“È stato un anno molto duro”, si legge sulle reti digitali e sulla stampa, e lo sentiamo anche, in sommari, da radio e tv nazionali ed estere su com’è stato il 2022 per Cuba. Tanto se ne parla che rischia di convertirsi in un luogo comune, il che non toglie nulla al suo carattere di frase veritiera, che persino potrebbe essere espressa: “duro no, durissimo”.
Oltre ad eventi specifici e drammaticamente dolorosi come l’esplosione all’Hotel Saratoga, l’incendio alla Base Superpetroliere di Matanzas ed un uragano che ha colpito, con grande intensità, diverse province occidentali del paese, la vita dei cubani è stata segnata da un deterioramento generalizzato della quotidianità praticamente in tutti gli ambiti: interruzioni prolungate dell’elettricità, significativa riduzione dei trasporti pubblici e carenza di beni di prima necessità di ogni tipo, compresi alimenti e medicinali. Una visione burocratica e insensibile che, in pochi luoghi, ha convertito, per lungo tempo, la coda e la tolleranza delle autorità, riguardo la speculazione, in controproducenti metodi per l’accesso a qualsiasi tipo di prodotto o servizio, più la crescita dell’inflazione che ha deteriorato, in modo significativo, il potere acquisitivo delle pensioni e degli stipendi, soprattutto nel settore statale.
Si è insistito su una combinazione di cause per tali fenomeni, le più citate sono: l’inasprimento senza precedenti del blocco USA, l’impatto della pandemia di Covid-19 sull’attività economica in generale e sul turismo in particolare, la crisi economica globale che mescola gli effetti della pandemia a cui si aggiungono gli aumenti dei prezzi conseguenti alla guerra in Europa, lentezza nell’attuazione della riforma economica approvata dal VI Congresso del Partito Comunista di Cuba, nel 2011, ed errori di progettazione nel cosiddetto riordinamento monetario. Per altri, la visione non è completa se non si va più indietro e si parte da quanto è accaduto in relazione all’economia a Cuba prima che iniziassero a manifestarsi i primi visibili effetti di questi processi, all’inizio del 2020.
Un tema che non si menziona è la situazione del principale alleato economico e politico di Cuba: il Venezuela. La reazione di alcuni sarà, già lo so: “Perché dobbiamo dipendere da ciò che accade in un altro paese, Cina, Venezuela o Russia?” Ci siamo: Cuba è assediata da un Paese che, essendo potenzialmente il suo mercato naturale e più vicino, la supera di trenta volte per popolazione, che usa tutto il suo enorme potere diplomatico, mediatico ed economico, il più grande del mondo, per perseguitare qualsiasi apertura che significhi entrate o transazioni cubane, e non può un paese senza grandi risorse di idrocarburi, con terre poco fertili, povero in risorse idrauliche, situato in un luogo dove sono frequenti uragani intensi, cercare di compensare questa enorme asimmetria con rapporti reciprocamente vantaggiosi con paesi che, come lui, non si sottomettono all’egemonia USA? Al di là della geopolitica… c’è un solo paese tropicale, petrolifero o no, che abbia raggiunto un certo livello di sviluppo senza investimenti stranieri, senza rapporti commerciali asimmetrici con il mondo sviluppato, o senza un’economia aperta? Lo ha ottenuto senza relazionarsi con l’economia USA e ricevere crediti da enti, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, controllata dagli USA e vietata a Cuba; qualcuno l’ha fatto avendo contro leggi come la Helms Burton e la Torricelli? Troppo simile alla storia del pugile a cui viene urlato di combattere lealmente dopo averlo legato mani e piedi.
Di come le azioni degli USA contro il Venezuela siano viste, da coloro che le promuovono, come un modo d’impedire il progresso economico di Cuba, spiegano l’ossessione precoce con questo, dal 2014, di spazi molto interessati al progredire del socialismo sull’isola come la governativa emittente USA Radio TV Martí e il quotidiano di Madrid El País, in una sorta di profezia che cerca auto avverarsi. Cito alcuni precoci testi, dei tanti possibili, in una breve panoramica solo a titolo di esempio (“L’economia cubana senza il Venezuela”, El País, 21 febbraio 2014; “Cuba vivrà una grave crisi se termina l’aiuto venezuelano”, 9 dicembre 2015, El País; “Cuba soffre lo «shock venezuelano» per la lentezza delle riforme”, Rolando Cartaya, Radio Tv Martí, 27 luglio 2016). È anche vero, ma poco detto, che dopo la morte di Hugo Chávez, nel marzo 2013, e parallelamente all’avvio dei suoi negoziati con Cuba, il governo di Barack Obama ha scatenato una guerra economica contro il Venezuela, una delle cui pietre miliari è stata la dichiarazione del paese bolivariano come “Minaccia insolita e straordinaria alla Sicurezza Nazionale degli USA” poco prima del Vertice delle Americhe nell’aprile 2015 a Panama.
E quell’attacco al Venezuela, come avrebbe anticipato El País, si è sentito a Cuba. Come ho spiegato in precedenza in un testo intitolato “Cuba, Venezuela e la tempesta perfetta”, nel giugno 2016, il governo cubano ha dovuto adottare misure inevitabili per far fronte alle conseguenze di una significativa riduzione nelle spedizioni di carburante dal Venezuela, basate sugli accordi bilaterali pagati dall’Isola con servizi medici per settori maggioritari del popolo venezuelano.
D’altra parte, le trasformazioni economiche a Cuba non sono andate come previsto. Un’analisi del Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cubano che ha valutato, nel 2016, le politiche messe in atto dal 2011, anno in cui è iniziato “l’aggiornamento del modello economico e sociale”, ha riconosciuto “errori nella pianificazione dei processi e nel loro controllo”, segnala che “non sempre la Commissione di Attuazione ha potuto coinvolgere gli organi, organismi, organizzazioni ed enti affinché dalla base fossero in grado di orientare, formare, sostenere, controllare e rendere conto della loro gestione” e espone “insufficiente completezza, visione limitata sui livelli di rischio e incompleta valutazione dei costi e benefici”, oltre al fatto che in alcuni casi è stato deficiente il monitoraggio e il controllo delle politiche, alcune delle quali sono state deviate dai loro obiettivi, senza un’opportuna correzione” e fa riferimento alla “mancanza di una cultura tributaria nel Paese, all’uso ancora carente della contabilità come strumento fondamentale per ogni analisi economica” ma non manca di menzionare “limitazioni economiche e finanziarie che hanno reso impossibile sostenere adeguatamente un insieme di misure che avrebbero richiesto investimenti”.
Nell’aprile 2016, appena un mese prima del VII Congresso del Partito Comunista Cubano, Barack Obama ha visitato L’Avana. La sua strategia comunicativa ha insistito su due obiettivi: cancellare l’idea degli USA come avversario dei cubani ed enfatizzare gli ostacoli interni come causa delle difficoltà quotidiane che questi affrontano, ma non aveva una parola per metterli in relazione con la permanenza del blocco USA e tanto meno con la crescente aggressività politica, economica e militare della sua amministrazione contro il paese che, in quel momento, aveva il maggior interscambio commerciale con Cuba: il Venezuela.
La stampa privata, con soldi USA, sorta a Cuba a partire dal secondo mandato dell’amministrazione Obama, ha allora previsto il ritorno di massicci blackout, un calo a due cifre del Prodotto Interno Lordo e un ritorno delle carenze che i cubani hanno vissuto negli anni 90 del secolo scorso dopo la scomparsa dell’URSS e delle sue favorevoli relazioni commerciali con essa. Ma la situazione annunciata dagli analisti cubani legati alla Open Society Foundations di George Soros e dalle riviste pagate da Miami non è ancora arrivata allora sarebbe stato necessario inasprire maggiormente l’aggressione ad entrambe le nazioni.
Dal 2017 sono cominciate a piovere su Cuba, dal governo di Donald Trump, 243 misure aggiuntive al blocco, al ritmo medio di una a settimana, ma ancora, a Cuba, non c’erano né carenze né blackout come era stato annunciato da Miami e Madrid.
Nel febbraio 2019, al confine colombiano-venezuelano, mentre si svolgeva un’operazione di destabilizzazione camuffata da aiuto umanitario, in un’ulteriore prova di quanto l’una abbia a che fare con l’altra, il senatore cubano-americano Marco Rubio, reo confesso promotore di tutte quelle misure di Trump contro Cuba, ha twittato in modo bullo, euforico e minaccioso, al Presidente di Cuba, “ci vediamo presto”. Ancora è atteso all’Avana.
Poco dopo, nell’aprile dello stesso 2019, un alto funzionario di Washington chiariva l’obiettivo delle pressioni sul Venezuela, quello che reclamavano, dall’epoca di Obama, i collaboratori di El País e Radio Tv Martí continuava ad essere perseguito meno diplomaticamente nell’era Trump : “Sebbene non ci aspettiamo un cambio politico immediato a Cuba a causa delle nostre sanzioni dirette contro il Venezuela e delle sanzioni dirette e indirette contro Cuba, crediamo che almeno un risultato saranno cambi nell’economia cubana dovuti a ciò che l’Amministrazione di [Juan] Guaidó sta facendo per quanto riguarda le esportazioni di petrolio a Cuba, e stiamo aiutando il presidente ad interim Guaidó a raggiungere il suo obiettivo di non sovvenzionare più il regime cubano. Cuba dovrà adattarsi a perdere il 30% o più delle sue importazioni di petrolio fortemente sovvenzionate, e questo significa consentire un’economia più basata sul mercato” (https://www.cubatrade.org/blog/2019/4/7/background- intervista-con-funzionari-dell’amministrazione-trump).
Un altro colpo era arrivato poco prima dal Brasile, quando alla fine del 2018 il governo di Jair Bolsonaro aveva cancellato un accordo con il quale 11000 medici cubani lavoravano in quel paese e che apportava, a Cuba, circa 400 milioni di dollari l’anno.
Tuttavia, a giugno 2019, ancora sull’isola ancora non si adattavano a ciò che il governo Trump pretendeva e i suoi stretti colleghi che scrivono sulla grande stampa internazionale avevano motivo di disperarsi: il nuovo governo di Miguel Díaz-Canel aumentava le pensioni e gli stipendi del settore statale, congelati per lungo tempo, e nonostante affrontare l’impatto delle sanzioni alle compagnie di navigazione che trasportavano carburante a Cuba, che ha causato tensioni nell’approvvigionamento di stazioni di servizio e nei trasporti per diverse settimane del secondo semestre, è stato possibile reggere l’impatto sul trasporto pubblico in tempi non molto lunghi. Prima, in un’altra dimostrazione di resilienza, sono sorti nuovi servizi di taxi collettivi all’Avana e ferrovie nazionali, mentre alla fine di quell’anno L’Avana ha festeggiato in grande stile il suo 500esimo anniversario.
Pur vedendosi, come avevano annunciato i funzionari di Trump, nella necessità di spese impreviste per investire buona parte della sua valuta estera nell’acquisto del carburante che prima riceveva dal Venezuela, l’economia cubana non è crollata neppure allora.
Cinque anni dopo la doppia aggressione con sanzioni “dirette” (a Cuba) e “indirette” (via Venezuela), i funzionari di Trump dixit, quanto previdentemente annunciato da El País e Radio Tv Martí, – o questi esseri profetici erano parte della componente psicologica della stessa guerra? – continuava senza compiersi.
Hanno dovuto accumulare 243 misure del governo Trump, tra cui il taglio dei viaggi e delle rimesse e la persecuzione delle compagnie di navigazione che trasportavano carburante a Cuba, coronate dalla falsa designazione dell’isola come Paese sponsorizzatore del terrorismo con i conseguenti impedimenti alle transazioni finanziarie internazionali, affinché gli annunci del 2014 si manifestassero secondo i desideri dei loro indovini.
All’inizio della seconda metà del 2021, con Biden già alla Casa Bianca ma con la stessa politica trumpista verso l’isola, la combinazione di un picco pandemico con la variante Delta di SARSCOV-2, combinato ai tagli di elettricità e acqua, una penuria, già molto notevole, del commercio al dettaglio, e gli effetti di un riassetto monetario che contava sul controllo della pandemia e un cambio nella politica USA che non si è verificato, avrebbe portato in piazza l’irritazione, intossicata dalle reti digitali, l’11 luglio di quell’anno, in non pochi casi si sono verificati atti di vandalismo, e il Segretario di Stato Anthony Blinken ha potuto ritardare la sua promessa “revisione della politica verso Cuba” che ha rivisto ben poco.
In precedenza, nel novembre 2020, persone preparate per la strategia di cambio di regime USA hanno capitalizzato l’effetto di una provocazione camuffata da difesa della libertà artistica. Travestiti da difensori della libertà di espressione, sono riusciti a mischiare veri artisti in cerca di dialogo con provocatori addestrati, e in una manovra davanti al ministero della Cultura dell’isola, proprio alla vigilia dell’arrivo di Biden alla Casa Bianca, far sì che i settori più estremisti di Miami esigessero, allora, un intervento militare e convertire il presidente che entrerà in carica nel gennaio 2021, contrariamente alle sue promesse elettorali, nel più fedele dei trumpisti. La recente totale sconfitta del Partito Democratico nel sud della Florida ha dimostrato l’errore di puntare a competere con l’estrema destra politica che controlla chi è più duro nei confronti di Cuba, ma ancora non si apprezza che ciò che Marco Rubio chiama apertamente “paura dell’esilio cubano” abbandoni le menti di coloro che decidono la politica estera USA.
Solo l’aumento sostenuto dei migranti cubani che arrivano al confine USA, stimolato dalla crisi economica a Cuba, alla quale hanno contribuito in modo significativo, una chiusura del consolato USA all’Avana e la calamita di una politica migratoria che converte in rifugiati i cubani che riescono a mettere piede sul suolo USA, ha fatto ritornare Washington a dialogare con il governo cubano e riaprire la sua ambasciata all’Avana, mantenendo in essere oltre il 90% delle sanzioni trumpiste. Ma l’impatto della crisi che queste hanno provocato è tale che l’apertura del loro consolato all’Avana non è più sufficiente a scoraggiare l’emigrazione irregolare.
Il secondo semestre del 2022 ha visto ancora interruzioni di corrente, accompagnate da proteste disperse in alcune località e più di un tentativo terroristico incoraggiato, impunemente, dal territorio USA. Sebbene il Paese abbia controllato la pandemia di COVID con tre tipi di propri vaccini, che si dice veloce ma è un’impresa che solo le grandi potenze hanno potuto fare, e si sia aperto al turismo, la crescita prevista di 2,5 milioni di turisti si è fermata a 1,8, l’economia è cresciuta meno del previsto, che già era insufficiente. Le interruzioni dovute a rotture nella produzione elettrica -mancavano i soldi per riparare gli impianti obsoleti- e la scarsa disponibilità di combustibile per la generazione hanno creato una situazione ancora peggiore rispetto al 2021 in quel servizio che è stato risolto, ma non definitivamente, alla fine del l’anno dove si è ottenuto stabilizzare il servizio e promette una situazione migliore nel 2023, anche se saranno necessarie nuove riparazioni e investimenti.
Le trasformazioni non sono state fermate dalla crisi, anche se c’è chi chiede maggiore celerità: la nuova Costituzione cubana del 2019, approvata con quasi l’87% dei voti, riconosce il mercato, che lo Stato “regola e controlla” “in funzione degli interessi della società”, così come le società di proprietà privata, di cui più di 6000 sono state approvate dalla fine del 2021. Persino una recente dichiarazione di un alto funzionario del Ministero degli Esteri cubano, sebbene abbia denunciato che gli USA identificano quel settore privato “come uno strumento di sovversione politica” ha detto che Cuba non si opporrà a questo uso se Washington fa eccezioni al blocco per promuoverlo a scapito del settore pubblico dell’economia dell’isola.
L’inflazione non è scesa e si annuncia un programma di stabilizzazione macroeconomica, i cui dettagli non sono ancora noti ma che ha la difficile sfida di aggiustare un deficit fiscale elevato senza terapia d’urto, disoccupazione massiccia e la chiusura dei servizi pubblici che sono universali e gratuiti sull’isola, oltre a risolvere contraddizioni come un sussidio alla benzina che fa sì che, essendo un paese non petrolifero, quel carburante viene venduto, a Cuba, a uno dei prezzi più bassi al mondo.
Intervenendo nell’ultima sessione dell’anno al parlamento cubano, il presidente Díaz-Canel ha promesso un 2023 “impegnativo” ma migliore. Diversi elementi gli danno ragione con un ambiente internazionale più favorevole. Un tour di successo effettuato a fine novembre in Russia, Cina, Algeria e Turchia ha permesso di riallacciare rapporti economici, rinnovare forniture anche energetiche, aprire nuove possibilità di investimento e cancellare debiti e riprendere crediti. In ambito latinoamericano crescono i rapporti economici con il Messico, che acquista vaccini cubani contro il Covid e ha assunto più di 600 medici isolani, mentre il ritorno di Lula al governo, in Brasile, torna ad aprire possibilità di riprendere gli accordi cancellati da Bolsonaro. La ripresa economica venezuelana è un dato di fatto, con una crescita di oltre il 13% e l'”Amministrazione di [Juan] Guaidó” non la riconoscono più neppure i suoi ex sostenitori. Sul fronte interno, un tangibile miglioramento della produzione elettrica è essenziale per garantire la crescita del turismo, la stabilità sociale e il tanto atteso rilancio dell’economia.
Le priorità definite dal Presidente sono state chiare: liberare le vere riserve e potenzialità che esistono nella società; sbloccare le forze produttive; promuovere più gli incentivi e meno gli ostacoli ed i divieti che frenano lo sviluppo; il necessario e urgente decollo dell’impresa statale socialista, che l’agricoltura dia risposta alla produzione alimentare; e fornire una migliore assistenza alle persone in situazioni vulnerabili. Ciò è in linea con le attese popolari nello scontro effettivo con la criminalità, corruzione, illegalità e contro la burocrazia; il rispetto della legge, dell’ordine e della decenza; che si tenga conto del consenso e della partecipazione del popolo nel decidere; che si ricorra all’innovazione; che ci sia un esercizio democratico del potere popolare; che tutti rendano conto; che i giovani non abbandonino il Paese e non smettano di partecipare alla Rivoluzione.
Grandi sfide nel bel mezzo di un’aggressione che non si è fermata ma che nel nuovo anno offre a Cuba migliori opportunità per superarle se l’autocritica diventa una forza trasformatrice. Non solo lei ne ha bisogno, ma anche l’America Latina e il mondo. I suoi nemici lo sanno ed è per questo che non smetteranno di cercare di farla deragliare dal percorso, ma non c’è più modo di farle più danno, e questa è l’opportunità per coloro che hanno saputo stare nel limite e possono, quest’anno, iniziare a camminare in un tunnel dove, in modo molto fioco, si comincia a vedere una luce.
Cuba 2023: Lo que se olvida y lo que se espera
Por Iroel Sánchez
“Ha sido un año muy duro”, se lee en las redes digitales y la prensa, y también lo escuchamos en resúmenes de radio y televisión nacionales y extranjeros sobre lo que fue el 2022 para Cuba. Tanto se dice, que amenaza con convertirse en un lugar común, lo cual no le quita su carácter de frase ajustada a la verdad, que incluso pudiera ser matizada: “duro no, durísimo”.
Además de por hechos puntuales y dramáticamente dolorosos como la explosión en el Hotel Saratoga, el incendio en la Base de Supertanqueros de Matanzas, y un huracán que golpeó con gran intensidad varias provincias occidentales del país, la vida de los cubanos fue impactada por un deterioro generalizado de la cotidianidad prácticamente en todos los ámbitos: Cortes prolongados de electricidad, reducción significativa del transporte público y escasez de bienes básicos de todo tipo, incluyendo alimentos y medicamentos. Una visión burocrática e insensible que en no pocos lugares convirtió, durante mucho tiempo, la cola y la tolerancia de las autoridades a la especulación en contraproducentes métodos para el acceso a cualquier tipo de producto o servicio, más el crecimiento de una inflación que ha deteriorado significativamente el poder adquisitivo de las pensiones y los salarios, especialmente en el sector presupuestado.
Se ha insistido en una mezcla de causas para esos fenómenos, las más citadas: el recrudecimiento sin precedentes del bloqueo estadounidense, impacto de la pandemia de Covid-19 sobre la actividad económica en general y el turismo en particular, crisis económica global que mezcla los efectos de la pandemia con el añadido de los incrementos en precios fruto de la guerra en Europa, lentitud en la implementación de la reforma económica aprobada desde VI Congreso del Partido Comunista de Cuba en 2011 y errores de diseño en el llamado reordenamiento monetario. Para otros, la mirada no es completa sino se va más atrás y se parte de qué pasaba con relación a la economía en Cuba antes de que se comenzaran a manifestar los primeros visibles efectos de estos procesos, a inicios del año 2020.
Un tema que se no se menciona es la situación del principal aliado económico y político de Cuba: Venezuela. La reacción de algunos será, ya lo sé: “¿Por qué tenemos que depender de lo que sucede en otro país, China, Venezuela o Rusia?”. Allá vamos: Cuba es asediada por un país que, siendo potencialmente su mercado natural y más cercano, la supera treinta veces en población, que emplea todo su enorme poder diplomático, mediático y económico, el mayor del mundo, para perseguir cualquier respiradero que signifique ingresos o transacciones cubanas, ¿y no puede un país sin grandes recursos en hidrocarburos, con tierras poco fértiles, pobre en recursos hidráulicos, ubicado en un lugar donde son frecuentes huracanes intensos, tratar de compensar esa enorme asimetría con relaciones mutuamente ventajosas con países que como él no se someten a la hegemonía estadounidense? Más allá de la geopolítica… ¿hay un solo país tropical , petrolero o no, que haya logrado algún nivel de desarrollo sin inversion extranjera, sin relaciones comerciales asimétricas con el mundo desarrollado, o sin economia abierta?¿lo ha logrado sin relacionarse con la economía estadounidense y recibir créditos de entidades como el Fondo Monetario Internacional y el Banco Mundial, controlados por EE.UU. y prohibidos para Cuba, alguno lo ha hecho con leyes como la Helms Burton y la Torricelli en contra? Demasiado parecido al cuento del boxeador al que le gritan que pelee limpio después de amarrarlo de pies y manos.
De cómo las acciones de Estados Unidos contra Venezuela son vistas por quienes las impulsan como una manera de impedir el avance económico de Cuba dan cuenta la obsesión temprana con ello, desde 2014, de espacios muy interesados en el avance del socialismo en la isla como la gubernamental emisora estadounidense Radio Televisión Martí y el diario madrileño El País, en una especie de profecía que busca autocumplirse. Cito unos pocos textos tempranos, de los muchos posibles, en un breve recorrido solo como ejemplo (“La economía cubana sin Venezuela”, El País, 21 de febrero de 2014; “Cuba vivirá una grave crisis si termina la ayuda venezolana”, 9 de diciembre de 2015, El País; “Cuba sufre «shock venezolano» por lentitud de reformas”, Rolando Cartaya, Radio Tv Martí, 27 de julio de 2016). También es cierto, pero poco dicho, que tras la muerte de Hugo Chávez, en marzo de 2013, y en paralelo con el inicio de sus negociaciones con Cuba, el gobierno de Barack Obama desató una guerra económica contra Venezuela, uno de cuyos hitos fue la declaración del país bolivariano como “Amenaza inusual y extraordinaria a la Seguridad Nacional de Los Estados Unidos” poco antes de la Cumbre de las Américas de abril de 2015 en Panamá.
Y ese ataque a Venezuela, como adelantaría El País, se sintió en Cuba. Como he explicado antes en un texto titulado “Cuba, Venezuela y la tormenta perfecta”, en junio de 2016 el gobierno cubano tuvo que tomar medidas ineludibles para enfrentar las consecuencias de una reducción significativa en los envíos de combustible desde Venezuela, basados en los acuerdos bilaterales pagados por la Isla con servicios de salud para sectores mayoritarios del pueblo venezolano.
Por otra parte, las transformaciones económicas en Cuba no marcharon como se previó. Un análisis del Pleno del Comité Central del Partido Comunista cubano que evaluó en 2016 las políticas implementadas desde 2011, año en que comenzó la “actualización del modelo económico y social” reconoció “errores en la planificación de los procesos y en su control”, señala que “no siempre la Comisión de Implementación logró involucrar a los órganos, organismos, organizaciones y entidades para que desde la base fueran capaces de orientar, capacitar, apoyar, controlar y rendir cuentas de su gestión” y plantea “insuficiente integralidad, visión limitada sobre los niveles de riesgos e incompleta apreciación de los costos y beneficios”, además de que en algunos casos ha sido deficiente el seguimiento y control de las políticas, varias de las cuales se fueron desviando de sus objetivos, sin una oportuna corrección” y se refiere a “la carencia de una cultura tributaria en el país, al aún deficiente empleo de la contabilidad como herramienta fundamental para cualquier análisis económico” pero no deja de mencionar “limitaciones económicas y financieras que imposibilitaron el respaldo adecuado a un grupo de medidas que requerían inversiones”.
En abril de 2016, apenas un mes antes del VII Congreso del Congreso del Partido Comunista de Cuba, Barack Obama visitó La Habana. Su estrategia comunicacional insistió en dos objetivos: Borrar la idea de Estados Unidos como adversario de los cubanos y hacer énfasis en los obstáculos internos como causa de las dificultades cotidianas que estos enfrentan pero no tuvo una palabra para relacionarlas con la permanencia del bloqueo estadounidense y mucho menos con la creciente agresividad política, económica y militar de su administración contra el país que mayor intercambio comercial sostenía con Cuba en ese momento: Venezuela.
La prensa privada, con dinero estadounidense, surgida en Cuba a partir del segundo período de la administración Obama, auguró entonces el regreso de apagones masivos, un descenso de dos dígitos del Producto Interno Bruto y un regreso de las escaseces que los cubanos conocieron en los años noventa del siglo pasado tras la desaparición de la URSS y sus favorables relaciones comerciarles con esta. Pero la situación anunciada por analistas cubanos afines a las Open Society Foundations de George Soros y revistas pagadas desde Miami no llegó aún entonces, haría falta apretar más la agresión a ambas naciones.
Desde 2017 comenzaron a llover sobre Cuba desde el gobierno de Donald Trump 243 medidas adicionales al bloqueo, al ritmo promedio de una semanal, pero aún en Cuba no había ni desabastecimiento ni apagones como se había anunciado desde Miami y Madrid.
En febrero de 2019, en la frontera de Colombia con Venezuela, mientras se ejecutaba una operación de desestabilización disfrazada de ayuda humanitaria, en una prueba más de cuánto tiene que ver una cosa con la otra, el senador cubanoamericano Marco Rubio, confeso impulsor de todas esas medidas de Trump contra Cuba, tuiteaba en modo matón, eufórico y amenazante, al Presidente de Cuba, “nos vemos pronto”. Aún se le espera por La Habana.
Poco después, en abril del mismo año 2019, un alto funcionario de Washington dejaba claro el objetivo de las presiones sobre Venezuela, lo que reclamaban los colaboradores de El País y Radio Tv Martí desde tiempos de Obama seguía siendo perseguido menos diplomáticamente en la era Trump: “Aunque no esperamos un cambio político inmediato en Cuba debido a nuestras sanciones directas a Venezuela y las sanciones directas e indirectas a Cuba, creemos que al menos un resultado serán cambios en la economía cubana debido a lo que la Administración de [Juan] Guaidó está haciendo con respecto a las exportaciones de petróleo a Cuba, y estamos ayudando al presidente interino Guaidó a lograr su objetivo de no subsidiar más al régimen cubano. Cuba tendrá que adaptarse a la pérdida del 30% o más de sus importaciones de petróleo fuertemente subsidiadas, y eso significa permitir una economía más basada en el mercado” (https://www.cubatrade.org/blog/2019/4/7/background-interview-with-trump-administration-officials).
Otro golpe había llegado poco antes desde Brasil, cuando a fines de 2018 el gobierno de Jair Bolsonaro canceló un acuerdo por el que 11 000 médicos cubanos trabajaban en ese país y que aportaba un estimado de 400 millones dólares anuales a Cuba.
Sin embargo, en junio de 2019, aún en la isla seguían inadaptados a lo que el gobierno de Trump pretendía y sus cercanos compañeros que escriben e n la gran prensa internacional tendrían razones para desesperarse: el nuevo gobierno de Miguel Díaz-Canel subía pensiones y salarios del sector presupuestado, congelados por largo tiempo, y a pesar de enfrentar el impacto de las sanciones a las navieras que transportaban combustible a Cuba, que provocó tensiones en el abastecimiento a gasolineras y trasportes durante varias semanas del segundo semestre, se logró capear el impacto en el transporte público en un tiempo no muy extenso. Antes, en otra muestra de resiliencia, surgían nuevos servicios de taxis colectivos en La Habana y ferrocarriles nacionales, mientras a fines de ese año La Habana celebraba por todo lo alto su aniversario 500.
Viéndose, como anunciaron los funcionarios de Trump, en la necesidad de gastos no previstos para invertir buena parte de sus divisas en adquirir el combustible que antes recibía de Venezuela, la economía cubana tampoco colapsó entonces.
Cinco años después de la doble agresión con “sanciones directas” (a Cuba) e “indirectas” (vía Venezuela), funcionarios de Trump dixit, lo previsoramente anunciado desde El País y Radio Tv Martí, -¿o serían parte estos proféticos seres del componente psicológico de la misma guerra?- continuaba sin cumplirse.
Tuvieron que acumularse 243 medidas del gobierno de Trump, incluyendo el corte en viajes y remesas y la persecución a las navieras que transportaban combustible a Cuba, coronadas por la designación espuria de la isla como país patrocinador del terrorismo con sus consecuentes impedimentos a las transacciones financieras internacionales, para que los anuncios de 2014 se manifestaran en concordancia con los deseos sus augures.
A inicios del segundo semestre de 2021, ya con Biden en la Casa Blanca pero con la misma política trumpista hacia la isla, la combinación de un pico pandémico con la variante Delta del SARSCOV-2, combinado con cortes eléctricos y de agua, un desabastecimiento del comercio minorista ya muy notable, y los efectos de un reordenamiento monetario que contaba con un control de la pandemia y un cambio en la política estadounidense que no se produjeron, sacara a la calle la irritación intoxicada desde las redes digitales el 11 de julio de ese año, en no pocos casos derivada en vandalismo, y el Secretario de Estado Anthony Blinken pudiera dilatar su prometida “revisión de la política hacia Cuba” que muy poco ha revisado.
Antes, en noviembre de 2020, personas preparadas por la estrategia de cambio de régimen estadounidense capitalizaron el efecto de una provocación disfrazada de defensa de la libertad artística. Disfrazados de defensores de la libertad de expresión, lograron mezclar artistas verdaderos en busca de diálogo con provocadores entrenados, y en una maniobra frente al Ministerio de Cultura de la isla, justo en vísperas de la llegada Biden a la Casa Blanca, hacer a los sectores más extremistas de Miami, exigir entonces una intervención militar y convertir al Presidente que tomaría posesión en enero de 2021, en contra de sus promesas de campaña, en el más fiel de los trumpistas. La reciente derrota total del Partido Demócrata en el Sur de la Florida ha probado lo errado de la apuesta por competir con la ultraderecha política que controla en quién es más duro con respecto a Cuba pero aún no se aprecia que lo que Marco Rubio llama abiertamente “miedo al exilio cubano” abandone las mentes de quienes deciden la política exterior estadounidense.
Sólo el incremento sostenido de migrantes cubanos llegando a su frontera, espoleados por la crisis económica en Cuba, a la que han contribuido de manera importante, un cierre de su consulado en La Habana y el imán de una política migratoria que convierte en refugiados a los cubanos que logren pisar suelo estadounidense, hizo volver a Washington a conversar con el gobierno cubano y reabrir su embajada habanera, manteniendo más del 90% de las sanciones trumpistas en pie. Pero el impacto de la crisis que estas han inducido es tal que la apertura de su consulado en La Habana ya no es suficiente para desestimular la emigración irregular.
El segundo semestre de 2022 volvió a tener cortes de electricidad, acompañados de protestas dispersas en algunas localidades y más de un intento terrorista alentado, con impunidad, desde territorio estadounidense. Aunque el país controló la pandemia de COVID con tres tipos de vacunas propias, que se dice rápido pero es una hazaña que sólo grandes potencias pudieron hacer, y se abrió al turismo, el crecimiento previsto de 2,5 millones de turistas quedó en 1, 8, la economía creció por debajo de lo previsto, que ya era insuficiente. Los paros por roturas en la generación eléctrica -faltó dinero para las reparaciones de plantas envejecidas- y la baja disponibilidad de combustible para la generación crearon una situación aún peor que en 2021 en ese servicio que vino a resolverse pero no definitivamente a fines de año donde se logró estabilizar el servicio y promete una situación mejor en 2023, aunque serán necesarias nuevas reparaciones e inversiones.
Las transformaciones no han sido detenidas por la crisis, aunque hay quienes piden mayor velocidad: la nueva Constitución cubana de 2019, aprobada casi con el 87% de los votos, reconoce el mercado, que el Estado “regula y controla” “en función de los intereses de la sociedad”, así como a las empresas de propiedad privada, de las que desde fines de 2021 han sido aprobadas más de 6000. Incluso, una declaración reciente de un alto funcionario de la cancillería cubana, aunque denunció que Estados Unidos identifica ese sector privado “como un instrumento de subversión política” dijo que Cuba no se va a oponer a esa utilización si Washington hace excepciones al bloqueo para promoverlo en detrimento del sector público de la economía isleña.
La inflación no ha bajado y se anuncia un programa de estabilización macroeconómica, del que aun no se conocen detalles pero que tiene el difícil reto de ajustar un elevado déficit fiscal sin terapias de choque, desempleo masivo y cierre de servicios públicos que son universales y gratuitos en la isla, además de solucionar contradicciones como un subsidio a la gasolina que hace que, siendo un país no petrolero, en Cuba se venda ese combustible a uno de los precios más bajos del mundo.
A intervenir en la última sesión del año en el parlamento cubano, el Presidente Díaz-Canel prometió un 2023 “retador” pero mejor. Varios elementos le dan la razón con un entorno internacional más favorable. Una exitosa gira realizada a fines de noviembre por Rusia, China, Argelia y Turquía permitió restaurar lazos económicos, renovar suministros incluyendo energéticos, abrir nuevas posibilidades de inversión y cancelar deudas y retomar créditos. En el entorno latinoamericano crecen las relaciones económicas con México que compra vacunas cubanas contra la COVID y tiene contratados más de 600 médicos isleños, mientras el regreso de Lula al gobierno en Brasil vuelve a abrir posibilidades de retomar los acuerdos cancelados por Bolsonaro. La recuperación económica venezolana es un hecho, con un crecimiento de más del 13% y la “Administración de [Juan] Guaidó” ya no la reconocen ni sus antiguos correligionarios. En lo interno, una tangible mejoría de la generación eléctrica resulta básica para garantizar el crecimiento del turismo, la estabilidad social y la ansiada reanimación de la economía.
Las prioridades definidas por el Presidente han sido claras: desatar las verdaderas reservas y potencialidades que hay en la sociedad; destrabar las fuerzas productivas; propiciar más los incentivos y menos las trabas y las prohibiciones que frenan el desarrollo; el necesario e impostergable despegue de la empresa estatal socialista, que la agricultura dé respuesta a la producción de alimentos; y dar mejor atención a las personas en situación de vulnerabilidad. Esto en línea con las expectativas populares en el enfrentamiento efectivo al delito, a la corrupción, a las ilegalidades, y contra la burocracia; el respeto a la ley, el orden y la decencia; que se tengan en cuenta los consensos y la participación del pueblo para decidir; que se acuda a la innovación; que se haga un ejercicio democrático del poder popular; que todo el mundo rinda cuenta; que los jóvenes no abandonen el país y no dejen de participar en la Revolución.
Grandes desafíos en medio de una agresión que no ha cesado pero que en el nuevo año ofrece a Cuba mejores oportunidades para vencerlos si la autocrítica deriva en fuerza trasformadora. No solo ella lo necesita, también Latinoamérica y el mundo. Sus enemigos lo saben y por eso no cesarán en tratar de descarrilarle del camino, pero ya no hay modo de intentar hacerle más daño, y esa es la oportunidad de los que han sabido estar en el límite y pueden este año comenzar a caminar por un túnel donde de modo muy tenue, empieza a verse una luz.
(Al Mayadeen)