Le vittorie si accumulano per Cuba. In tanti si riempivano la bocca del trionfo della squadra di baseball USA a Miami, senza aspettarsi che questa “sconfitta” della squadra cubana, e la metto di proposito tra virgolette, fosse la cosa migliore che potesse capitare per tutti di fronte all’opinione pubblica e alla scena internazionale.
Quello che è successo allo stadio di baseball di Miami non ha precedenti; non si tratta più di odio, ma piuttosto di rabbia, come la descriveva, di recente, Pascual Serrano nel Colloquio Patria tenutosi all’Avana, il sentimento che emana da tutti coloro che odiano e soffrono per gli avanzamenti e i progressi del popolo cubano.
Sono persone che non solo sono contro il Governo della maggiore delle Antille, ma anche contro il proprio popolo. Cosa genera in un essere umano un affetto tale da insultare e aggredire la sua stessa gente? Cosa li muove? I paragoni sono odiosi, ma basta confrontare come sono stati accolti lì gli atleti della squadra cubana e come, queste persone, sono ricevute quando vengono sull’isola, o come sono stati accolti i rappresentanti dei governi USA quando sono venuti. Rispetto contro insolenza.
Non sono loro, e non è questa una giustificazione. È il macchinario che tira i fili da dietro. Cuba è in guerra da più di sei decenni, e questo conglomerato armamentistico sta cambiando forma, ma la sua missione è sempre la stessa: affondarla. Non l’hanno ottenuto a Girón, non l’hanno ottenuto quando è caduto il campo socialista, e neppure lo stanno ottenendo ora con la guerra informativa e psicologica. Questo lotta che si sta svolgendo ora si sviluppa nelle menti di uomini e donne che sono vulnerabili a tutti i tipi di informazioni che gli giungono in qualsiasi modo. Non si distingue più tra ciò che è la verita e ciò che non lo è. E i nemici della franchezza lo sanno bene. E sanno che, di questi tempi, è lì che bisogna affondare i denti. Questa lotta è la più grande sfida che affrontiamo noi difensori della Rivoluzione cubana; i difensori di Fidel e coloro che sperano in un mondo migliore.
Confidiamo che sia possibile lottare contro il predominio dei valori e dell’egemonia capitalista, che hanno un vantaggio nel mondo occidentale e che, a poco a poco, attraverso Internet e gli aspetti culturali, cercano di intrufolarsi a Cuba. La manipolazione è potente, ma non è onnipotente. Le persone hanno intuizione. I buoni esistono. E benché molti vengano ingannati, non possono ingannare tutti. Chi vive a Miami, o in Spagna, o in qualsiasi altro paese capitalista, può avere un’immagine distorta della Rivoluzione, per come gli è stata raccontata, per come lo hanno avvelenato, per come hanno aumentato il suo malcontento e odio per trasformarlo in rabbia. Ma questo, fatto coscienziosamente, non deve essere per sempre.
L’ episodio dantesco di Miami non è stato decisivo, ma non ho dubbi che abbia influito sul fatto che il popolo cubano serrasse i ranghi quando si è trattato del voto unito alle elezioni del 26 marzo. E’ servito affinché questo popolo, degno e combattente, vedesse cosa c’è fuori e il veleno che viene iniettato dall’impero. Ogni volta che ci sono le elezioni, a Cuba, i nemici lanciano campagne per trasformarle in un referendum contro la rivoluzione. Storicamente è stato fatto da radio e televisione. Non poteva essere da meno, ora, anche virtualmente dai media digitali e dalle reti sociali.
Ma sempre, e mi perdonerete l’espressione, “si ritorce contro di loro”. Perché in questa terra sono istruiti e non si lasciano ingannare così facilmente. Non risulta facile il lavaggio di coscienza che ti fanno rapidamente in qualsiasi altro Paese. La guerra culturale è dura, molto, ma qui c’è dignità, qui ci sono valori e c’è fiducia nella sovranità che passa inevitabilmente per il socialismo. Per poter essere eternamente liberi ed emancipati.
Ma tale libertà non è stata né è regalata, si forgia e si conquista ogni giorno. Infatti ieri, 4 aprile, è stata una data storica di questo Paese. Il 4 aprile 1962 si tenne un congresso dell’Associazione Giovani Ribelli, che fu ribattezzata e iniziò ad essere chiamata come la conosciamo oggi: Unione dei Giovani Comunisti. Lo stesso giorno, Fidel pronunciò il suo discorso di chiusura e, come sempre, pose l’accento sui giovani, poiché sono e saranno sempre il cambio di ogni processo di continuità: “La rivoluzione che stiamo facendo noi non è la rivoluzione che noi vogliamo; La Rivoluzione che noi vogliamo è la Rivoluzione che farete voi”. Ed è per questo, come proseguiva Fidel, che «La nostra società sarà una società senza sfruttatori né sfruttati, senza privilegiati né discriminati».
Prima del 4 aprile 1962, la gioventù cubana era già stata protagonista di momenti decisivi nella storia del Paese, come la Campagna di Alfabetizzazione e la Battaglia di Playa Girón.
Cosa sarebbe di questa e delle rivoluzioni senza il ruolo dei giovani e la loro responsabilità? Fidel ha sempre fatto appello a una gioventù responsabile. Qualche giorno fa io stessa ho potuto condividere con giovani e meno giovani cubani, ma al fine tutti uniti.
Si deve mostrare al mondo l’immagine di quanto Cuba lavori. Quanto questo sistema socialista si sforzi sulla base dei principi e delle idee dei suoi eroi. Come lo stesso fece Mella nelle lotte studentesche, Fidel nel Moncada, e tanti altri che hanno dato la vita per questa terra, oggi libera da ogni catena che vogliono imporle, ma con una punizione imperiale, che si porta dietro per avere questa libertà. Liberi o martiri direbbero gli eroi.
La lotta, in questa guerra multipolare, sta nella crescita di Cuba, nell’immagine di Cuba, non solo nei media, non solo combattendo le matrici d’opinione di fronte a calunniatori e nemici. Ma anche nel lavoro quotidiano svolto con coscienza e responsabilità affinché questo Paese rivoluzionario avanzi. Non solo si costruisce dalla parola bensì anche dall’azione.
E questa è una miscela indistruttibile; quella è la miscela letale che man mano che avanzerà quest’isola, con il passare degli anni, si alzerà nell’oceano come un bastione sempre più ferreo e indomabile.
La guerra contra Cuba
Por: Ana Hurtado
A Cuba se le acumulan las victorias. Eran muchos los que se llenaban la boca con el triunfo del equipo de béisbol estadounidense en Miami, sin esperar que esa “derrota” para el equipo cubano y la entrecomillo a propósito, era lo mejor que podía pasar para todos de cara a la opinión pública y al panorama internacional.
Lo que pasó en el estadio de pelota en Miami no tiene precedentes; ya no es que se hable de odio, si no de ira, como calificaría recientemente Pascual Serrano en el Coloquio Patria celebrado en La Habana, al sentimiento que emanan todos aquellos que odian, y sufren con los avances y los progresos del pueblo cubano.
Se trata de personas que no solo van en contra del Gobierno de la mayor de las Antillas, si no de su pueblo. ¿Qué genera dentro de un ser humano tal afecto como para insultar y agredir a su propia gente? ¿Qué les mueve? Las comparaciones son odiosas, pero basta comparar como los deportistas del equipo cubano fueron recibidos allí, y como estas personas son recibidas cuando vienen a la isla, o como han sido recibidos los representantes de gobiernos estadounidenses cuando han venido. Respeto frente a insolencia.
No son ellos, y no es esta una justificación. Es la maquinaria que maneja los hilos detrás. Cuba lleva más de seis décadas en guerra, y este conglomerado armamentístico va cambiando de forma, pero su misión siempre es la misma: hundirla. No lo lograron en Girón, no lo lograron cuando cayó el campo socialista, y tampoco lo están logrando ahora con la guerra informativa y psicológica. Esta contienda que toca ahora se desarrolla en la mente de hombres y mujeres que son vulnerables a todo tipo de informaciones que les llegan por cualquier vía. Ya no se distingue qué es verdad y qué no. Y los enemigos de la franqueza, lo saben bien. Y saben que, en estos tiempos, es donde hay que hincar el diente. Esta pelea, es el mayor reto al cual nos enfrentamos los defensores de la Revolución Cubana; los defensores de Fidel y los esperanzados en un mundo mejor.
Confiamos en que es posible luchar contra el predominio de los valores y de la hegemonía capitalista, que llevan ventaja en el mundo occidental, y que poco a poco, mediante internet y vertientes culturales, intentan colar en Cuba. La manipulación es poderosa, pero no es todopoderosa. Las personas tienen intuición. Los buenos existen. Y aunque se engañe a muchos, no pueden engañarlos a todos. Quienes viven en Miami, o en España, o en cualquier otro país capitalista, pueden tener una imagen distorsionada de la Revolución, por cómo se lo han contado, por cómo les han envenenado, por cómo han acrecentado su descontento y odio para transformarlo en ira. Pero eso, hecho a conciencia, no tiene que ser para siempre.
El episodio dantesco de Miami, no fue determinante, pero no me cabe la menor duda de que influyó en que el pueblo cubano cerrara fila a la hora del voto unido en las elecciones del pasado 26 de marzo. Sirvió para que este pueblo, digno y luchador, viera lo que hay fuera y el veneno que se inyecta desde el imperio. Cada vez que hay elecciones en Cuba, los enemigos lanzan campañas para convertirlas en un referéndum contra la revolución. Históricamente se ha hecho por la radio y por la televisión. Como no podría ser menos, ahora también virtualmente por los medios digitales y las redes sociales.
Pero siempre, y me van a perdonar la expresión, “les sale el tiro por la culata”. Porque en esta tierra, están instruidos, y no los engañan tan fácilmente. No es fácil el lavado de conciencia que te hacen rápidamente en cualquier otro país. La guerra cultural es dura, mucho, pero aquí hay dignidad, aquí hay valores y hay confianza en la soberanía que pasa irremediablemente por el socialismo. Para poder ser eternamente libres y emancipados.
Pero esa libertad no ha sido ni es regalada, se forja y se conquista cada día. De hecho, ayer 4 de abril, fue una fecha histórica en esta Patria. El 4 de abril de 1962 se celebra un congreso de la Asociación de Jóvenes Rebeldes, a la cual se le cambia el nombre y comienza a llamarse tal y como la conocemos hoy: Unión de Jóvenes Comunistas. Ese mismo día, Fidel pronuncia el discurso de su clausura y como siempre hizo hincapié en los jóvenes, pues son y serán siempre el relevo de todo proceso de continuidad: “La revolución que estamos haciendo nosotros no es la revolución que nosotros queremos; la Revolución que nosotros queremos es la Revolución que van a hacer ustedes”. Y es por eso, como continuaba Fidel, que “Nuestra sociedad será una sociedad sin explotadores ni explotados, sin privilegiados ni discriminados”.
Antes del 4 de abril de 1962, la juventud cubana ya había sido protagonista en momentos decisivos en la historia del país como la Campaña de Alfabetización y la Batalla de Playa Girón.
¿Qué sería de esta y de las revoluciones sin el papel de los jóvenes y la responsabilidad de los mismos? Fidel siempre apeló a una juventud responsable. Hace unos días yo misma pude compartir con jóvenes y no tan jóvenes cubanos, pero todos unidos al fin.