Le mobilitazioni corporative iniziate con forza quest’anno cercano di presentarle con un unico sfondo e contesto: la precarietà della vita e il tragico deprezzamento del valore del salario in valuta internazionale. Ma, è impossibile ipotizzare che dietro questo processo ci siano altri elementi che possano suggerire l’idea di una nuova agenda di conflitto stia prendendo forma in un momento in cui, dopo diversi anni, i partiti politici di opposizione hanno raggiunto il loro punto storico più basso?
Ecco, forse, alcuni punti che illuminano altre zone volutamente oscurate del momento politico attuale.
- DARGLI VOLTO: IL QUADRO CONCETTUALE DELL’AGENDA
Il panorama dei partiti oppositori è un infelice deserto nevrotico. E questa verità non si certifica a partire dalla scadenza pseudo-ufficiale dell’«interim»; già veniva da prima e quel vuoto era ed è verificato da tutti gli osservatori politici: il governo, gli USA, i suoi satelliti, la popolazione in generale e soprattutto gli stessi partiti, quindi questi ultimi operano con la abituale disonestà.
Il feticcio del cambio di regime con mezzi violenti, extra (o para) politici come unico modo, la “pressione e rottura” con sostegno straniero, il balbettio a metà in materia di riconoscimento sia della sconfitta che dell’esistenza dei loro antagonisti formali (il governo), li ha posti nella dura situazione odierna, dove neppure per le primarie trovano una viabilità stabile nel perseguimento degli obiettivi.
Prodotto dell’usura, il fallimento e l’autoumiliazione quotidianamente rimane patente nell’incapacità dell’establishment dell’opposizione di cogliere il momento politico e adattarsi alle sue nuove coordinate. La relativa stabilizzazione, soprattutto politica e, per un periodo, quella economica, ha ulteriormente accentuato questa deriva operativa ed emotiva.
Tuttavia, né in politica né nella guerra i vuoti sono duraturi e dalla metà dello scorso anno l’attenzione si è spostata.
Per alcuni analisti dell’opposizione, meno tormentati da vie massimaliste del rovesciamento espresso, “dobbiamo affrontare ‘i problemi della gente’ per raggiungere la libertà, non il contrario, nella situazione concreta del Venezuela”. Queste posizioni realistiche affermano e permeano uno strato di opinione politica professionale che riafferma e rivendica azioni graduali, alternate, ma con il desiderio che siano gli stessi partiti a incanalare la situazione.
Al centro di questa critica e di questa proposta, si rileva che i partiti egemonici (oggi sotto la frattura G3 + Voluntad Popular) non sono stati capaci, dal 2013, di strutturare un “tessuto politico” che organicamente si trovi infilato ai problemi della società al di fuori dei partiti e, quindi, è incapace di reindirizzare l’ “energia” dei malesseri socioeconomici del momento.
A partire dalla metà del 2022 si può individuare un punto di svolta dove un’altra sfera della società “organizzata” ha cominciato a superare lo stesso quadro che, dal 2013 al 2021, più o meno, era monopolio del G4 come rappresentazione quasi esclusiva dell’opposizione. politica.
La reazione e la risposta alle indicazioni dell’Onapre e quanto in esso colpiva benefici e altri elementi abituati a riflettersi nei contratti collettivi, soprattutto della pubblica amministrazione, e al suo interno, nella corporazione docente, ha fatto sì che insieme alle manifestazioni legittime contro la precarizzazione dei benefici che portava le istruzioni si esprimessero con maggior presenza organizzativa queste istanze organizzate, presumibilmente non partitiche: corporazioni e sindacati.
Questo non è stato un fulmine a ciel sereno (come si vedrà in seguito), ma da quel momento ad oggi l’attenzione e la mobilità politica effettivamente si è andata spostando verso queste istanze, indicando di per sé i partiti (e i circoli economici che tradizionalmente li accompagnano) come parte del problema, parte dell’élite nel quadro economico attuale, con la dualità delle monete e gli elementi di disuguaglianza inerenti alla circolazione e accesso del dollaro.
Come aggravante, la frattura dell’instabile equilibrio della fascia in cui si trovava il dollaro contro il bolivar accentua e certifica sia i veri e indiscutibili mali che affliggono il Paese sia la capacità di utilizzarli come strumento di “lotta” e organizzazione.
“Fare politica con le regole del sistema autoritario per batterle, in due piatti, piuttosto che approvare un’istanza che non trova riscontro nella storia politica venezuelana”, dice l’analista sopra citato.
Un’altra dissonanza viene a delimitare ulteriormente i vettori del conflitto, mentre si cavalca un’altra situazione di concreta disuguaglianza che anch’essa si è andata accumulando nel tempo: la divisione tra Caracas e il resto del Paese, dove la precarietà della vita e gli elementi che accentuano tutti gli altri si esprimono con maggiore forza e drammaticità.
Primo è stata la “ribellione delle regioni”, un riflesso all’interno del partitismo che ha minacciato una rottura tra i vertici di Caracas e delle regioni nel quadro delle elezioni del 2021 (con i suoi risultati), e ora brodo di massa critica e forza in un movimento centripeto, dalla periferia verso il centro, dall’esterno all’interno, se si considera Caracas come quest’ultimo. E questo è offerto dalle condizioni materiali, e dallo stridore con cui si esprimono con maggior forza fuori dalla capitale.
Tuttavia, è a partire dall’inizio di quest’anno che il “volto politico” che guida l’agenda assume i contorni definitivi dell’agenda di conflitto. Sta già cessando di essere un piano in cerca di un soggetto politico. Tale “soggetto” è un’espressione, corporativo e sindacalizzato, come “espressione d’avanguardia” della “società civile” ha assunto tale ruolo.
Insegnanti, sindacati operai di vario genere, dipendenti pubblici (organizzati e non) più a riposo e pensionati ne sono la manifestazione. Alcuni dirigenti politici tradizionali e il Partito Comunista non superano la loro abituale condizione di volgare appendice.
- LA CORPORAZIONE SOSTITUISCE I PARTITI: LA (NON TANTO DISCRETA) CERNIERA CON IL POLITICO
Non c’è problema più pressante nel Paese del valore del salario (in bolivar) e della conseguente crisi del potere d’acquisto della maggioranza del Paese. Come neppure lo è il rintracciare le principali cause che questo sia così, che possono essere perfettamente individuate negli shock economici prodotti dall’assedio del Paese in anni di disgregazione, all’enorme diminuzione degli ingressi, alla proscrizione nazionale del sistema finanziario “internazionale” (USA-europea), ecc.
Ma è anche vero che gli elementi centrali della ripresa economica e dell’accesso ai beni derivanti dalla doppia moneta hanno anche accentuato il divario di disuguaglianza rispetto alle possibilità di vivere per coloro che dipendono esclusivamente dal vulnerato bolivar.
A ciò, forse, va aggiunta l’afasia discorsiva inerente alla capacità di accesso del “Venezuela premium” mentre le sue varie ostentazioni si manifestano, a livelli scandalosi, sulle reti sociali. Il lato oscuro del meme “Venezuela si è aggiustato”.
“Oggi i 24 stati del Paese si sono mobilitati e stiamo dando un messaggio chiaro a Nicolás Maduro: i lavoratori esigono salari e pensioni indicizzati al costo del paniere di base. Non accetteremo quegli accordi tra Fedecámaras e il Governo, che viola il nostro diritto ad avere un salario dignitoso. Continueremo ad annunciare le mobilitazioni”.
Queste dichiarazioni (dove il grassetto è nostro) sono state rilasciate da Ana Rosario Contreras, presidentessa del Collegio delle Infermiere di Caracas, il 23 gennaio, riassumendo, in qualche modo, la linea centrale del discorso che si è dispiegato durante le mobilitazioni del mese di gennaio.
In questo si delimita con chiarezza da dove passa la linea di contatto del conflitto: il nuovo “loro e noi” è un presunto “patto” tra “i vertici” del settore pubblico e del privato, il/la portavoce dell’esclusione e dell’abbandono. Mette questi “soggetti politici” sulla scena e sullo scenario.
Ma questo campione dichiarativo è preso in sostanza da chi fa notare, ma in ogni caso chi vuole cercare le modalità di enunciare il discorso del momento si troveranno, in termini rivendicativi, con esattamente le stesse linee guida: stipendio e pensioni “da morte”, paniere di base, vita dignitosa e adeguata alla Costituzione (articolo 91), indicizzazione e, naturalmente, le dimissioni del Presidente.
Ma aggiungendo un lato che è poco commentato, possiamo dargli maggiore profondità di campo e situarlo non come un movimento esclusivamente rivendicativo e trovare lo stato d’animo dell’agenda stessa di conflitto.
A partire dal più elementare, alla luce di questo e di altri discorsi, la deliberata e concreta omissione delle cause estere alla penuria economica (un decennio di guerra e sanzioni) cominciano già a situare, politicamente, quello stesso luogo di enunciazione che si vuole far sembrare come fosse estraneo alla politica e contro una presunta politicizzazione, sottolineando elementi nettamente “sociali”.
Inutile dire che ciò ha avuto impatto nell’onda media e lunga della nostra storia recente in settori critici per la nazione, sostenuti fondamentalmente dalla spesa pubblica, come la sanità e l’istruzione, dove si può stabilire qualsiasi rapporto con indicatori devastanti omettendo mendacemente un gran numero importante di cause realmente esistenti ma non menzionate.
“Gennaio finisce con il Venezuela in fiamme da tutte e quattro le parti dopo le proteste per salari migliori”, si legge in un titolo de La Patilla, del 30 gennaio. Detta nota, firmata dal “corrispondente” del portale, fa una rassegna nazionale di dette mobilitazioni, raccogliendo dichiarazioni e descrizioni di situazioni in tutta la geografia nazionale, naturalmente senza qualificare i veri gradi di intensità (variabili una volta verificati) in tutto il paese. L’importante è stabilire la narrazione: “Venezuela incendiato sui quattro i lati”.
Ogni agenda di conflitto e di rivendicazioni è inevitabilmente basata su elementi di malcontento veritieri, concreti e specifici (il valore dello stipendio e la disuguaglianza dell’acquisto dollarizzata), ma, allo stesso modo, non è meno vero che su questa base si innesta e cavalcano i metodi politici di azione e organizzazione. Ci sono molti precedenti, sia in Venezuela che nel mondo.
E in qualsiasi punto di questo scenario, non è difficile immaginare che tutti gli elementi centrali per i quali le manifestazioni sono inizialmente giustificate passino, come è consuetudine, a un molto secondario livello, se non al vero e proprio oblio.
Questo, da tutto ciò che è stato recensito, non sembra essere molto diverso. Mobilitazioni nazionali sostenute nel tempo, con accumulo di forze e coordinamento regionale in termini di modalità e tattiche di azione (comunicazioni; creazione di “comitati di conflitto”; raccolta, registrazione e documentazione della problematica da parte di organizzazioni specializzate).
Qualcosa di questa portata richiede un livello di formazione, coordinamento (operativo e logistico) e, anche, molto importante, budget. Una cosa sono le marce basate esclusivamente sulla disperazione rivendicativa e altra molto diversa il mantenere azioni di piazza per un mese, a livello nazionale, con prospettive di escalation (rotta verso uno sciopero nazionale) e con un notevole grado di visibilità mediatica che dà il tono alla storia. Sulle espressioni organiche che fungono da base c’è anche un grado di artificiosità non ancora del tutto evidente.
Come ogni operazione di questa natura, l’integrità del patto di verosimiglianza e le risorse narrative sono essenziali per preservare la coesione, sia a livello operativo che simbolico/discorsivo.
A questo punto e sotto questo sistema di segnali esistono diversi vantaggi operativi.
1) La Rivoluzione Bolivariana non ha mai avuto una politica di successo a livello di corporazioni e collegi (pubblici e/o privati), 2) la forza della rivendicazione (salario e precarietà) va più veloce delle macro spiegazioni (il Venezuela è ancora sanzionato e in guerra) e, 3) dal 2018, con il pretesto degli “aiuti umanitari” mediati dall’ONU, sono entrate un’ingente quantità di risorse finanziarie, non controllabili, che difficilmente sono state destinate ai presunti aiuti. Questa apertura di paratoie finanzia l’astroturfing (ndt campagna di relazioni pubbliche) che oggi è maturato e si pone in marcia.
Anche questo scenario presenta elementi di novità. In primo luogo, il centro della rivendicazione (almeno fino ad ora) pone lo Stato a una velocità minore tra la spiegazione della crisi, come si vive e perché si denuncia.
In secondo luogo, si è detto, coinvolge attori politici che finora o operavano in secondo piano o erano relegati a decorazione e scenografia, lasciando sullo sfondo le convenzioni del formalmente politico, ma “senza convertirsi in un appello a ‘togliere di mezzo Maduro” immediatamente. E una volta raggiunti gli obiettivi lavorativi specifici, il promemoria può essere la motivazione per altre mobilitazioni”, come ha scritto un altro virginale e asettico osservatore dell’opposizione a metà dello scorso anno.
Opera, infine, su una nuova estetizzazione che ora salta completamente il patiquín (bellimbusto ndt) di partito a una dirigenza apparentemente di base (prendendo Guaidó, sullo stesso piano del fenotipico, come punto intermedio tra l’uno e l’altro), cercando di fare lo stesso sforzo della novità che copre o nasconde ciò che è strettamente politico.
La sintesi più completa e riuscita di questo quadro è, in assoluto, la dirigente insegnante e sindacale Elsa Castillo. Carismatica, intelligente, volto del popolo e (essendo in pensione) con la capacità di muoversi. Tuttavia, la signora Castillo rappresenta anche i limiti del costrutto: proviene dal ramo corporativo di Voluntad Popular e non nega la possibilità di essere lei stessa candidata alla presidenza, dell’opposizione che lancia una “chioccia da cova” come candidata contro Nicolás Maduro.
“Posso simpatizzare con chi voglio. Sono adulta, sono maggiorenne. Non ho negato a nessuno quando facevo militanza politica, e in questo momento non ce l’ho. Lo direi, e basta, perché chiunque abbia una militanza politica, ha una convinzione”, ha detto Castillo alla giornalista Vanessa Davies.
Visto così, in un certo senso, è difficile evitare le risonanze storiche che questo schema di mobilitazione e rappresentanza ha con il sindacato Solidarnosc polacco, negli anni ’80, esso stesso un movimento apparentemente rinnovatore e “autonomo” ma con un forte potere economico e di direzione degli USA e dell’occidente transatlantico.
- BILANCIO E “AIUTI UMANITARI”
Da un lato, l’USAID dice in modo manifesto che, dal 2018, ha iniziato a finanziare e dare soldi a ONG che potessero canalizzare i diversi “aiuti umanitari” in tutta la geografia venezuelana in diversi programmi. Solo, secondo i loro stessi dati, in alimentazione, sanità, igiene, “ripresa economica e sistemi di mercato” e protezione, sono stati erogati, fino al 2022, 293 milioni e 900mila $, e qui appena si rassegna quanto esplicitamente dichiarato, di una cifra che raggiunge i 500 miliardi in termini globali.
Su un altro fronte, l’ex segretario di Stato USA, Mike Pompeo, afferma senza alcuna vergogna che, nel 2019 (un anno dopo l’apertura delle porte), sono stati stanziati un miliardo di $ in presunti “aiuti umanitari” (p.366 delle sue orribili memorie).
D’altra parte la NED, nel 2021, ha messo nel Paese quasi 5 milioni di $. Resta da vedere, quando nella seconda settimana di febbraio pubblicheranno i numeri per il 2022, fino a che punto è arrivata la cifra lo scorso anno, ma disaggregando alcune voci del 2021, potremmo avvicinarci a un’idea di quanto si è “investito”, proprio nell’addestramento e nella “formazione” nei fronti di azione che oggi dominano l’arena pubblica.
Dei 47 fronti o focos a cui sono stati destinati il finanziamento, evidenziando solo quattro di essi, è possibile avere un’idea della portata e priorità su cui si concentra la NED.
La cifra più alta del disaggregato, provenienti dal Centro Internazionale per l’Impresa Privata (CIPE), una delle quattro componenti centrali della NED, sono stati stanziati 353038 $ con lo scopo di “sviluppare un ambiente favorevole alla democrazia”, costruendo attività che ” costruiscano consenso” che offrano “spazi di dialogo democratico a livello locale e regionale”. Vale la pena dire che si tratta anche di attivare “il sostegno popolare alla democrazia e sviluppare la leadership nel settore privato e nella società civile”.
Il CIPE è anche, diciamo, il braccio imprenditoriale e privatizzatore della NED, con particolare attenzione all’attività sindacale.
Al secondo posto per volume di investimenti (300000 $) c’è la voce “promuovere valori democratici della cittadinanza attraverso iniziative comunitarie”, questo patrocinato dall’International Republican Institute (IRI), un’altra delle braccia centrali della NED. Qui, i partner dell’IRI cercano di sostenere la “resilienza comunitaria”, insegnando “ai membri della comunità le competenze per implementare” iniziative che promuovano “valori che rafforzano la libertà economica, la coesione sociale e il processo decisionale indipendente… in ultima istanza contribuendo alla preservazione e recupero degli spazi democratici nel Paese, che sono essenziali in ogni transizione democratica”.
Altra voce sufficientemente descrittiva, anche se non rientra tra i tre importi più alti, è il “rafforzamento delle reti regionali di cittadini”, che con 143mila $ (nel 2021) si propone “rafforzare e mobilitare una rete di portata nazionale di cittadini a sostegno del cambio democratico in Venezuela. I cittadini si impegneranno in attività nazionali e regionali per promuovere una risoluzione pacifica e costituzionale della crisi in Venezuela. Attraverso valutazioni in loco e seminari di formazione, piattaforme regionali di cittadini saranno articolate e rafforzate”.
Una quarta voce da rivedere sarebbero i 160000 $ che, quell’anno, sono stati stanziati per “rafforzare e responsabilizzare una rete di dirigenti donne” in otto stati (che non specifica) nelle comunità a basso reddito per formare altre donne ai “valori democratici”, sostenerle nella rete di leadership e monitorare la situazione dei diritti umani.
Questi quattro punti, in assenza di spazio per analizzare i restanti 43, ci danno già notizie del tipo di schema di azione (abbastanza comune, tra l’altro) che la NED ha pianificato nel 2021 e che probabilmente ha intensificato nel 2022.
Visto così, quando alcune cose cercano di abbagliare e scioccare più del dovuto, in un ambiente dove proprio si denuncia la mancanza di risorse, basta vedere dove va a finire il denaro, soprattutto se accompagnato dal cognome “umanitario”
Di fronte a una serie di eventi politici ed economici di peso che coinvolgono il dialogo politico in Messico, lo sblocco di fondi per far fronte a emergenze urgenti proprio in settori come sanità, istruzione e servizi, sullo sfondo dell’esecuzione pilota dell’accordo con Chevron e Venezuela e con il calendario delle elezioni presidenziali tra un solo anno, il progressivo riscaldamento della piazza con argomenti apparentemente forti, tutto sembra essere più chiaro.
Ogni volta che queste tattiche di pressione sono state esplicitamente raccomandate in quella che fino ad oggi rappresenta la tabella di marcia pensata in Venezuela dentro questo macro contesto.
È un piano. È un programma. Ha i suoi attori. Ed è in marcia.
¿LAS PROTESTAS GREMIALES CONSTITUYEN LA NUEVA AGENDA DE CONFLICTO?
Las movilizaciones gremiales que iniciaron con fuerza este año tratan de presentarlas con un solo trasfondo y contexto: la precariedad de la vida y la trágica depreciación del valor del salario en divisa internacional. Pero, ¿es imposible asumir que detrás de ese proceso existen otros elementos que pudieran sugerir la idea de una nueva agenda de conflicto que se viene vertebrando en un punto en que luego de varios años los partidos políticos opositores alcanzaron su punto histórico más bajo?
Aquí, tal vez, unos puntos que iluminan otras zonas deliberadamente oscurecidas del momento político actual.
1. PONERLE ROSTRO: EL MARCO CONCEPTUAL DE LA AGENDA
El panorama de los partidos opositores es un infeliz desierto neurótico. Y esta verdad no se certifica a partir de la expiración seudo-oficial del “interinato”; ya venía de antes y ese vacío era y es constatado por todos los observadores políticos: el gobierno, Estados Unidos, sus satélites, la población en general y en especial los propios partidos, así estos últimos operan con la deshonestidad acostumbrada.
El fetiche del cambio de régimen por medios violentos, extra(o para)políticos como única vía, el “presión y quiebre” con apoyo extranjero, el gagueo a medias en materia de reconocimiento tanto de la derrota como de la existencia de sus antagónicos formales (el gobierno), los ha colocado en la situación áspera hoy en día, donde ni para las primarias encuentran una viabilidad estable en la prosecución de objetivos.
Producto del desgaste, el fracaso y la autohumillación diariamente queda patentada la incapacidad del establishment opositor de asir el momento político y adaptarse a sus nuevas coordenadas. La relativa estabilización principalmente política y, por un lapso, la económica, acentuó aún más esta deriva operativa y emocional.
Sin embargo, ni en política ni en la guerra los vacíos son duraderos, y desde mediados del año pasado el foco se ha venido desplazando.
Para algunos analistas opositores menos atormentados con las vías maximalistas del derrocamiento exprés “hay que abordar ‘los problemas de la gente’ para llegar a la libertad, no al revés, en la situación concreta de Venezuela”. Esas posiciones realistas afirman y permean una capa de la opinión política profesional que reafirma y reivindica acciones graduales, alternadas, pero con el deseo de que sean los propios partidos quienes canalicen la situación.
En el centro de esta crítica y esta propuesta se señala que los partidos hegemónicos (ahora bajo la fractura G3+Voluntad Popular) no fueron capaces, desde 2013, de vertebrar un “tejido político” que orgánicamente se encuentre enhebrado a los problemas de la sociedad fuera de los partidos y, por lo tanto, está discapacitado para reconducir la “energía” de los malestares socioeconómicos del momento.
Desde mediados de 2022, se puede identificar un punto de inflexión donde otra esfera de la sociedad “organizada” comenzó a rebasar el propio marco que, de 2013 hasta 2021, más o menos, era el monopolio del G4 como representación casi exclusiva de la oposición política.
La reacción y respuesta al instructivo de la Onapre y lo que en ello afectaba beneficios y otros elementos acostumbrados a reflejarse en los contratos colectivos, en especial de la administración pública, y dentro de ella, en el gremio docente, hizo que junto a las manifestaciones legítimas en contra de la precarización de beneficios que traía el instructivo también se expresaran con mayor presencia organizativa estas instancias organizadas, presuntamente no partidistas: gremios y sindicatos.
Esto tampoco fue un relámpago en cielo abierto (como se verá más adelante), pero a partir de ese momento y hasta la fecha, la atención y la movilidad política efectivamente se ha venido desplazando hacia estas instancias, de suyo señalando a los partidos (y los círculos económicos que tradicionalmente los acompañan) como parte del problema, parte de la élite en el marco económico actual, con la dualidad de divisas y los elementos de desigualdad inherentes a la circulación y acceso del dólar.
Como agravante, la fractura del equilibrio inestable de la banda en la que el dólar se encontraba frente al bolívar acentúa y certifica tanto los verdaderos e incuestionables males que aquejan al país y la capacidad de emplearlos como instrumento de “lucha” y organización.
“Hacer política con las reglas del sistema autoritario para ganarle, en dos platos, más que aprobar una instancia que no está soportada en la historia política venezolana”, afirma el analista citado más arriba.
Otra disonancia viene a delimitar aún más los vectores del conflicto, mientras se encabalga en otra situación de desigualdad concreta que también se ha venido acumulando en el tiempo: la división Caracas frente al resto del país, donde la precariedad de la vida y los elementos que acentúan todo lo demás se expresan con mayor contundencia y dramatismo.
Primero fue la “rebelión de las regiones”, un reflejo dentro del partidismo que amenazó con la ruptura entre las direcciones de Caracas y de las regiones en el marco de las elecciones de 2021 (con sus resultados), y ahora el caldo de cultivo de masa crítica y fuerza en un movimiento centrípeto, de la periferia hacia el centro, de afuera hacia adentro, si se considera a Caracas como esto último. Y esto lo ofrece las condiciones materiales, y la estridencia con que se expresan con mayor fuerza fuera de la capital.
No obstante, es a partir del inicio de este año que el “rostro político” que encabeza a la agenda asume los contornos definitivos de la agenda de conflicto. Ya está dejando de ser un plan en busca de un sujeto político. Dicho “sujeto”, es un decir, gremial y sindicalizado, como “expresión de vanguardia” de la “sociedad civil” ha asumido en forma ese rol.
Magisterio, sindicatos obreros de diverso signo, empleados públicos (organizados o no) más jubilados y pensionados son esa manifestación. Algunos dirigentes políticos tradicionales y el Partido Comunista no superan su condición habitual de vulgar apéndice.
2. LO GREMIAL DESPLAZA A LOS PARTIDOS: LA (NO TAN DISCRETA) BISAGRA CON LO POLÍTICO
No hay problema más apremiante en el país que el valor del salario (en bolívares) y la consiguiente crisis del poder adquisitivo de la mayoría del país. Como tampoco el rastrear las principales causas de que esto sea así, perfectamente localizables en los embates económicos producto del cerco al país durante años de disrupción, la descomunal disminución de los ingresos, la proscripción nacional del sistema financiero “internacional” (estadounidense-europeo), etc.
Pero tampoco es menos cierto que los elementos centrales de la recuperación económica y el acceso a bienes producto de la dualidad de divisas también ha acentuado la brecha de desigualdad respecto a las posibilidades de vivir para quienes dependen exclusivamente del vulnerado bolívar.
A esto, tal vez, se le debe agregar la afasia discursiva inherente a la capacidad de acceso de la “Venezuela premium” mientras que sus distintas ostentaciones se manifiestan, a niveles indignantes, en redes sociales. El lado oscuro del meme del “Venezuela se arregló”.
“Hoy los 24 estados del país están movilizados y le estamos dando un mensaje claro a Nicolás Maduro: los trabajadores exigimos salarios y pensiones indexadas al costo de la canasta básica. No vamos a aceptar esos convenios entre Fedecámaras y el Gobierno, que viola nuestro derecho a tener un salario digno. Vamos a seguir anunciando las movilizaciones”.
Estas declaraciones (donde el resaltado es nuestro) las emitió Ana Rosario Contreras, presidenta del Colegio de Enfermeras de Caracas el pasado 23 de enero, de alguna manera encapsulando la línea central del discurso que se ha desplegado a lo largo de las movilizaciones del mes de enero.
En ello se delimita con claridad por dónde pasa la línea de contacto del conflicto: el nuevo “ellos y nosotros” es un presunto “pacto” entre “las cúpulas” del sector público y el privado, el/la hablante desde la exclusión y el abandono. Sitúa sobre la escena y la escenografía a esos “sujetos políticos”.
Pero esta muestra declarativa se toma en esencia por quienes señala, pero en cualquier caso que se quiera buscar los modos de enunciar el discurso del momento se encontrarán, en términos reivindicativos, con exactamente las mismas pautas: salario y pensiones “de muerte”, canasta básica, vida digna y ajustada a la Constitución (artículo 91), indexación y, por supuesto, la renuncia del Presidente.
Pero al agregarle una arista poco comentada, podemos otorgarle mayor profundidad de campo y situarla no como un movimiento reivindicativo exclusivamente y encontrar ela la propia agenda de conflicto.
Comenzando por lo más elemental a la luz de ese y otros discursos, la deliberada y concreta omisión de las causas foráneas a la penuria económica (una década de guerra y sanciones) ya comienzan a situar, políticamente, ese mismo lugar de enunciación que se quiere hacer ver como que ajeno a lo político y en contra de una supuesta politización, realzando elementos netamente “sociales”.
Demás está decir lo que esto ha tenido de impacto en la onda media y larga de nuestra historia reciente en sectores críticos para la nación, sustentados fundamentalmente en el gasto público, como la salud y la educación, donde se puede establecer cualquier informe con indicadores devastadores mendazmente omitiendo un sinnúmero importante de causas realmente existentes mas no mencionadas.
“Finaliza enero con Venezuela encendida por los cuatro costados tras protestas por mejores salarios”, reza un titular de La Patilla del 30 de enero. Dicha nota, firmada por la “corresponsalía” del portal, hace un repaso nacional de dichas movilizaciones, acopiando declaraciones y descripción de situaciones a lo largo de toda la geografía nacional, por supuesto sin matizar los verdaderos grados de intensidad (variables al verificarse) en todo el país. Lo importante es establecer la narrativa: “Venezuela encendida por los cuatro costados”.
Toda agenda de conflicto y reivindicaciones de forma inesquivable se basa en elementos veraces, concretos y específicos de malestar (el valor del salario y la desigualdad bodegónica dolarizada), pero, del mismo modo, no es menos cierto que sobre esa base se empotra y encabalgan las métodos políticos de acción y organización. Precedentes existen de sobra, tanto en Venezuela como en el mundo.
Y en cualquier punto de este escenario no es difícil imaginar que todos los elementos centrales por los que inicialmente se justifican las manifestaciones pasen, como es costumbre, a un segundísimo plano, cuando no al olvido propiamente.
Este, por todo lo revisado, no parece ser muy distinto. Movilizaciones nacionales sostenidas en el tiempo, con acumulación de fuerza y coordinación regional en cuanto a los modos y tácticas de acción (comunicaciones; creación de “comités de conflicto”; acopio, registro y documentación de la problemática por organizaciones especializadas).
Algo de esta magnitud requiere un nivel de adiestramiento, coordinación (operativa y logística) y, también, muy importante, presupuesto. Una cosa son marchas basadas exclusivamente en la desesperación reivindicativa y otra muy distinta el mantener acciones de calle por un mes, a nivel nacional, con perspectivas a escalar (rumbo a un paro nacional) y con un considerable grado de exposición mediática marcando la pauta del relato. Sobra las expresiones orgánicas que funciona como base existe también un grado de artificiosidad todavía no del todo evidente.
Como toda operación de esta naturaleza, la integridad del pacto de verosimilitud y los recursos narrativos son fundamentales para preservar la cohesión, tanto a nivel operativo como simbólico/discursivo.
En este punto y bajo este sistema de señales existen varias ventajas operativas.
1) La Revolución Bolivariana nunca ha tenido una política exitosa a nivel de gremios y colegiaturas (públicas y/o privadas), 2) la contundencia de lo reivindicativo (el salario y la precariedad) va a una velocidad mayor a las explicaciones macro (Venezuela sigue sancionada y en guerra) y, 3) desde 2018, so pretexto de la “ayuda humanitaria” mediada por la ONU, ha entrado una ingente cantidad de recursos económicos, no auditables, que difícilmente han sido destinados a la presunta ayuda. Esa apertura de compuertas financia el astroturfing que hoy en día ha madurado y se pone en marcha.
Este escenario, también, presenta elementos novedosos. En primer lugar, el centro de la reivindicación (al menos hasta ahora) ubica al Estado a una velocidad inferior entre la explicación de la crisis, cómo se vive y por qué se denuncia.
En segundo lugar, se ha dicho, involucra actores políticos que hasta este momento, u operaban en un segundo plano o eran relegados a decoración y escenografía, dejando las convenciones de lo formalmente político en un segundo plano, pero “sin convertirse en un llamado a ‘sacar a Maduro’ de inmediato. Y una vez que se logren los objetivos laborales puntuales, el recordatorio acaso sea motivación para otras movilizaciones”, como escribía otro observador virginal y aséptico de la oposición a mediados del año pasado.
Por último, opera sobre una nueva estetización que ahora salta del todo del patiquín de partido a dirigencia aparentemente de base (tomando a Guaidó, sobre el mismo plano de lo fenotípico, como el punto intermedio entre uno y otro), tratando de hacer el mismo esfuerzo de la novedad que encubre o disimula lo estrictamente político.
La síntesis más acabada y lograda de este cuadro es, de largo, la dirigente magisterial y sindical Elsa Castillo. Carismática, inteligente, rostro de pueblo y (al ser jubilada) con capacidad de movilización. Sin embargo, la señora Castillo también representa los límites del constructo: proviene de la rama gremial de Voluntad Popular y no niega la posibilidad de ella misma ser presidenciable, de la oposición lanzar como candidato contra Nicolás Maduro a una “gallina clueca”.
“Yo puedo simpatizar con quien a mí me dé la gana. Yo soy adulta, soy mayor de edad. No le he negado a nadie cuando tuve militancia política, y en este momento no la tengo. La diría, y punto, porque el que tiene una militancia política tiene una convicción”, le dijo Castillo a la periodista Vanessa Davies.
Visto así, en cierto sentido, es difícil de esquivar las resonancias históricas que este esquema de movilización y representación alberga con el sindicato Solidaridad polaco en los años 1980, de suyo un movimiento en apariencia renovador y “autónomo” pero con una poderosa carga económica y de dirección de Estados Unidos y el occidente transatlántico.
3. PRESUPUESTO Y “AYUDA HUMANITARIA”
Por un lado, la USAID dice de forma manifiesta que desde 2018 ha comenzado a financiar y dar dinero a ONG que pudieran canalizar las distintas “ayudas humanitarias” a lo largo de la geogr afía venezolana en distintos programas. Solamente, según sus propias cifras, en alimentación, salud, higiene, “recuperación económica y sistemas de mercado” y protección se han desembolsado, hasta 2022, 293 millones 900 mil dólares, y aquí apenas se reseña lo explícitamente declarado, de una cifra que alcanza los 500 mil millones en términos globales.
En otro frente, el exsecretario de Estado estadounidense Mike Pompeo dice sin ningún empacho que en 2019 (un año después de la apertura de compuertas) se destinaron mil millones de dólares en presunta “ayuda humanitaria” (p.366 de sus espantosas memorias).
Por otro lado, la NED, en 2021, metió en el país casi 5 millones de dólares. Queda por ver, cuando en la segunda semana de febrero publiquen los números de 2022, hasta dónde alcanzó la cifra el año pasado, pero desagregando alguno de los ítems de 2021, pudiéramos aproximarnos a una idea de cuánto se ha “invertido”, precisamente, en adiestramiento y “formación” en los frentes de acción que hoy en día dominan la palestra pública.
De los 47 frentes o focos a los que le destinaron financiamiento, destacando apenas cuatro de ellos se puede tener noción del alcance y prioridades donde se enfocan la NED.
La cifra más alta del desagregado, proveniente del Centro Internacional para la Empresa Privada (CIPE, por sus siglas en inglés), uno de los cuatro componentes centrales de la NED, se destinaron 353 mil 38 dólares con el propósito de “desarrollar un ambiente propicio para la democracia”, construyendo actividades que “construyan consenso” que ofrezcan “espacios para el diálogo democrático en los niveles locales y regionales”. Vale decir que esto también es para activar “apoyo popular para la democracia y desarrollar liderazgos en el sector privado y la sociedad civil”.
El CIPE es, también, el brazo digamos empresarial y privatizador de la NED, con énfasis especial en la actividad sindical.
De segundo lugar en cuanto al volumen de inversión (300 mil dólares) está el ítem “promover valores democráticos de ciudadanía a través de iniciativas comunitarias”, este patrocinado por el Instituto Internacional Republicano (IRI, por sus siglas en inglés), otro de los brazos centrales de la NED. Aquí, los socios del IRI buscan apoyar la “resiliencia comunitaria”, enseñándoles “a miembros de la comunidad habilidades para implementar” iniciativas que promuevan “valores que fortalezcan la libertad económica, la cohesión social y la toma de decisiones independientes… en última instancia contribuyendo a la preservación y recuperación de espacios democráticos en el país, que son fundamentales en cualquier transición democrática”.
Otro ítem suficientemente descriptivo, así no se encuentre entre los tres montos más altos, es el “reforzamiento de redes regionales de ciudadanos”, que con 143 mil dólares (en 2021) se propone “fortalecer y movilizar una red de alcance nacional de ciudadanos en apoyo del cambio democrático en Venezuela. Los ciudadanos se involucrarán en actividades nacionales y regionales para promover una resolución pacífica y constitucional a la crisis en Venezuela. Mediante evaluaciones en el sitio y talleres de entrenamiento, plataformas regionales de ciudadanos serán articuladas y fortalecidas”.
Un cuarto ítem a reseñar serían los 160 mil dólares que ese año se destinaron a “fortalecer y empoderar a una red de líderes mujeres” en ocho estados (que no especifica) en comunidades de bajos ingresos para entrenar a otras mujeres en “valores democráticos”, apoyarlas en la red de liderazgos y monitorear la situación de derechos humanos.
Estos cuatro puntos, a falta de espacio para analizar los 43 restantes, ya nos dan noticia del tipo de esquema de acción (bastante habitual, por lo demás) que la NED se planteó en 2021 y que probablemente escaló en 2022.
Visto así, cuando algunas cosas buscan deslumbrar y estremecer más de la cuenta, en un entorno donde precisamente se denuncia la carencia de recursos, basta con ver por dónde es que está pasando el dinero, sobre todo si viene acompañado del apellido “humanitaria”.
Frente a una secuencia de eventos políticos y económicos de peso que involucran el diálogo político en México, la liberación de fondos para atender las emergencias apremiantes precisamente en sectores como salud, educación y servicios, con el telón de fondo de la ejecución-piloto del acuerdo con Chevron y Venezuela y con el calendario de elecciones presidenciales en apenas un año, el calentamiento de calle progresivo con argumentos en apariencia contundentes todo pareciera quedar más claro.
Toda vez cuando estas tácticas de presión quedaron explícitamente recomendadas en lo que hasta ahora representa la hoja de ruta pensada en Venezuela dentro de este contexto macro.
Es un plan. Es una agenda. Tiene sus actores. Y está en marcha.