I navigatori di Instagram e altre applicazioni simili, vanno educati per far sì che facciano un uso cosciente e savio di questi strumenti, che pur aiutandoci a potenziare la comunicazione, ci possono trasformare in vittime o in merci.
Michel E. Torres Corona
Già da tempo le generazioni che oggi hanno meno di 25 anni preferiscono Instagram come rete sociale digitale. La percezione che Facebook è «obsoleto» –percezione alla quale ha contribuito generosamente l’arrivo a questa piattaforma di milioni di «tembas» e anziani– e l’uso più evidente di questa applicazione con fini politici hanno portato i più giovani a un massivo spostamento.
Instagram offre loro un carosello di video brevi, molte volte comici – o quello che vogliono essere – e la possibilità d’interagire sulla base d’immagini. Lì poca gente legge un post.
Oltre a legarsi alla natura eminentemente visiva del nostro archetipo biologico, Instagram offre a questo culto banale, frivolo, dell’immagine al di sopra del messaggio la preferenza moderna del continente di fronte al contenuto.
I filtri e gli effetti con i quali qualsiasi persona, senza essere specialista, può modificare le sue foto , ha fatto sì che si sono generalizzati paradigmi di bellezza artificiale. E nella perversa dialettica delle invenzioni umane –creiamo gli strumenti e poi queste ci modificano – e questo ha significato che migliaia di persone se vestano, si trucchino e anche si operino per somigliare di più a quel volto che vedono nei loro schermi, riflesso adulterato di sé stessi.
Essendo una rete digitale tanto popolare tra i giovani, questa perversa dialettica che citiamo influisce allora sul desiderio crescente di alcuni giovani, a ritmo sfrenato, d’essere popolari. Gustare, attrarre, provocare questo /like/: Instagram è lo stesso cane con collare differente (questione di disegno, se si vuole). E in questa logica della popolarità attraverso l’immagine, della bellezza umana come obiettivo di contemplazione e venerazione, come standard, l’oggettivazione della donna ha un peso determinante. Non è che gli uomini non si possono trattare come pezzi di carne pr essere esibiti, ma che la struttura ancora patriarcale della società moderna globale fa sì che le donne occupino in maggioranza queste «vetrine digitali» che sono oggi le reti
A Cuba, se si fa un rapida ricerca e senza pretese di profondità obiettività scientifica, si può osservare che qualsiasi ragazza può avere senza molte difficoltà, 20 30- 50 e anche centomila seguaci – e interazioni in proporzione – soprattutto se in questo account condivide fotografie che possono esacerbare gli istinti lascivi di questa legione di bavosi che infetta tutta la comunità digitale.
Tra le migliaia e migliaia di seguaci le ragazze più «popolari» – che molte volte sono alunne liceali- hanno una corte di ben «temba», ben adulta, che si dedica alla depredazione visuale.
Che le reti digitali così siano una dimensione d’apparente libertà, che si utilizzino senza il controllo di adulti (responsabili), implica una vulnerabilità indiscutibile per i più giovani che possono divenire vittime di molestie e sperimentare sgradevoli e anche pericolose situazioni. Comprendere questo fenomeno nel quale i nostri adolescenti – soprattutto le ragazze- alimentano «volontariamente» la morbosità di migliaia di depravati , con la loro immagine, ci deve portare ad assumere una posizione più attiva nelle scuole e nelle case.
Questi navigatori di Instagram e di altre applicazioni simili perché facciano un uso cosciente e serio di questi strumenti vanno educati, perché se ci aiutano a potenziare la comunicazione possono anche trasformarci in vittime o in merci.
Certamente il problema non si limita a internet o a una o altra piattaforma: il problema è di fondo, è sistemico. Ma, da qualche parte si deve cominciare.