Asilo politico: il premio per rubare un aereo cubano

José Manzaneda, coordinatore di Cubainformación

Se un aviatore di Haiti, Repubblica Dominicana o Giamaica giunge illegalmente negli USA, il titolo sarebbe: “Imprigionato sequestratore aereo negli USA” o “Arrestato ed estradato il pilota che rubò un piccolo aereo”. Ma poiché questo è cubano, la notizia e il modo di raccontarla cambiano radicalmente: “Il giudice (degli USA) concede asilo politico al pilota che scappò da Cuba su un aereo russo” (1).

Ma da cosa “scappò” (2)? Da chi “fuggiva” (3)? Chi lo perseguitava? Nessuno, assolutamente nessuno. Ma – proprio per essere cubano – negli USA gli hanno concesso asilo politico perché nutre un “credibile timore” (4) delle “gravi conseguenze da parte delle autorità comuniste” in caso di “ritorno a Cuba” ( 5).

Certo, perché a Cuba -e in Giappone!- si aprirebbe un processo penale per reati di pirateria e contro la sicurezza aerea, tipizzati nelle convenzioni internazionali; nonché per il furto di beni pubblici (un aeroplano) e di un bene razionato nel suo paese (il carburante) (6).

Ma per mascherare la farsa sono indispensabili le solite menzogne: che a Cuba “lo possono fucilare” (7) o “torturare” (cosa totalmente e assolutamente falsa) (8) e che lì ha già avuto “due incidenti” con “il governo cubano” (9). Sapete quali? Un arresto per furto di benzina (di nuovo) e una discussione «con alcuni poliziotti». Una cosa talmente grave che, udite bene, sull’Isola la sua «vita sarebbe in pericolo».

Rubén Martínez -questo è il suo nome- è un altro migrante economico, come centinaia di migliaia dall’intera regione. Qualcuno che è “fuggito” o “scappato”, comunque, dai disagi, dalle penurie materiali e dalla crisi economica che vive il suo Paese, frutto, in gran parte, del blocco e delle sanzioni imposte dal governo che, ora , ha deciso di riconvertirlo in un “perseguitato politico” (10).

Lui stesso riconosce che la sua decisione è stata dettata da ragioni economiche: uno stipendio con il quale -assicura- “non si può vivere” e “la mancanza di possibilità di prosperare economicamente” nell’Isola (11). A causa di un blocco criminale, che blocca le entrate, gli investimenti e i crediti del suo Paese? No. Dire questo implicherebbe la espulsione immediata. Meglio dichiarare che è perché “nel sistema comunista non c’è libertà”.

Mentre ricorda, davanti ai media, che “aspira a trovare lavoro negli USA, preferibilmente come pilota” e che “ha le credenziali di essere il primo della sua classe alla scuola di aviazione a Cuba, dove si è laureato con onori”. A proposito, sapete quanto gli costò quella “scuola di aviazione”? Neppure un centesimo.

Poniamo qualche tocco epico al racconto mediatico (il “drammatico arrivo” del pilota (12), lo “spaventoso volo verso la libertà”…) (13). E aggiungiamo il mantra propagandistico della “libertà”; “ho preso la decisione di scommettere la mia vita per essere libero” (14), sono “felice di essere arrivato nel paese delle libertà” (15), ha dichiarato.

Funziona così questa vergognosa farsa politica, mediatica e giudiziaria che, incredibilmente, non provoca il minimo scandalo.

Asilo político: el premio por robar un avión cubano

José Manzaneda, coordinador de Cubainformación

Si un aviador de Haití, República Dominicana o Jamaica llega ilegalmente a EEUU, el titular sería: “Encarcelan a secuestrador aéreo en EEUU” o “Detienen y deportan al piloto que robó una avioneta”. Pero como este es cubano, la noticia y el modo de contarla cambian radicalmente: “Juez (de EEUU) otorga asilo político al piloto que escapó de Cuba en una avioneta rusa” (1).

Pero ¿de que “escapó” (2)? ¿De quién “huía” (3)? ¿Quién lo perseguía? Nadie, absolutamente nadie. Pero -solo por ser cubano- en EEUU le han concedido asilo político porque siente un “miedo creíble” (4) a las “graves consecuencias por parte de las autoridades comunistas”, en caso de “regresar a Cuba” (5).

Claro, porque en Cuba -¡y en Japón!- se le abriría un proceso penal por delitos de piratería y contra la seguridad aérea, tipificados en los convenios internacionales; así como por el robo de una propiedad pública (un avión) y de un bien racionado en su país (el combustible) (6).

Pero para vestir la farsa, son imprescindibles las mentiras de siempre: que en Cuba “lo pueden fusilar” (7) o “torturar” (algo total y absolutamente falso) (8) y que allí ya tuvo “dos incidentes” con “el gobierno cubano” (9). ¿Saben cuáles? Un arresto por robar gasolina (de nuevo) y una discusión “con unos policías”. Algo tan grave tan grave que, oigan bien, en la Isla su “vida correría peligro”.

Rubén Martínez -así es su nombre- es un migrante económico más, como cientos de miles de toda la región. Alguien que ha “huido” o “escapado”, en todo caso, de la escasez, las penurias materiales y la crisis económica que vive su país, producto, en gran parte, del bloqueo y las sanciones impuestas por el gobierno que, ahora, ha decidido reconvertirlo en un “perseguido político” (10).

Él mismo reconoce que su decisión fue por motivos económicos: un salario con el que -asegura- “no se puede vivir” y “la falta de oportunidades para prosperar económicamente” en la Isla (11). ¿Debido a un bloqueo criminal, que tapona los ingresos, las inversiones y los créditos de su país? No. Decir esto implicaría la deportación inmediata. Mejor declarar que es porque “en el sistema comunista no hay libertad”.

Mientras recuerda, ante los medios, que él “aspira a conseguir trabajo en EEUU, preferiblemente como piloto” y que “cuenta con las credenciales de ser el primero en su clase en la escuela de aviación en Cuba, donde se graduó con honores”. Por cierto, ¿saben cuánto le costó esa “escuela de aviación”? Ni un céntimo.

Pongamos algunos toques épicos en el relato mediático (la “dramática llegada” del piloto (12), el “aterrador vuelo hacia la libertad”…) (13). Y añadamos el mantra propagandístico de la “libertad”; “tomé la decisión de apostar mi vida por ser libre” (14), estoy “contento de haber llegado al país de las libertades” (15), declaraba.

Así funciona esta vergonzosa farsa política, mediática y judicial que, increíblemente, no provoca el más mínimo escándalo.