Quito. Una parte dell’Assemblea chiede l’impeachment per il Presidente Lasso, che per non essere messo sotto accusa scioglie il Parlamento e convoca nuove elezioni, con la Corte Costituzionale che dovrà emettere una sentenza che indichi se il percorso istituzionale è conforme o no alla Magna Carta.
I fatti visibili e invisibili della politica ecuadoriana hanno smesso da tempo di essere sorprendenti, ma sono ancora disgustosi e sono un esempio di ciò per cui i falsi paladini della verità e della giustizia della destra ecuadoriana stanno perdendo il sonno.
Quando il governo di Lasso iniziò nel 2021, con la complicità senza precedenti e pubblicamente nota del Consiglio Nazionale Elettorale, era chiaro a quale circolo economico e politico appartenesse. Il suo passato era pubblico e riprovevole, poiché quella stessa cerchia ha avuto un ruolo di primo piano in una delle pagine più desolanti della storia economica del Paese: la vacanza delle banche, la gigantesca migrazione dei settori che non potevano farsi carico delle perdite e dei debiti e la successiva dollarizzazione. L’orifizio finanziario della ruota economica (le banche) ha qui un legame evidente fin dal XX secolo, quindi non dovrebbe sorprendere più di tanto.
I figli della vecchia e mai morta Democrazia Cristiana, il partito di un potere basato negli altopiani dell’Ecuador con alleati a Guayaquil, sapevano – dalla morte di Roldós – come trarre profitto dalla loro esperienza maligna nel regime di Hurtado: la sucretizzazione, per esempio. E così via, altre misure immancabilmente legate agli interessi bancari. La ripresa della democrazia è stata poi segnata dalle condizioni della geopolitica regionale dopo le dittature cilena e argentina, e il nostro piccolo Paese produttore di petrolio non sarebbe mai più stato immune dalla finanza internazionale. Ora potevamo indebitarci! O meglio: le organizzazioni economiche esterne vedevano che potevamo pagare qualsiasi prestito a qualsiasi tasso di interesse! In un certo senso, forse, saremmo usciti dal sottosviluppo. Gli anni ’80 iniziarono con l’ombra del neoliberismo sulla democrazia.
Così, quando il presidente Oswaldo Hurtado arrivò per caso a Carondelet (1981), le prospettive erano perfette per quelli che oggi potremmo chiamare “i democratici”. Poi, nel 1998, un suo coideario, Mahuad, salì a Palazzo e gli effetti delle sue decisioni sfrenate, istigate dalla sua potente cerchia (dell’inferno hurtadista), furono quelli citati nel paragrafo precedente. Tutti questi eventi colpirono la maggioranza della popolazione. Eventi che non sono stati dimenticati grazie alle testimonianze di centinaia di migliaia di vittime, a un manipolo di giornalisti onesti e alle rimesse che hanno dato ossigeno all’economia locale per più di due decenni. (La vacanza bancaria è avvenuta sotto il mandato del presidente Jamil Mahuad nel 1999, il che significava che i risparmi dei cittadini sarebbero stati congelati per 24 ore; in altre parole, i risparmiatori non avrebbero potuto prelevare denaro dalle banche o effettuare alcuna transazione per 24 ore, periodo poi esteso a 5 giorni).
Ma anche tutto questo, con l’intermediazione del sinistro potere mediatico privato, è stato ridotto all’oblio attraverso la relativizzazione del disastro e l’eclissi provocata dalla dollarizzazione e dai suoi benefici molto successivi.
Oggi l’Esecutivo e i suoi cortigiani (sempre della democrazia cristiana senza partito) non si sono mai assunti le loro responsabilità nella festa delle banche, persino l’ex presidente Mahuad è stato aiutato dai media privati, da un’università e da una casa editrice, a trasformarsi nell’eroe della dollarizzazione proprio in un momento (il 1999) che minacciava di mutare in violenza civile generalizzata. Oggi inoltre, è bene sottolinearlo, stiamo subendo in carne e ossa la terza saga di questo romanzo dell’orrore cristiano-democratico che vuole continuare a saccheggiare il Paese a tutti i costi.
Fin dall’inizio del suo governo, Lasso ha deciso che era necessario, con calcoli politici e anche psicologici, far svanire i ricordi e le conseguenze del giorno festivo e le tristi immagini delle famiglie che salutavano i migranti nel vecchio aeroporto di Quito; immagini strazianti – che ora si ripetono – e che mostrano la perversità di un circolo di potere quando si tratta di “amministrare” lo Stato. È evidente che l’attuale presidente non solo si è candidato, ma ha avuto anche la compiacenza e l’appoggio elettorale e politico di altri settori che sospettavano il ritorno del nemico che avevano faticosamente screditato (il correismo).
Si sono uniti in una crociata impressionante: i membri del partito social-cristiano si sono mobilitati a livello nazionale per spingere il carro malconcio di un postulante che doveva preservare la “solvibilità” del neoliberismo, ma allo stesso tempo includere i suoi partner negli affari di Stato, compresi i partiti di destra per ragioni cieche e opportunistiche.
Tuttavia, da due anni, questa alleanza di destra (democristiani e cristiano-sociali) si sta sfaldando, perché non si è riusciti a trovare un accordo sulla ripartizione delle aree strategiche e/o sull’obiettivo finale di recuperare una certa egemonia persa dalla precedente oligarchia locale, ma è chiaro che attualmente il compromesso di sostenere il banchiere sta attraversando la sua crisi più forte: i cristiano-sociali sostengono l’impeachment del presidente per la sua eventuale rimozione dall’incarico, anche se i membri dell’assemblea di questa tendenza se ne stanno andando perché possono vendere i loro voti in altri angoli con maggiori possibilità pecuniarie e perché – forse – questa è l’unica occasione per trovarsi al crocevia di un’asta di reciproca convenienza.
Questa, in sintesi, è la cronologia politica di quanto sta accadendo oggi in Ecuador. E sebbene il processo di impeachment sia una rivincita tra gruppi di potere tanto antichi quanto superati nelle loro concezioni e pratiche economiche, non è meno certo che questo percorso costituzionale debba concludersi con la destituzione del presidente.
E quindi? Servirebbe un riallineamento delle forze politiche che non devono e non possono voltarsi dall’altra parte. Ignorare il fatto che la gente stia cercando modi insoliti per sopravvivere è un avvertimento della negazione della realtà da parte delle élite impregnate di vanità e avidità. Il Paese è a pezzi, ma siamo ancora in tempo a fermare i poteri forti. Che smembrano il paese ma non sopportano che la gente gridi nelle strade che non vuole più vederli fare a pezzi l’Ecuador.