La nota editoriale del Washington Post (WaPo), media allineato all’establishment corporativo USA, espone apertamente la posizione di quell’élite rispetto al processo di dialogo realizzato lo scorso il 26 novembre tra il governo venezuelano e un settore dell’opposizione che è patrocinato da Washington.
Il risultato del menzionato processo svolto a Città del Messico, e che ha avuto come garante il governo norvegese, è stato un secondo accordo parziale sociale per la protezione della popolazione venezuelana più vulnerabile. Lo stato venezuelano cerca di recuperare parte delle risorse che sono state sequestrate attraverso le sanzioni illegali e le misure coercitive unilaterali al fine di investirle per soddisfare i vari bisogni sociali della popolazione.
NON È ALTRO CHE UN CONTROLLO DEI DANNI
Il testo del WaPo, una delle principali guide dell’ “opinione pubblica” dell’emisfero occidentale, intitolato “Come assicurarsi che la nuova politica USA in Venezuela abbia risultati”, esordisce accusando il governo venezuelano di tutta la solita retorica antichavista e afferma che “gli USA ed i suoi partner internazionali sino ad ora hanno dimostrato essere incapaci di promuovere il cambio” in Venezuela.
Va chiarito che il suddetto “cambio” propugnato da WaPo si riferisce al tentativo di magnicidio, alle rivolte militari e alle incursioni paramilitari tentate nell’ambito dell’Operazione Gedeon e di altri falliti stratagemmi, senza dimenticare i tentativi di golpe parlamentare che hanno cercato, attraverso il disprezzo, di minare l’ istituzione statale e la Costituzione.
La corporazione mediatica, che sostiene, in particolare, una politica di sicurezza nazionale più militarizzata, segnala che le parti del dialogo hanno concordato sfruttare circa 3 miliardi di dollari in beni venezuelani bloccati fuori dal paese e porli a disposizione di un fondo di aiuti umanitari. Tuttavia, conclude che questa nuova politica, lontana dalle misure draconiane prese da Trump, “dà al regime un respiro economico e legittimità internazionale”.
Quando WaPo dichiara, si fa portavoce dei “titani dei nuovi media” in cui si iscrivono magnati come Jeff Bezos, proprietario della piattaforma mediatica e Amazon, che insieme ad altri che compongono la grande Silicon Valley e sono diventati padroni di buona parte delle corporazioni mediatiche all’inizio della scorsa decade. Bezos è considerato uno degli uomini più ricchi del mondo e, nel 2007, non ha pagato un centesimo di imposte federali sul reddito, impresa ripetuta nel 2011, con il permesso governativo.
Nel suo ricettario di situazioni, WaPo si è diffuso in teorie per spiegare il fallimento del golpe in Venezuela, e persino suggerisce sanzioni di “regresso rapido” nel caso in cui “Caracas ristagni o imbrogli”. Ciascuna delle sue raccomandazioni avalla il fallimento del tentativo di cambio di regime in Venezuela, fanno un olimpico sforzo per eludere la motivazione energetica della loro “preoccupazione per la democrazia” ed è eloquente la forma di esprimere il controllo dei danni.
AMAREZZA DI UNA SVOLTA “DOLCIFICANTE”
Il testo qualifica come “dolcificante” i metodi messi in atto dalla Casa Bianca per non perdere tutto dopo il fallimento di Trump, in cui si iscrive anche la rete mediatica globalizzata di cui WaPo fa parte. Per questo avverte, ripetutamente, che è a rischio “una vera apertura politica” per l’antichavismo.
Anche quando affermano che l’obiettivo dichiarato è “indurre il regime a un negoziato” avvertono che “il compromesso in stile Biden può non essere più fruttifero della pressione in stile Trump”. La svolta politica di Washington denota un’amara rassegnazione, e WaPo lo sa.
Mette in chiaro che Washington non ha molto spazio di manovra, soprattutto in questi tempi in cui la sua società sta soffrendo gli effetti dell’inflazione e della crisi energetica indotta dagli USA e dai suoi paesi satellite nello scatenare una brutale escalation di sanzioni contro la Russia. L’ombra della recessione si avvicina e TWP lo sa.
L’ultimo paragrafo si chiude affermando che la stabilità “è infatti un vitale interesse nazionale degli USA; ma in Venezuela è impossibile senza democrazia”. Tuttavia, ciò che nella nota editoriale chiamano “stabilità” significa accesso al petrolio a buon mercato e ingerenza nelle decisioni geopolitiche ed economiche del Venezuela.
Ciò si nota di più da ciò che il testo non dice che da ciò che dice. Curiosamente solo fa menziona dell’accordo con la transnazionale Chevron in un paragrafo e lo qualifica come una concessione “simbolicamente significativa”.
ELEZIONI LIBERE… DA SANZIONI
Nel frattempo, il presidente Nicolás Maduro, in una conferenza stampa internazionale tenutasi lo scorso 30 novembre, ha affermato che tutte le “criminali misure” contro il Venezuela sono vigenti e che l’84% dei venezuelani le ripudiano tanto quanto coloro che le hanno richieste. Ha informato che si terranno le riunioni della Commissione di Vigilanza per confermare la liberazione delle prime risorse per il recupero delle scuole e di quelle delle popolazioni colpite dalle recenti piogge.
Per quanto riguarda i fondi ed i dividendi della società venezuelana Citgo, ha richiesto fin d’ora il rimborso del sequestrato “libero da polvere e paglia”. Ha anche richiesto la revoca di tutte le sanzioni all’industria petrolifera venezuelana, affermando che “l’idea di rimuovere il Venezuela dal circuito economico mondiale è stata una cattiva idea, un’idea estremista di Donald Trump, e la stanno pagando perché Il Venezuela fa parte dell’equazione energetica mondiale”.
Il presidente venezuelano ha manifestato che l’impatto economico e sociale del rispetto dell’accordo significherebbe la ripresa accelerata, tra l’altro, di stipendi, salari, e pensioni nel Paese, che li porterebbero, come nel 2015, ai più alti della regione.
Nel suo intervento, il presidente ha aggiunto che il governo si mantiene in dialogo con tutte le opposizioni e che si attiverà una serie di incontri per discutere le condizioni per le elezioni… libere da sanzioni e da misure coercitive unilaterali.
WASHINGTON POST, EL FRACASO DEL BLOQUEO Y UN NUEVO CONTROL DE DAÑOS
La nota editorial del Washington Post (WaPo), medio alineado al estamento corporativo estadounidense, expone abiertamente la posición de aquella élite respecto al proceso de diálogo llevado a cabo el pasado 26 de noviembre entre el gobierno venezolano y un sector de las oposiciones que es patrocinado por Washington.
El resultado del mencionado proceso realizado en la ciudad de México, y que contó con el gobierno noruego como garante, fue un segundo acuerdo parcial social para la protección de la población venezolana más vulnerable. El estado venezolano busca recuperar parte de los recursos que han secuestrado mediante las sanciones ilegales y las medidas coercitivas unilaterales con el fin de invertirlos en atender diversas necesidades sociales de la población.
NO ES MÁS QUE UN CONTROL DE DAÑOS
El texto del WaPo, uno de los principales orientadores de “opinión pública” del hemisferio occidental, titulado “Cómo asegurarse de que la nueva política de Estados Unidos en Venezuela tenga resultados”, inicia acusando al gobierno venezolano de toda la retórica antichavista acostumbrada y afirma que “Estados Unidos y sus socios internacionales hasta ahora han demostrado ser incapaces de impulsar el cambio” en Venezuela.
Cabe aclarar que el referido “cambio” que propugna WaPo se refiere al intento de magnicidio, asonadas militares y a las incursiones paramilitares intentadas en el marco de la Operación Gedeón y demás estratagemas fallidas, sin obviar los intentos de golpe parlamentario que buscaron, vía desacato, para socavar la institucionalidad estatal y la Constitución.
La corporación mediática, que apoya particularmente una política de seguridad nacional más militarizada, señala que las partes del diálogo acordaron aprovechar aproximadamente 3 mil millones de dólares en activos venezolanos bloqueados fuera del país y ponerlos a disposición de un fondo de ayuda humanitaria. Sin embargo, concluye que esa nueva política, alejada de las medidas draconianas tomadas por Trump, “le da al régimen un respiro económico y legitimidad internacional”.
Cuando WaPo declara, está ejerciendo la vocería de los “titanes de los nuevos medios” en los que se inscriben magnates como Jeff Bezos, dueño de la plataforma mediática y Amazon, que junto a otros que conforman el gran Silicon Valley y se hicieron dueños de buena parte de corporaciones mediáticas a comienzos de la década pasada. Bezos es considerado uno de los hombres más ricos del mundo y en 2007 no pagó ni un centavo en impuestos federales sobre la renta, hazaña que repitió en 2011, bajo la venia gubernamental.
En su recetario de situaciones, WaPo se ha desplegado en teorías para explicar el fracaso del golpe en Venezuela, y hasta sugiere sanciones de “retroceso rápido” por si “Caracas se estanca o hace trampa”. Todas y cada una de sus recomendaciones refrendan el fracaso del intento de cambio de régimen en Venezuela, hacen un olímpico esfuerzo por evadir la motivación energética de su “preocupación por la democracia” y es elocuente la forma de expresar el control de daños.
AMARGURA DE UN GIRO “ENDULZANTE”
El texto califica de “endulzantes” los métodos que se instrumentan desde la Casa Blanca para no perderlo todo luego del fracaso de Trump, en el que también se inscribe el entramado mediático globalizado del que WaPo forma parte. Es por ello que advierte repetidas veces que está en riesgo “una apertura política genuina” para el antichavismo.
Aun cuando dicen que la meta planteada es “inducir al régimen a una negociación” advierten que “el compromiso al estilo de Biden puede no resultar más fructífero que la presión al estilo de Trump”. El giro político de Washington denota resignación amarga, y WaPo lo sabe.
Deja claro que no es mucha la capacidad de maniobra de Washington, sobre todo en estos tiempos en los que su sociedad padece los efectos de la inflación y la crisis energética inducida por Estados Unidos y sus países satélites al desatar una escalada brutal de sanciones contra Rusia. La sombra de la recesión se acerca y TWP lo sabe.
El último párrafo cierra refiriendo que la estabilidad “es de hecho un interés nacional vital de los Estados Unidos; pero en Venezuela es imposible sin democracia”. Sin embargo, lo que en la nota editorial llaman “estabilidad” significa acceso a petróleo barato e injerencia en las decisiones geopolíticas y económicas de Venezuela.
Esto se nota más por lo que no dice el texto que por lo que dice. Curiosamente solo hace mención al acuerdo con la transnacional Chevron en un párrafo y lo califica de una concesión “simbólicamente significativa”.
ELECCIONES LIBRES… DE SANCIONES
Entretanto, el presidente Nicolás Maduro, en rueda de prensa internacional realizada el pasado 30 de noviembre, afirmó que todas las “medidas criminales” contra Venezuela están vigentes y que 84% de los venezolanos las repudian tanto como a quienes las pidieron. Informó que se estarían realizando las reuniones de la Comisión de Seguimiento para confirmar la liberación de los primeros recursos para la recuperación de las escuelas y las de las poblaciones afectadas por las recientes lluvias.
Respecto a los fondos y dividendos de la empresa venezolana Citgo, exigió desde ya el reintegro de lo incautado “libre de polvo y paja”. Exigió también que sean levantadas todas las sanciones sobre la industria petrolera de Venezuela, afirmando que “la idea de sacar a Venezuela del circuito económico del mundo fue una mala idea, extremista idea de Donald Trump, y la están pagando porque Venezuela forma parte de la ecuación energética mundial”.
El presidente venezolano manifestó que el impacto económico y social del cumplimiento del acuerdo significaría la recuperación acelerada, entre otros ámbitos, de los sueldos, salarios y pensiones en el país, que los llevarían, como en el año 2015, a los más altos de la región.
En su intervención, el primer mandatario agregó que el gobierno se mantiene en diálogo con todas las oposiciones y que se activará una serie de reuniones para discutir las condiciones de unas elecciones… libres de sanciones y de medidas coercitivas unilaterales.