Questo 15 febbraio ricorre il 125° anniversario dell’esplosione che distrusse la corazzata USS Maine nel porto dell’Avana nel 1898, dando inizio alla guerra ispano-americana. La vittoria sulla Spagna, ottenuta in soli cinque mesi, rese realtà un’ambizione USA che risaliva ad un secolo prima: il dominio su Cuba. Quel dominio durò mezzo secolo fino a quando Fidel Castro ne pose bruscamente fine nel 1959, ma lasciò un segno indelebile nella psiche dei politici di Washington: l’idea che Cuba non sia veramente una nazione sovrana bensì che appartenga legittimamente agli USA.
“Ho sempre considerato Cuba come l’aggiunta più interessante che si possa mai fare al nostro sistema di Stati”, scrisse Thomas Jefferson, che tentò senza successo di acquistare Cuba nel 1809. John Quincy Adams catturò il senso del diritto naturale di Washington, scrivendo nel 1823, “Se una mela, strappata dalla tempesta al suo albero natale, non può che cadere a terra, Cuba, forzatamente disgiunta dal proprio legame innaturale con la Spagna e incapace di sostenersi, non può che gravitare verso l’Unione Nordamericana”. Per tutto il XIX secolo, i successivi presidenti USA cercarono di abbindolare la Spagna a vendere Cuba, ma senza successo. Nel 1898 gli USA ne presero il controllo.
Cuba sarebbe stata annessa all’epoca, come Porto Rico, Guam e le Filippine, se non fosse stato per l’Emendamento Teller. Insieme alla dichiarazione di guerra alla Spagna, prometteva l’indipendenza di Cuba. Invece, dopo quattro anni di occupazione militare USA, a Cuba fu concessa una sorta di semi-sovranità ristretta dall’Emendamento Platt, imposto al nuovo governo cubano come condizione per il ritiro militare USA. Proibì a Cuba di stipulare trattati con paesi terzi a scapito degli interessi USA; ha fornì basi militari USA (compresa la Stazione Navale di Guantánamo, che oggi rimane un simbolo duraturo del rifiuto di Washington di riconoscere la sovranità cubana); e diede a Washington il diritto di intervenire militarmente a Cuba per mantenere l’ordine, cosa che fece nel 1906, 1912, 1917 e 1920.
Quando l’Emendamento Platt fu abrogato come parte della politica del buon vicinato del presidente Franklin D. Roosevelt, il dominio economico e politico degli USA era ben consolidato. Quando un governo nazionalista salì al potere, nel 1933, Washington ordinò sanzioni economiche e pressioni diplomatiche per progettare la sua fine in soli 100 giorni.
Un obiettivo centrale della rivoluzione di Fidel Castro era liberare Cuba dal dominio USA. Lo conseguì in breve tempo, espellendo la missione militare USA, evitando l’ambasciatore USA e nazionalizzando oltre un miliardo di dollari in proprietà USA. Washington rispose rompendo le relazioni diplomatiche nel 1961, ciò che ha dato luogo ad un divorzio la cui asprezza è durata da allora.
Nei decenni successivi, gli USA non hanno potuto disfarsi della sua ossessione di recuperare Cuba. Prima venne la “Guerra Segreta” paramilitare, negli anni ’60, e l’embargo economico tuttora in corso volto a rovesciare il governo cubano. Le successive leggi e politiche USA sono state sorprendentemente esplicite nel negare il diritto di Cuba a gestire i propri affari.
Il Liberty and Democratic Solidarity Act di Cuba del 1996 (noto anche come Helms-Burton Act) specifica un lungo elenco di condizioni che Cuba deve soddisfare prima che l’embargo possa essere revocato, compresa la sostituzione del suo sistema socialista con un’economia di libero mercato, l’installazione di un sistema politico multipartitico. con uguale accesso ai media per tutti e pagando risarcimenti non solo ai proprietari statunitensi le cui proprietà furono nazionalizzata dopo il 1959, ma anche ai cubano-americani. Il Titolo III conferisce ai precedenti proprietari il diritto di citare in giudizio presso un tribunale federale USA qualsiasi entità statunitense, cubana o straniera che faccia “uso vantaggioso” di quella proprietà. Queste disposizioni negano di fatto il diritto sovrano di Cuba di disporre di beni a Cuba che erano di proprietà, a quel tempo, di cittadini cubani.
PROBLEMA ATTUALE
Nel 2003, il presidente George W. Bush istituì una Commissione per l’Assistenza ad una Cuba Libera per “pianificare la transizione di Cuba”. Le prime 54 pagine del rapporto, delle 423, sono state un catalogo di misure “per ottenere una rapida fine della dittatura castrista”. Il resto è stato dedicato a dettagliare come gli USA avrebbero poi rifatto Cuba a propria immagine: legislativo, esecutivo, tribunali, forze armate, legge, mercati, servizi sociali, trasporti, comunicazioni e ambiente. Era un piano così dettagliato da far arrossire persino i colonialisti del XVIII secolo. Una seconda relazione, nel 2006 raccomandò più o meno lo stesso, il che portò il segretario generale dell’OSA, José Miguel Insulza, a commentare: “Non c’è transizione, e non è il suo paese”.
Nel 1986, Fidel Castro espresse l’auspicio di migliori relazioni tra Cuba e gli USA, ma solo “sulla base del più assoluto rispetto per la nostra condizione di Paese che non tollera ombre sulla sua indipendenza”. Nella sua prima dichiarazione pubblica dopo aver assunto la presidenza nel 2006, Raúl Castro riaffermò quella posizione, e in ogni discorso importante da allora, lui e il presidente Miguel Díaz-Canel hanno ribadito che migliori relazioni dipendono dal rispetto degli USA della sovranità di Cuba.
Lo scorso dicembre, il vice ministro degli Esteri Carlos Fernández de Cossio ha espresso la speranza che l’allentamento, da parte del presidente Biden, di alcune delle sanzioni del presidente Trump possa preannunciare un riscaldamento delle relazioni. Ma ha avvertito: “Il governo USA non può pretendere di trattare Cuba come se fosse parte del suo territorio o trattare Cuba come se fosse un dominio coloniale”.
Il presidente Biden è stato eloquente e fermo nella sua difesa del principio della sovranità nazionale in risposta all’invasione russa dell’Ucraina. “Sappiamo tutti qual è la posta in gioco”, ha detto Biden a dicembre. “L’idea stessa di sovranità, la Carta dell’ONU”. Ma il rispetto della sovranità nazionale deve essere universale per essere autentico, applicandosi sia agli avversari che agli alleati. Centoventicinque anni dopo che gli USA sono intervenuti per la prima volta a Cuba, mettendo da parte i combattenti per l’indipendenza che avevano combattuto le truppe spagnole dal 1895, è tempo – da molto tempo – che gli USA inizino a trattare Cuba come una nazione sovrana qual è.
(Tratto da The Nation / traduzione Cubadebate)
Cuba soberana, 125 años después
Por: William M. LeoGrande
Este 15 de febrero marca el 125 aniversario de la explosión que destruyó el acorazado USS Maine en el puerto de La Habana en 1898, dando inicio a la Guerra Hispanoamericana. La victoria sobre España, lograda en sólo cinco meses, hizo realidad una ambición estadounidense que se remontaba a un siglo atrás: el dominio sobre Cuba. Ese dominio duró medio siglo hasta que Fidel Castro lo puso fin abruptamente en 1959, pero dejó una marca indeleble en la psique de los políticos de Washington: la idea de que Cuba no es verdaderamente una nación soberana sino que pertenece legítimamente a los Estados Unidos.
“Siempre he considerado a Cuba como la adición más interesante que jamás podría hacerse a nuestro sistema de Estados”, escribió Thomas Jefferson , quien intentó sin éxito comprar Cuba en 1809. John Quincy Adams capturó el sentido de derecho natural de Washington, escribiendo en 1823, “Si una manzana, arrancada por la tempestad de su árbol nativo, no puede dejar de caer al suelo, Cuba, forzosamente desarticulada de su propia conexión antinatural con España e incapaz de sostenerse a sí misma, solo puede gravitar hacia la Unión Norteamericana”. A lo largo del siglo XIX, sucesivos presidentes estadounidenses intentaron engatusar a España para que vendiera Cuba, pero fue en vano. En 1898, Estados Unidos lo tomó.
Cuba se habría anexado en ese momento, como Puerto Rico, Guam y Filipinas, de no haber sido por la Enmienda Teller . Unido a la declaración de guerra contra España, prometía la independencia de Cuba. En cambio, después de cuatro años de ocupación militar estadounidense, a Cuba se le otorgó una especie de semi-soberanía restringida por la Enmienda Platt , impuesta al nuevo gobierno cubano como condición para la retirada militar estadounidense. Prohibió a Cuba celebrar tratados con terceros países en detrimento de los intereses estadounidenses; proporcionó bases militares estadounidenses (incluida la Estación Naval de Guantánamo, que sigue siendo hoy un símbolo perdurable de la negativa de Washington a reconocer la soberanía cubana); y le dio a Washington el derecho de intervenir militarmente en Cuba para mantener el orden, lo que hizo en 1906, 1912, 1917 y 1920.
Cuando se revocó la Enmienda Platt como parte de la política del Buen Vecino del presidente Franklin D. Roosevelt, el dominio económico y político de Estados Unidos estaba bien establecido. Cuando un gobierno nacionalista llegó al poder en 1933, Washington ordenó sanciones económicas y presión diplomática para diseñar su desaparición en solo 100 días.
Un objetivo central de la revolución de Fidel Castro era liberar a Cuba del dominio estadounidense. Lo logró en poco tiempo, expulsando a la misión militar de los EE. UU., evitando al embajador de los EE. UU. y nacionalizando más de mil millones de dólares en propiedades estadounidenses. Washington respondió rompiendo relaciones diplomáticas en 1961, lo que precipitó un divorcio cuya acritud ha durado desde entonces.
Durante las décadas siguientes, Estados Unidos no ha podido deshacerse de su obsesión por recuperar Cuba. Primero vino la “ Guerra Secreta ” paramilitar en la década de 1960 y el embargo económico, aún vigente, destinado a derrocar al gobierno de Cuba. Las leyes y políticas estadounidenses posteriores han sido asombrosamente explícitas al rechazar el derecho de Cuba a manejar sus propios asuntos.
La Ley de Libertad y Solidaridad Democrática de Cuba de 1996 (también conocida como Helms-Burton) especifica una larga lista de condiciones que Cuba debe cumplir antes de que se pueda levantar el embargo, incluida la sustitución de su sistema socialista por una economía de libre mercado, la instalación de un sistema político multipartidista. con igual acceso a los medios para todos, y pagando restitución no solo a los propietarios estadounidenses cuyas propiedades fueron nacionalizadas después de 1959, sino también a los cubanoamericanos. El Título III otorga a los propietarios anteriores el derecho de demandar en un tribunal federal de los EE. UU. a cualquier entidad estadounidense, cubana o extranjera que haga un “uso beneficioso” de esa propiedad. Estas disposiciones niegan efectivamente el derecho soberano de Cuba a disponer de bienes en Cuba que eran propiedad, en ese momento, de ciudadanos cubanos.
PROBLEMA ACTUAL
En 2003, el presidente George W. Bush estableció una Comisión para la Asistencia a una Cuba Libre para “planificar la transición de Cuba”. Las primeras 54 páginas del informe de 423 páginas fueron un catálogo de medidas “para lograr el fin expedito de la dictadura castrista”. El resto se dedicó a detallar cómo Estados Unidos luego reharía a Cuba a su propia imagen: legislativo, ejecutivo, tribunales, fuerzas armadas, leyes, mercados, servicios sociales, transporte, comunicaciones y medio ambiente. Era un plan tan detallado que hizo sonrojar incluso a los colonialistas del siglo XVIII. Un segundo informe en 2006 recomen dó más de lo mismo, lo que llevó al Secretario General de la OEA, José Miguel Insulza , a comentar: “No hay transición, y no es su país”.
En 1986, Fidel Castro expresó su esperanza de mejores relaciones entre Cuba y Estados Unidos, pero solo “sobre la base del más irrestricto respeto a nuestra condición de país que no tolera sombras en su independencia”. En su primera declaración pública después de asumir la presidencia en 2006, Raúl Castro reafirmó esa posición, y en todos los discursos importantes desde entonces, él y el presidente Miguel Díaz-Canel han reiterado que mejores relaciones dependen del respeto de Estados Unidos a la soberanía de Cuba.
En diciembre pasado, el viceministro de Relaciones Exteriores, Carlos Fernández de Cossio , expresó su esperanza de que la relajación por parte del presidente Biden de algunas de las sanciones del presidente Trump podría augurar un calentamiento de las relaciones. Pero advirtió: “El gobierno de Estados Unidos no puede pretender tratar a Cuba como si fuera parte de su territorio o tratar a Cuba como si fuera un dominio colonial”.
El presidente Biden ha sido elocuente y firme en su defensa del principio de la soberanía nacional en respuesta a la invasión rusa de Ucrania. “Todos sabemos lo que está en juego”, dijo Biden en diciembre. “La idea misma de soberanía, la Carta de la ONU”. Pero el respeto por la soberanía nacional debe ser universal para ser auténtico, aplicándose tanto a los adversarios como a los aliados. Ciento veinticinco años después de que Estados Unidos interviniera por primera vez en Cuba, haciendo a un lado a los luchadores por la independencia que habían estado luchando contra las tropas españolas desde 1895, es hora —hace mucho tiempo— de que Estados Unidos comience a tratar a Cuba como la nación soberana que es.
(Tomado de The Nation / Traducción Cubadebate)