Sette chiavi per comprendere ciò che sta accadendo

Sergio Alejandro Gómez http://www.granma.cu

3rondaSono trascorsi cinque mesi da quando i presidenti Barack Obama e Raul Castro hanno annunciato, lo scorso 17 dicembre, la loro intenzione di aprire un nuovo capitolo nelle relazioni tra USA e Cuba.


raul obama1Dopo uno storico incontro dei due leader al VII Vertice delle Americhe, oggi inizia a Washington il terzo round di colloqui a livello di funzionari per promuovere il ripristino delle relazioni diplomatiche e la riapertura delle ambasciate.

Issare le bandiere delle missioni di Washington e l’Avana sarebbe già di per sé una pietra miliare tra due nazioni vicine che, da più di mezzo secolo, non hanno nessi formali. Tuttavia, costituirebbe solo l’inizio di una fase molto più lunga e complessa.

Le incomprensioni e anche le manipolazioni intenzionali hanno accompagnato questo processo fin dall’inizio. Granma condivide con i suoi lettori sette chiavi per aiutare a capire le dimensioni di ciò che sta accadendo tra l’Avana e Washington e la fase che si avvicina.

1. I presidenti hanno preso una decisione, ciò che manca è attuarla

Il 17 dicembre, tra le altre notizie importanti per entrambi i popoli, Raul Castro e Barack Obama hanno annunciato, contemporaneamente, che avevano deciso ristabilire le relazioni diplomatiche tra Cuba e USA, rotte più di mezzo secolo fa.

Ora, la volontà dei presidenti deve passare attraverso i canali ufficiali di ogni paese per materializzare tale passo.

Le delegazioni che si sono riunite a l’Avana e Washington, in diverse sessioni di colloqui ed incontri tecnici, stanno portando avanti questo processo.

L’importanza di questi incontri è che stabiliscono le basi su cui vanno a funzionare i nessi diplomatici, per non incorrere  negli errori del passato.

2. Nessuna delle parti ha condizionato il ripristino delle relazioni

Una delle principali linee di attacco mediatico contro i colloqui è stato parlare di “condizionamenti” tra le parti.

Tanto i diplomatici cubani che statunitensi sono stati chiari che l’ambiente di lavoro è segnato dal rispetto e professionalità, in un clima di reciprocità e senza ingerenze.

Ciò che Cuba ha fatto fin dall’inizio è stato quello di segnalare aspetti che sarebbero necessari risolvere prima di fare un passo: la fine dell’ingiusta inclusione nella lista dei paesi terroristi e la situazione della sua missione a Washington, che non ha avuto i servizi bancari per più di un anno.

Entrambi gli aspetti sono in via di sua soluzione definitiva, come è trapelato.

Nel frattempo, i funzionari USA hanno parlato della mobilità dei loro rappresentanti nella futura ambasciata all’Avana (anche quella dei diplomatici cubani è limitata a Washington), e l’accesso dei cubani alle loro installazioni.

A questo proposito, Cuba ha sottolineato l’importanza di rispettare le Convenzioni di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche e Consolari, che stabiliscono l’importanza di rispettare le leggi del paese ospitante e non interferire nei suoi affari interni.

Una missione deve poter relazionarsi con le persone del paese ospitante, ma nel rispetto di precetti e norme, ha spiegato, di recente, un diplomatico cubano.

3. Il ripristino delle relazioni non è lo stesso della normalizzazione delle relazioni

Confondere il processo di ripristino dei nessi diplomatici con la normalizzazione delle relazioni, che è molto più lungo e complesso, è un altro errore comune.

Dopo aver ambasciate in entrambe le capitali, si aprirà la fase della complessa ricerca della “normalità” tra i due paesi che condividono una convulsa storia bilaterale.

Le autorità cubane hanno segnalato alcuni punti che si considerano essenziali per parlare di una normalizzazione: la revoca del blocco, la restituzione del territorio della Base Navale di Guantanamo, la fine delle trasmissioni illegali di radio e televisione, la cancellazione dei piani di cambio di regime e il risarcimento dei danni causati al popolo cubano da più di mezzo secolo di aggressioni, tra altri.

Non è mai stato detto che questi punti devono essere risolti per aprire le ambasciate, come alcuni media hanno tentato di manipolare.

Anche le autorità USA hanno riconosciuto la posizione cubana.

“Relazioni del tutto normali non comprendono un embargo economico, non comprendono sanzioni economiche”, ha recentemente detto un funzionario del Dipartimento di Stato USA che ha chiesto l’anonimato.

Non c’è dubbio che questa nuova fase prevede la discussione di altri argomenti d’interesse per entrambe le nazioni. Ma Cuba è stata chiara che non le può essere chiesto “qualcosa in cambio”. Il nostro paese non applica tali misure agli USA, né ha basi militari sul territorio USA, né promuove un cambiamento di regime.

Allo stesso modo, Cuba ha detto che non le si può esigere che debba rinunciare ai suoi ideali d’indipendenza e di giustizia sociale, né vacillare in uno solo dei suoi principi, né cedere un millimetro nella difesa della sovranità nazionale.

4. Il cambio della politica di Washington è un trionfo del popolo cubano e dell’integrazione latinoamericana

Non peccheremmo di sciovinismo al riconoscere, come ha fatto la maggior parte della comunità internazionale, che il fatto che Cuba sia giunta a questo punto è il risultato di quasi un secolo e mezzo di eroica lotta e fedeltà ai suoi principi.

Inoltre, non si potrebbe pensare a cambi di politica di questa portata senza comprendere la nuova epoca che vive la nostra regione, e la forte e coraggiosa richiesta dei governi e popoli della Comunità di Stati Latino americani e Caraibici (CELAC).

Nel II Vertice CELAC all’Avana si è firmato un documento che non ha riferimenti nella storia emisferica: la dichiarazione della regione come Zona di pace, la stessa che riconosce “il diritto inalienabile di ogni Stato a scegliere il suo sistema politico, economico, sociale e culturale, come condizione essenziale per assicurare la convivenza pacifica tra le nazioni”.

5.  Gli USA cambiano i metodi, ma non gli obiettivi

Una delle grandi domande che ha seguito questo processo è in cosa consiste e qual è la portata del cambiamento della politica USA. Il problema non ha una risposta facile e potrebbe essere troppo presto per fare un’analisi completa.

Quando il presidente Obama ha fatto il suo annuncio, ha detto che, dopo 50 anni di una politica fallimentare, era ora di provare qualcosa di nuovo.

“Siamo sulla strada per il futuro, lasceremo alle spalle le cose che fecero il passato complicato”, ha detto Obama a Panama per quanto riguarda Cuba.

Tuttavia, in tempi diversi, le autorità USA hanno detto che cambiano i metodi ma non gli obiettivi. In tali obiettivi c’è, dal 1° gennaio 1959, il rovesciamento della Rivoluzione.

“A Cuba, non stiamo nel business del cambio di regime”, ha precisato Obama durante il VII Vertice delle Americhe, in una dichiarazione che ha riempito molti di speranza.

Tuttavia, ancora milioni di dollari si destinano, pubblicamente, per pagare la sovversione a Cuba, a cui si sommano altri fondi che non sono dichiarati.

Da parte sua, le autorità cubane non hanno mai mostrato ingenuità. “Nessuno potrebbe sognare che la nuova politica annunciata accetti l’esistenza di una Rivoluzione socialista a 90 miglia dalla Florida”, ha detto Raul nel suo discorso al III Vertice CELAC.

6. Obama può fare molto di più

Obama ha accompagnato gli annunci del 17 dicembre con un gruppo di misure che modificano una piccola parte dell’applicazione del blocco, ma tale misura di aggressione è ancora in piedi.

Cuba ha riconosciuto la coraggiosa presa di posizione di Obama d’ impegnarsi in un dibattito con il Congresso per porvi fine, qualcosa che non aveva fatto nessun altro presidente USA.

Tuttavia, è falsa la corrente mediatica che il presidente “ha fatto tutto il possibile”.

Obama potrebbe usare, con determinazione, le sue vaste facoltà esecutive per modificare, sostanzialmente, l’applicazione del blocco, ciò che è nelle sue mani fare, anche senza decisione del Congresso.

Potrebbe permettere, ad esempio, in altri settori dell’economia tutto ciò che ha autorizzato nel campo delle telecomunicazioni con evidenti obiettivi d’influenza politica a Cuba.

7. Per quanto riguarda la sovranità, non ci sono temi tabù

Una delle lezioni degli ultimi cinque mesi -e forse anche di un anno e mezzo di colloqui segreti che li hanno preceduti- è che Cuba e USA possono affrontare qualsiasi questione sempre che ciò sia in un quadro di rispetto.

Cuba ha dimostrato la sua volontà di affrontare anche quei temi che più sono stati utilizzati e manipolati per attaccare il nostro paese, come la democrazia, la libertà di espressione e i diritti umani, temi sui quali ha molto da mostrare e da dire.

Forse la chiave più importante di tutte, e quella che riassume questo lavoro, è che la più grande sfida tra Cuba e gli USA è costruire una convivenza civile basata sul rispetto delle loro profonde differenze.

Siete claves para entender lo que está pasando

Han transcurrido cinco meses desde que los presidentes Barack Obama y Raúl Castro anunciaran el pasado 17 de diciembre su intención de abrir un nuevo capítulo en las relaciones entre Es­tados Unidos y Cuba.

Tras un encuentro histórico de los dos mandatarios en la VII Cumbre de las Américas, hoy inicia en Wa­shing­ton la tercera ronda de conversaciones a nivel de funcionarios para avanzar en el restablecimiento de relaciones diplomáticas y la reapertura de embajadas.

Izar las banderas de las misiones de Washington y La Habana sería ya de por sí un hito entre dos naciones vecinas que han carecido de nexos formales durante más de medio si­glo. Sin embargo, constituiría solo el inicio de una etapa mucho más larga y compleja.

Los malos entendidos y también las manipulaciones intencionadas han acompañado este proceso desde un inicio. Granma comparte con sus lec­­tores siete claves para ayudar a entender las dimensiones de lo que está pasando entre La Habana y Wa­shington y la etapa que se avecina.

1. Los presidentes tomaron una decisión, lo que falta es llevarla a la práctica

El 17 de diciembre, entre otras noticias de importancia para ambos pueblos, Raúl Castro y Barack Obama anunciaron simultáneamente que han decidido restablecer las relaciones diplomáticas entre Cuba y EE.UU, rotas hace más de medio siglo.

Ahora, la voluntad de los presidentes debe pasar por los canales oficiales de cada país para materializar ese paso.

Las delegaciones que se han reunido en La Habana y Washington en varias rondas de conversaciones y encuentros técnicos, están llevando adelante ese proceso.

La importancia de estas reuniones es que establecen las bases sobre las cuales van a funcionar los nexos di­plomáticos, para no incurrir en los errores del pasado.

2. Ninguna de las partes ha condicionado el restablecimiento de relaciones

Una de las principales líneas de ataque mediático contra las conversaciones ha sido hablar de “condicionamientos” entre las partes.

Tanto los diplomáticos cubanos co­mo estadounidenses han sido claros en que el ambiente de trabajo lo ha marcado el respeto y la profesionalidad, en un clima de reciprocidad y sin injerencias.

Cuba lo que sí hizo desde un inicio fue señalar aspectos que resultaría necesario solucionar antes de dar un paso: el fin de su injusta inclusión en la lista de países terroristas y la situación de su misión en Washington, que ha carecido de servicios bancarios por más de un año.

Ambos aspectos ya están en camino de su solución definitiva, según ha trascendido.

Entretanto, los funcionarios estadounidenses han hablado sobre la movilidad de sus representantes en la futura embajada en La Habana (la de los diplomáticos cubanos también está limitada en Washington), así como el acceso de los cubanos a sus instalaciones.

Al respecto, Cuba ha insistido en la importancia de cumplir con las Con­venciones de Viena sobre Relaciones Diplomáticas y Consulares, que establecen la importancia de cumplir las leyes del país anfitrión y no inmiscuirse en sus asuntos internos.

Una misión debe poder relacionarse con las personas del país anfitrión, pero respetando preceptos y normas, explicó recientemente un di­plo­má­tico cubano.

3. El restablecimiento de relaciones no es lo mismo que la normalización de relaciones

Confundir el proceso de restablecimiento de los nexos diplomáticos con el de normalización de las relaciones, que es mucho más largo y complejo, es otro error común.

Después de contar con embajadas en ambas capitales, se abriría la eta­pa de la compleja búsqueda de la “normalidad” entre dos países que comparten una convulsa historia bilateral.

Las autoridades cubanas han se­ñalado varios puntos que se consideran indispensables para hablar de una normalización: el levantamiento del bloqueo, la devolución del te­rritorio de la Base Naval de Guan­tánamo, el fin de las transmisiones ilegales de radio y televisión, la cancelación de los planes de cambio de régimen y la compensación por los daños causados al pueblo cubano durante más de medio siglo de agresiones, entre otros.

Nunca se ha dicho que esos puntos necesitan solución para abrir las embajadas, como algunos medios han intentado manipular.

Incluso las autoridades estadounidenses han reconocido la posición cubana.

“Unas relaciones completamente normales no incluyen un embargo económico, no incluyen sanciones económicas”, dijo recientemente una funcionaria del Departamento de Estado de EE.UU. que pidió su anonimato.

Sin duda esta nueva etapa incluye la discusión de otros asuntos de interés para ambas naciones. Pero Cuba ha sido clara que no se le puede pedir que “dé algo a cambio”. Nuestro país no aplica esas medidas a Estados Unidos, ni tiene bases militares en territorio norteamericano, ni promue­ve un cambio de régimen.

Asimismo, Cuba ha dicho que no se le puede exigir que tenga que renunciar a sus ideales de independencia y justicia social, ni claudicar en uno solo de sus principios, ni ceder un milímetro en la defensa de la soberanía nacional.

4. El cambio de política de Washington es un triunfo del pueblo cubano y de la integración latinoamericana

No pecaríamos de chovinistas al reconocer, co­mo lo ha hecho la ma­yoría de la comunidad internacional, que el hecho de que Cuba haya llegado a este punto es resultado de casi siglo y medio de heroica lucha y fidelidad a sus principios.

Asimismo, no se podría pensar en cambios de política de este calado sin entender la nueva época que vive nuestra región, y al sólido y valiente reclamo de los gobiernos y pueblos de la Comunidad de Estados Lati­noa­mericanos y Caribeños (Celac).

En la II Cumbre de la Celac en La Habana se firmó un documento que no tiene referente en la historia he­misférica: la declaración de la región como Zona de Paz, la misma que reconoce “el derecho inalienable de to­do Estado a elegir su sistema político, económico, social y cultural, como con­dición esencial para asegurar la convivencia pacífica entre las naciones”.

5. Estados Unidos cambia los métodos, pero no los objetivos

Una de las grandes preguntas que ha seguido este proceso es en qué consiste y cuál es el alcance del cambio de política de Estados Unidos. El asunto no tiene una respuesta fácil y quizá sea muy pronto para poder hacer un análisis cabal.

Cuando el Presidente Obama hizo su anuncio, dijo que después de 50 años de una política fracasada, era hora de probar algo nuevo.

“Estamos en el camino hacia el fu­turo, dejaremos en la espalda las co­sas que hicieron el pasado complicado”, dijo Obama en Panamá respecto a Cuba.

Sin embargo, en varios momentos, las autoridades estadounidenses han dicho que cambian los métodos, pero no los objetivos. En esos objetivos está desde el 1ro. de Enero de 1959 el derrocamiento de la Re­volución.

“En Cuba, no estamos en el negocio del cambio de régimen”, precisó Obama durante la VII Cumbre de las Américas, en una declaración que llenó a muchos de esperanza.

Sin embargo, aún millones de dó­lares se destinan públicamente a pa­gar la subversión en Cuba, a lo que se suman otros fondos que no son de­clarados.

Por su parte, las autoridades cu­banas nunca han mostrado ingenuidad. “Nadie podría soñar que la nue­va política que se anuncia acepte la existencia de una Revolución socialista a 90 millas de la Florida”, dijo Raúl en su discurso durante la III Cumbre de la Celac.

6. Obama puede hacer mucho más

Obama acompañó los anuncios del 17 de diciembre con un grupo de medidas que modifican una pequeña parte de la aplicación del bloqueo, pero esa medida de agresión se mantiene en pie.

Cuba ha reconocido la valiente po­sición de Obama de involucrarse en un debate con el Congreso para po­nerle fin, algo que no había he­cho ningún otro presidente estadounidense.

Sin embargo, es falsa la matriz me­diática de que el presidente “ha he­cho todo lo que puede”.

Obama podría utilizar con determinación sus amplias facultades ejecutivas para modificar sustancialmente la aplicación del bloqueo, lo que está en sus manos hacer, aun sin la decisión del Congreso.

Pudiera permitir, por ejemplo, en otros sectores de la economía todo lo que ha autorizado en el ámbito de las telecomunicaciones con evidentes ob­jetivos de influencia política en Cuba.

7. Con respeto a la soberanía, no hay temas tabúes

Una de las lecciones de los últimos cinco meses —y quizá también del año y medio de conversaciones se­cretas que los antecedieron— es que Cuba y Estados Unidos pueden abor­dar cualquier asunto siempre que sea en un marco de respeto.

Cuba ha mostrado su voluntad a abordar incluso aquellos temas que más se han utilizado y manipulado para atacar a nuestro país, como de­mo­­cracia, libertad de expresión y de­rechos humanos, asuntos sobre los cuales tiene mucho que mostrar y opinar.

Quizá la clave más importante de todas, y la que resume este trabajo, es que el reto mayor entre Cuba y Es­tados Unidos es construir una con­vivencia civilizada basada en el respeto a sus profundas diferencias.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.