Geraldina Colotti
Il Venezuela si mobilita contro la decisione degli Stati Uniti di mettere all’asta le azioni della società madre della raffineria Citgo Petroleum Corp, la PDV Holding, il principale bene all’estero della repubblica bolivariana. Un percorso che apre la strada alla confisca dell’impresa da parte dei creditori, previ “negoziati” con coloro che gli USAriconoscono come “rappresentanti”: la banda dell’ex-autoproclamato, Juan Guaidó e i loro derivati, a cui l’amministrazione nordamericana aveva consentito l’accesso ai fondi bloccati dalle misure coercitive unilaterali illegali imposte al Venezuela.
Il Dipartimento del Tesoro Usa aveva finora così “protetto” Citgo dai creditori, ma ora, per stringere di più il cappio alla rivoluzione bolivariana, i falchi di Washington sono nuovamente entrati a gamba tesa sulla possibilità di un cambio di indirizzo prospettato dalla Conferenza internazionale di Bogotá, che ha avuto per tema il Venezuela. In quella sede, le 20 delegazioni presenti, in rappresentanza di tre continenti, si erano trovati d’accordo su una serie di “raccomandazioni”, da presentare sia al governo bolivariano che a quella parte dell’opposizione che si ritrova nella Piattaforma unitaria, per riannodare il dialogo interrotto in Messico. Al centro, la fine delle “sanzioni”, condizione prioritaria posta dal governo bolivariano, e il percorso verso le presidenziali del 2024.
La conferenza, preceduta da un giro di contatti internazionali del presidente colombiano Gustavo Petro, non si sarebbe potuta organizzare senza il beneplacito dell’amministrazione Biden. Tuttavia, a dimostrazione dello scontro interno e della confusione che regna nella politica estera nordamericana, si è consentito lo show dell’ex autoproclamato Guaidó. Un personaggio sfiduciato dai suoi stessi compari, i cui fili, però, devono evidentemente ancora essere tirati fino in fondo.
Dopo aver passato la frontiera “a piedi”, come lui stesso ha dichiarato, Guaidó si è recato alla conferenza in Colombia, senza essere invitato, ed è stato accompagnato all’aeroporto, dov’è stato preso in consegna dai suoi padrini nordamericani e si è recato a Miami. L’ex deputato ha protestato per essere stato espulso dalla Colombia, ma il suo viaggio non era privo di scopo.
Il suo obiettivo – ha denunciato il presidente venezuelano, Nicolas Maduro,- era quello di “coordinare il furto dell’Impresa Citgo”, formalizzato con la Licenza Generale 42, emessa dall’Ufficio di Controllo degli Attivi Stranieri (Ofac, nella sua sigla in inglese), che autorizza un settore dell’estrema destra a disporre o ad accordare processi relativi ai debiti della Repubblica bolivariana e dell’impresa statale Petróleos de Venezuela (Pdvsa).
Maduro ha spiegato che, mediante un documento datato 7 aprile, l’amministrazione Biden ha consegnato “tutti gli attivi dell’impresa Citgo, tutto il denaro del Venezuela all’estero, a un gruppo di partiti politici di opposizione, appartenenti alla Piattaforma Unitaria, perché possano venderli, negoziare, fare e disfare”. Washington – ha detto ancora il presidente – “sta compiendo uno dei saccheggi più grandi che si siano avuti contro qualunque paese al mondo”, e ha accusato Biden di “aver pugnalato alle spalle” la conferenza di Bogotá, arrivando dove “neanche Trump aveva osato”. La data della decisione indica infatti che già tutto era stato predisposto prima della Conferenza di Petro, che si è conclusa il 26 aprile.
Una provocazione a cui il governo bolivariano ha risposto con fermezza, sia a livello internazionale che nazionale. Durante una riunione del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, relativa all’obiettivo 16 dell’Onu, che si propone di “promuovere società giuste, pacifiche e inclusive”, il rappresentante permanente alterno del Venezuela all’Onu, Joaquín Pérez Ayestarán, ha denunciato le “sanzioni” imposte dagli Usa e il furto di Citgo. Un concetto ribadito poi da Pérez Ayestarán in un Twitter, nel quale ha definito “le misure coercitive unilaterali e la pretesa di confiscare attivi nazionali, come l’impresa Citgo, la massima espressione della corruzione: azioni criminali che mostrano un doppio registro nella lotta contro questo flagello”.
Il governo bolivariano “non riconoscerà nessun negoziato o accordo di pagamento con nessun creditore che non sia diretto dallo Stato venezuelano”, ha detto la vicepresidenta, Delcy Rodriguez, denunciando il tentativo di consolidare due governi paralleli, e spiegando il meccanismo con cui sta avvenendo “l’espropriazione illegale” dell’impresa venezuelana Citgo Petroleum Corporation. La decisione, che costituisce una violazione al diritto internazionale pubblico e privato, oltreché alle leggi venezuelane, autorizza i componenti dell’estinta Assemblea Nazionale del 2015 a realizzare transazioni per negoziare il debito del governo nazionale, di Pdvsa o di qualunque istituto in cui la repubblica possieda una partecipazione uguale o superiore al 50%.
“Non esiste norma nel pianeta che la licenza 42 della OFAC non abbia violato”, ha affermato Rodriguez dal Palazzo di Miraflores, accompagnata dal ministro degli Esteri, Yván Gil, e dal neo-ministro del Petrolio, Pedro Tellechea. La vicepresidenta ha ricordato i prodromi di questa decisione, anticipata da un’altra disposizione della OFAC, emessa il 9 gennaio del 2023, con la quale si attribuiva all’Assemblea Nazionale del 2015, “facoltà di trattare con qualunque persona, istituzione o impresa negli Stati Uniti”. E, infatti, lo scorso 15 marzo, la ex-deputata Dinora Figuera, del partito Primero Justicia, si riunì con funzionari del Dipartimento di Stato “per stabilire la messa in scena di questo furto del secolo, sfacciato, volgare”.
Rodriguez ha denunciato che Washington, assumendo il ruolo di vittima, cerca di prescindere dalla decisione della Corte di Giustizia di Delaware, che concede ai possessori del debito venezuelano di incamerare l’impresa Citgo, fra i quali figurano: ConocoPhillips, Crystallex, Rusoro, Gold Reserve, Koch Minerals, Owens Illinois, ACL1 Investments, Northrop Grumman Systems. Contro la Licenza Generale 42 della OFAC – ha detto Rodriguez – “in base alle istruzioni del capo di Stato, Nicolas Maduro, il governo nazionale eserciterà tutte le azioni in difesa dei nostri interessi, dei nostri diritti, e del patrimonio dei venezuelani”.
Citgo, che ha sede a Houston, è la settima raffineria più grande degli Stati Uniti. Ha filiali in Luisiana, Illinois e Texas e un valore di oltre 13.000 milioni di dollari. Robert Pincus, un funzionario designato dal tribunale, che si è riunito con il Dipartimento del Tesoro e della Giustizia, ha incitato la corte a fare in fretta “per approfittare del recente rendimento finanziario e operativo di Citgo e dello stato attuale dell’industria petrolifera”.
L’impresa mineraria canadese Crystallex International chiede a PDV Holding 970 milioni di dollari. Altri creditori, con almeno 2.600 milioni di dollari di reclamo contro il Venezuela hanno ricevuto un’approvazione condizionale per unirsi alla causa. Pincus ha proposto di iniziare il processo di vendita il 5 settembre, con l’offerta più alta ricevuta dal tribunale entro giugno del 2024. La corte ha stipulato un contratto con il gruppo bancario di investimento Evercore per valutare la domanda del mercato e realizzare la vendita.
Citgo – ha detto Maduro durante la marcia del 1° Maggio – genera un guadagno annuale di oltre 1.000 milioni di dollari e conta con oltre 10.000 pompe di benzina negli Stati Uniti. Risorse che appartengono al popolo e che, se fossero state disponibili, sarebbero andati ad accrescere le entrate dei lavoratori. Per questo, il parlamento venezuelano, quello legittimo, ha approvato, in una prima discussione il Progetto di Legge per la Protezione degli Attivi all’Estero.
“Applicheremo la Legge di Estinzione di Dominio a tutti quei tirapiedi e quelle tirapiedi coinvolte in questo furto alla repubblica”, ha detto il presidente dell’Assemblea Nazionale, Jorge Rodriguez presiedendo la seduta parlamentare, che avrà un secondo momento questa settimana. La Legge sull’Estinzione di Dominio prevede la possibilità di sequestrare e ridistribuire i beni frutto di corruzione. Un reato considerato “tradizione alla Patria”, che si sta perseguendo su larga scala dopo la scoperta di una gigantesca rete criminale che ha sottratto denaro pubblico per circa 23.000 milioni di dollari.
L’An legittima ne ha sollecitato l’applicazione a 72 ex deputati che usurpano funzioni pubbliche. Lo Stato non riconoscerà nessuna transazione sugli attivi venezuelani in base all’articolo 138 della Costituzione bolivariana, secondo il quale “ogni autorità usurpata è priva di effetto e i suoi atti sono nulli”. Con la consueta vis polemica, Jorge Rodriguez si è rivolto al dirigente politico, Henrique Capriles Radonski, affinché ordini a Dinora Figuera, militante del suo partito, “di restituire tutti soldi che si è rubata”.
Il Dipartimento di Stato ha infatti permesso alla defunta AN del 2015 -, che quest’anno, dopo aver sfiduciato Guaidó, ha continuato la farsa elettorale, affidando a un triunvirato di ricercate, diretto da Figuera, la “direzione” – l’accesso a conti bancari per circa 347 milioni: denaro del Venezuela congelato nelle banche degli Stati Uniti, erogati all’opposizione a partire dal 2019, quando Juan Guaidó si è autoproclamato “presidente a interim”. Tuttavia, dall’eliminazione del cosiddetto “governo interinale”, a gennaio del 2023, la nuova “direzione” dell’An fittizia non aveva potuto accedere al malloppo per via del “vuoto di direzione”.
Il problema stava rendendo nervosa la banda, che premeva sui padrini nordamericani affinché concedessero l’accesso alle risorse “protette” all’estero. E probabilmente anche questo lucroso passaggio di consegne spiega la fuga a Miami dell’ex autoproclamato, magari da negoziare previa richiesta congrua di “buonuscita”. Uno zuccherino gli è stato dato facendolo comparire in un incontro pubblico, durante il quale ha ringraziato “i senatori repubblicani per il loro impegno a favore della democrazia”.
In quel contesto, l’ex governatore della Florida, Rick Scott, lo ha presentato come “il candidato presidenziale di Voluntad Popular alle primarie”, e ha aggiunto: “Spero che tutti i miei colleghi e la Casa Bianca si riuniscano con i valorosi leader dell’opposizione e si allineino con il popolo venezuelano, per continuare a essere la sua voce contro il nefasto regime di Maduro”. Un gruppo di attivisti ha contestato Guaidó al grido di “corrotto” e “assassino”. E lui ha balbettato: “Che vadano in Venezuela a interrompere Nicolas Maduro, per vedere cosa gli succede”. E, mentre la polizia si portava via i contestatori, ha continuato a farfugliare meraviglie sulla “democrazia” nordamericana.
“Gli Stati Uniti scambiano per debolezza la disposizione al dialogo del governo bolivariano”, ha detto il viceministro delle Politiche anti-bloqueo, William Castillo, durante il programma “A Pulso”. Illustrando il lavoro d’indagine compiuto dall’Osservatorio sulle sanzioni, Castillo ha sottolineato come l’atteggiamento ondivago degli Usa, oltreché alla “confusione in politica estera, che si vede dall’Ucraina a Taiwan all’America latina”, si debba anche alla visione distorta che gli fornisce l’opposizione venezuelana, facendogli credere che “Maduro sta cadendo, e bisogna aumentare le sanzioni”.
Anche un comunicato dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America-Trattato di Commercio dei Popoli (ALBA-TCP) ha definito “immorale e illegale” la decisione del Dipartimento di Stato di “espropriare Citgo mediante l’illegittima Licenza Generale n. 42”. Una nuova aggressione contro il popolo e il governo del Venezuela che, ha scritto l’Alba, “è una conseguenza delle misure coercitive unilaterali imposte dal governo degli Stati Uniti, che attentano contro la sovranità di quel paese”. L’Alleanza Bolivariana ha quindi fatto un appello alla comunità internazionale per esigere la fine delle sanzioni, e ha espresso il suo appoggio a “tutte le misure legali che intraprenda il governo venezuelano per la protezione dei suoi beni”.
Il presidente colombiano, Gustavo Petro, è per parte sua tornato a denunciare gli effetti delle “sanzioni” sul popolo venezuelano durante la sua visita in Spagna. Dopo aver ricordato che Colombia e Venezuela “sono praticamente lo stesso popolo”, Petro ha detto che, per via delle “sanzioni”, la società venezuelana è passata dal “vivere bene, e dall’aver accesso al miglior whisky del mondo a non avere niente da mangiare. E è questa – ha aggiunto – non l’opposizione a Maduro, la ragione per cui molti emigrano”. Petro ha anche confermato i piani di Washington per invadere il Venezuela, discussi con il suo predecessore, suscitando la reazione stizzita dei membri dell’ex governo Duque.
Ma, in questo maggio, il Venezuela ha ricordato il terzo anniversario dall’Operazione Gedeone, quando un gruppo di mercenari inviati dagli Stati Uniti e allenati in Colombia ha cercato di invadere il Venezuela con un piano per uccidere Maduro e tutto l’alto comando chavista. Durante un atto pubblico, il vicepresidente del Psuv, Diosdado Cabello ha reso omaggio al coraggio del popolo che ha fermato l’invasione: “Le forze rivoluzionarie e l’unità – ha detto il Capitano – sono la maggior garanzia di vittoria per la rivoluzione bolivariana”.
Uno di quei mercenari, un ex marine, potrebbe essere oggetto di uno scambio con il diplomatico venezuelano Alex Saab, sequestrato dagli Stati Uniti, le cui condizioni di salute peggiorano di giorno in giorno. Il governo venezuelano lo ha ribadito anche in occasione della Conferenza di Bogotá. Ma gli Usa hanno risposto con questo nuovo gesto di arroganza imperiale.