non ha tenuto conto della realtà economica” bensì è stato un mero tentativo di placare “le masse disoccupate e mal pagate”. Il disegno di legge è stato sconfitto a causa delle pressioni del governo USA. Queste “masse disoccupate e mal pagate” sono ora nelle strade caratterizzate come “bande” dal Core Group.

In quarto luogo, l’attuale presidente, Ariel Henry, ama dire che è un neurochirurgo e non un politico di carriera. Tuttavia, nell’estate del 2000, Henry faceva parte del gruppo che ha creato Convergenza Democratica (CD), fondata per chiedere il rovesciamento del Governo democraticamente eletto di Aristide. La CD è stata creata ad Haiti dall’International Republican Institute, il braccio politico del Partito Repubblicano USA, e dal National Endowment for Democracy del governo USA.

L’appello alla calma fatto da Henry, il 19 settembre 2022, ha avuto come risultato la moltiplicazione delle barricate e l’intensificazione del movimento di protesta. Il suo orecchio è più verso Washington che Petit-Goâve, una città sulla costa settentrionale che è l’epicentro della ribellione.

ONDATE DI INVASIONI

 

All’ONU, il ministro degli Esteri haitiano, Jean Victor Geneus, ha dichiarato: “Questo dilemma può essere risolto solo con il sostegno effettivo dei nostri partner”. A molti osservatori attenti alla situazione in atto ad Haiti, l’espressione “sostegno effettivo” suona come l’ennesimo intervento militare delle potenze occidentali. In effetti, l’editoriale del Washington Post chiedeva “un’azione muscolare da parte di attori esterni”. Dalla Rivoluzione haitiana, terminata nel 1804, Haiti ha dovuto affrontare ondate di invasioni (tra cui una lunga occupazione USA – dal 1915 al 1930 – e una dittatura sostenuta dagli USA dal 1957 al 1986). Queste invasioni hanno impedito alla nazione insulare di assicurarsi la propria sovranità e hanno impedito al suo popolo di costruirsi una vita degna. Un’altra invasione, da parte delle truppe USA o delle forze di mantenimento della pace dell’ONU, non farà che aggravare la crisi.

Nella sessione dell’Assemblea Generale ONU, del 21 settembre, il presidente USA, Joe Biden, ha affermato che il suo governo continua “a sostenere il nostro vicino Haiti”. Cosa questo significhi è ampiamente chiaro in un nuovo rapporto di Amnesty International che documenta gli abusi razzisti che i richiedenti asilo haitiani devono affrontare negli USA. Gli USA e il Core Group possono essere dalla parte di persone come Ariel Henry, ma non sembrano essere dalla parte del popolo haitiano, compresi coloro che sono fuggiti verso i suoi territori.

Le opzioni per il popolo haitiano passeranno attraverso l’unione dei sindacati sull’onda delle proteste. Resta da vedere se i sindacati e le organizzazioni comunitarie (compresi i gruppi studenteschi che sono riemersi come attori chiave nel paese) saranno capaci di promuovere un cambio dinamico a partire dall’ira che si ossrva nelle strade.

Vijay Prashad è uno storico, editore e giornalista indiano. È membro della redazione e corrispondente capo del Globetrotter. È redattore capo di LeftWord Books e direttore del Tricontinental Institute for Social Research. È anche membro senior non residente del Chongyang Institute of Financial Studies del Renmin University of China. Ha scritto più di 20 libri, tra cui The Darker Nations e The Poorer Nations. I suoi ultimi libri sono Struggle Makes Us Human: Learning from Movements for Socialism e The Withdrawal: Iraq, Libya, Afghanistan, and the Fragility of U.S. Power (con Noam Chomsky).

Questo articolo è stato prodotto per Globetrotter.


HAITÍ: CUATRO AÑOS SEGUIDOS DE PROTESTAS ININTERRUMPIDAS

 

En julio de 2018 empezó un ciclo de protestas en Haití que se ha mantenido hasta ahora (a pesar de la pandemia). El principal motivo de la protesta en 2018 fue que en marzo de ese año el Gobierno de Venezuela (como consecuencia de las sanciones ilegales impuestas por los Estados Unidos) no podía seguir enviando petróleo con descuento a Haití a través del esquema de PetroCaribe. Los precios de los combustibles se dispararon hasta un 50%.

El 14 de agosto de 2018, el cineasta Gilbert Mirambeau Jr. tuiteó una foto suya con los ojos vendados y sosteniendo un cartel que decía: “Kot Kòb Petwo Karibe a???” (¿A dónde fue el dinero de PetroCaribe?). Reflejaba la sensación más extendida en la isla: que el dinero del plan había sido saqueado por la élite haitiana, cuyo control del país se había asegurado mediante dos golpes de Estado (1991 y 2004) contra el presidente Jean-Bertrand Aristide, elegido democráticamente. El aumento de los precios del petróleo hizo que la cotidianidad fuera invivible para la gran mayoría del pueblo, cuyas protestas crearon una crisis de legitimidad política para la élite haitiana.

En las últimas semanas, las calles de Haití han vuelto a ser ocupadas por grandes marchas y cortes de carretera, con los ánimos en vilo. Los bancos y las organizaciones no gubernamentales (ONG) –incluidas las organizaciones benéficas católicas– se enfrentaron a la ira de los manifestantes, que rayaron “Abajo con EE.UU.” en los edificios que saquearon e incendiaron. La palabra creole dechoukaj o desarraigo –que se utilizó por primera vez en los movimientos democráticos de 1986– ha llegado a definir estas protestas. El Gobierno ha culpado de la violencia a bandas como el G9, dirigido por el expolicía haitiano Jimmy “Babekyou” (Barbacoa) Chérizier. Estas bandas forman parte del movimiento de protesta, pero no lo definen.

El Gobierno de Haití –dirigido por el presidente en funciones Ariel Henry– decidió aumentar el precio del combustible durante esta crisis, lo que desató la protesta de los sindicatos del transporte. Jacques Anderson Desroches, presidente del Fós Sendikal pou Sove Ayiti, declaró al Haitian Times: “Si el Estado no se decide a poner fin a la liberalización del mercado del petróleo en favor de las compañías petroleras y a tomar el control del mismo”, nada bueno va a salir de esto. “Todas las medidas que tome Ariel Henry serán medidas cosméticas”, dijo. El 26 de septiembre, las asociaciones sindicales convocaron una huelga que paralizó el país, incluida la capital de Haití, Puerto Príncipe.

La Organización de las Naciones Unidas (ONU) evacuó del país al personal no esencial. La representante especial de la ONU, Helen La Lime, dijo al Consejo de Seguridad de la ONU que Haití estaba paralizado por “una crisis económica, una crisis de bandas y una crisis política” que han “convergido en una catástrofe humanitaria”. La legitimidad de las Naciones Unidas en Haití es limitada, dados los escándalos de abusos sexuales que han sacudido a las misiones de mantenimiento de la paz de la ONU en Haití, y el mandato político de las Naciones Unidas que los haitianos consideran orientado a proteger a la élite corrupta que hace la oferta de Occidente.

El actual presidente Ariel Henry fue instalado en su puesto por el Core Group (formado por seis países y liderado por los Estados Unidos, la Unión Europea, la ONU y la Organización de Estados Americanos). Henry llegó a la presidencia tras el asesinato, aún sin resolver, del impopular presidente Jovenel Moïse (hasta ahora, lo único claro es que Moïse fue asesinado por mercenarios colombianos y haitianos estadounidenses). La Lime de la ONU informó al Consejo de Seguridad en febrero que la “investigación nacional sobre su asesinato [de Moïse] se ha estancado, una situación que alimenta los rumores y exacerba tanto la sospecha como la desconfianza dentro del país”.

LAS CRISIS DE HAITÍ

Es imposible entender el actual ciclo de protestas sin reparar con atención en cuatro acontecimientos del pasado reciente de este país. En primer lugar, la desestabilización de Haití tras el segundo golpe de Estado contra Aristide en 2004, que tuvo lugar justo después del catastrófico terremoto de 2010 y que condujo al desmantelamiento del Estado haitiano. El Core Group aprovechó estas terribles dificultades para importar a la isla un amplio abanico de ONG occidentales, que parecían sustituir al Estado haitiano. Las ONG pronto proporcionaron el 80% de los servicios públicos. “Desperdiciaron” cantidades considerables del dinero de socorro y ayuda que había llegado al país tras el terremoto. El debilitamiento de las instituciones estatales ha hecho que el Gobierno tenga pocas herramientas para hacer frente a esta crisis no resuelta.

En segundo lugar, las sanciones ilegales impuestas por los Estados Unidos a Venezuela acabaron con el plan PetroCaribe, que había proporcionado a Haití ventas de petróleo en condiciones favorables y 2 mil millones de dólares de beneficios entre 2008 y 2016, que estaban destinados al Estado haitiano pero que se esfumaron en las cuentas bancarias de la élite.

En tercer lugar, en 2009, el parlamento haitiano intentó aumentar el salario mínimo en la isla a 5 dólares diarios, pero el Gobierno de Estados Unidos intervino en nombre de las principales empresas textiles y de confección para bloquear el proyecto de ley. David Lindwall, exjefe adjunto de la misión de los Estados Unidos en Puerto Príncipe, dijo que el intento haitiano de aumentar el salario mínimo “no tuvo en cuenta la realidad económica”, sino que fue un mero intento por apaciguar “a las masas desempleadas y mal pagadas”. El proyecto de ley fue derrotado debido a la presión del Gobierno de los Estados Unidos. Estas “masas desempleadas y mal pagadas” están ahora en las calles siendo caracterizadas como “bandas” por el Core Group.

En cuarto lugar, al actual presidente, Ariel Henry, le gusta decir que es un neurocirujano y no un político de carrera. Sin embargo, en el verano de 2000, Henry formó parte del grupo que creó la Convergencia Democrática (CD), fundada para pedir el derrocamiento del Gobierno democráticamente elegido de Aristide. La CD fue creada en Haití por el Instituto Republicano Internacional, brazo político del Partido Republicano de los Estados Unidos, y por la Fundación Nacional para la Democracia del Gobierno estadounidense.

El llamado a la calma realizado por Henry el 19 de septiembre de 2022 tuvo como resultado la multiplicación de las barricadas y la intensificación del movimiento de protesta. Su oído está más pendiente de Washington que de Petit-Goâve, una ciudad de la costa norte que es el epicentro de la rebelión.

OLEADAS DE INVASIONES

En la ONU, el ministro de Asuntos Exteriores de Haití, Jean Victor Geneus, dijo: “Este dilema solo puede resolverse con el apoyo efectivo de nuestros socios”. Para muchos observadores cercanos de la situación que se desarrolla en Haití, la frase “apoyo efectivo” suena a otra intervención militar de las potencias occidentales. De hecho, el editorial del Washington Post pedía “una acción muscular por parte de actores externos”. Desde la Revolución Haitiana, que terminó en 1804, Haití se ha enfrentado a oleadas de invasiones (incluyendo una larga ocupación estadounidense –de 1915 a 1930– y una dictadura respaldada por los Estados Unidos –de 1957 a 1986–). Estas invasiones han impedido a la nación insular asegurar su soberanía y han impedido a su pueblo construir una vida digna. Otra invasión, ya sea por parte de las tropas estadounidenses o de las fuerzas de mantenimiento de la paz de las Naciones Unidas, no hará más que agravar la crisis.

En la sesión de la Asamblea General de las Naciones Unidas del 21 de septiembre, el presidente de los Estados Unidos, Joe Biden, dijo que su Gobierno sigue “apoyando a nuestro vecino Haití”. Lo que esto significa queda muy claro en un nuevo informe de Amnistía Internacional que documenta los abusos racistas a los que se enfrentan los solicitantes de asilo haitianos en los Estados Unidos. Puede que los Estados Unidos y el Core Group estén al lado de personas como Ariel Henry, pero no parecen estar al lado del pueblo haitiano, incluidos los que han huido hacia sus territorios.

Las opciones para el pueblo haitiano pasarán por la unión de los sindicatos a la ola de protestas. Queda por ver si los sindicatos y las organizaciones comunitarias (incluidos los grupos de estudiantes que han resurgido como actores clave en el país) serán capaces de impulsar un cambio dinámico a partir de la ira que se observa en las calles.

Vijay Prashad es un historiador, editor y periodista indio. Es miembro de la redacción y corresponsal en jefe de Globetrotter. Es editor en jefe de LeftWord Books y director del Instituto Tricontinental de Investigación Social. También es miembro senior no-residente del Instituto Chongyang de Estudios Financieros de la Universidad Renmin de China. Ha escrito más de 20 libros, entre ellos The Darker Nations y The Poorer Nations. Sus últimos libros son Struggle Makes Us Human: Learning from Movements for Socialism y The Withdrawal: Iraq, Libya, Afghanistan, and the Fragility of U.S. Power (con Noam Chomsky).

Este artículo fue producido para Globetrotter.

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