Il Cile e la proprietà privata

A. Riccio   https://nostramerica.wordpress.com

estudiantes-asesinados-chile-270x250Nulla fotografa il Cile meglio dell’assurdo omicidio di due giovani dimostranti a Valparaiso nei giorni scorsi: Ezequiel Barbarán, di 18 anni, e Diego Guzmán, di 24 anni sono stati freddati con una pistola di grande potenza dal ventenne Giuseppe Briganti Weber, proprietario dell’edificio sul cui muro i due studenti, durante una manifestazione di protesta studentesca, intendevano scrivere uno slogan, danneggiando in tal modo una proprietà privata.

Toccare la proprietà privata, in Cile, è davvero un delitto. Paese di fortissima tradizione alto borghese, la classe dominante cilena è formata dal grande capitale di rendita, dai possessori dei grandi mezzi di comunicazione, dalle alte gerarchie delle Forze Armate, dalla cupola dei partiti politici che, contrariamente a quanto accade in altre parti del mondo, sono ancora saldi e organizzati.

In un paese con questa tradizione, Salvador Allende e il suo progetto politico risultavano scandalosi, un’enormità castigata dopo pochi anni con uno dei golpe militari più cruento e implacabile che si rammenti. In Italia ricordiamo bene quei giorni drammatici, avendo il nostro paese assunto un comportamento encomiabile per aiutare i tanti esiliati costretti alla fuga per scampare alla morte. La DC al governo, il PSI e un forte PCI si erano trovati concordi nell’aiutare le vittime di un’esperienza politica abbastanza vicina alla nostra stessa esperienza.

Il regime del generale Augusto Pinochet non può essere spiegato senza tener conto della tradizione alto borghese e verticista della società cilena che si è liberata del dittatore solo dopo diciassette anni di regime terroristico, quando quel governo era diventato ormai impresentabile anche per il miglior alleato del paese, gli Stati Uniti d’America. La classe dominante cilena ha esibito sempre orgogliosamente onestà e rispetto delle regole di governo, ma in realtà è sempre riuscita a sistemare i propri rappresentanti nei posti chiave della produzione e dell’economia. La stessa Presidenta Bachelet, eletta per la seconda volta, per quanto appartenente a una famiglia vittima di torture e lei stessa costretta all’esilio nella ex Repubblica Democratica Tedesca, all’epoca in prima linea per offrire solidarietà alle vittime della dittatura, appartiene a quella cupola e fa parte di quella oligarchia. Il rimpasto in atto nel suo gabinetto mostra proprio la volontà di mantenere un governo rappresentativo degli interessi oligarchici.

Unico paese in America Latina a poter esibire parametri di macroeconomia non da Terzo Mondo, il Cile è stato, ed è ancora, un diligente allievo dei Chicago Boys e un alfiere del neoliberismo. Gli indios mapuche, gli studenti, gli inurbati, il sottoproletariato, i piccoli e piccolissimi commercianti, che si arrangino.

Tuttavia, una lenta e testarda battaglia per la memoria e per la jaragiustizia, comincia ad incassare qualche soddisfazione: la famiglia di Víctor Jara, il celebre cantautore liquidato con un colpo alla nuca nello stadio del Cile nel settembre 1973, ha continuato a chiedere giustizia, ha ottenuto l’individuazione e il riconoscimento da parte di un testimone di colui che ha sparato il colpo e adesso il Tribunale cileno ha ottenuto che un giudice della Florida, dove l’assassino Pedro Pablo Barrientos vive da anni, lo processi per torture ed esecuzione extragiudiziale. Trenta agenti della polizia segreta di Pinochet sono attualmente sotto processo per la sparizione e il sequestro, nel 1974, di Luis Rivas, studente di giornalismo, mentre il generale Manuel Contreras, ex capo della polizia segreta -DINA- rischia circa quattrocento anni di detenzione sommando i vari processi che lo vedono imputato di violazioni dei diritti umani.

Meno drammatica, ma molto simbolica è la sentenza emessa dal Tribunale di Etica dell’Ordine dei Giornalisti cileni: il direttore e proprietario del più importante quotidiano, El Mercurio, Agustín Edwards, rampollo di una delle famiglie più potenti del paese, viene condannato per aver collaborato con la CIA negli anni del golpe e della dittatura. La condanna ha un valore puramente etico, ma è assai simbolica perché tocca una classe e dei comportamenti sui quali il silenzio era d’obbligo.

Una parete imbrattata ha scatenato nel ventenne Giuseppe Briganti un esasperato senso della difesa della proprietà. Adesso c’è da augurarsi che non si debbano aspettare decine di anni per rendere giustizia a Ezequiel Barbarán e a Diego Guzmán.

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