Cubainformacion: democrazia radicale

Cuba: frode elettorale o democrazia radicale?

José Manzaneda, coordinatore di Cubainformación

Cuba soffre una grave situazione economica, la cui causa principale risiede nelle sanzioni e la persecuzione, da parte del governo USA, di tutte le entrate e investimenti sull’isola. E, come è ovvio, le carenze generano malcontento sociale (1).

In alcuni luoghi del Paese ci sono state piccole proteste, chiedendo alle autorità, ad esempio, la fine ai blackout elettrici (2). Mentre, il governo che causa la situazione (il governo USA) paga milioni di dollari a vari attori politici e mediatici, con l’obiettivo di riconvertire questi incidenti in un’esplosione sociale orientata politicamente. Ad oggi, non vi è riuscito. Nemmeno l’attesa risposta repressiva, essenziale per intensificare il conflitto. In qualsiasi altro paese, lo scenario sociale sarebbe già quello della violenza e caos. Senza dubbio.

Tuttavia, a Cuba ci sono ancora grandi mobilitazioni a sostegno della Rivoluzione, con milioni di persone nelle strade, come quelle recenti per il Primo Maggio (3); e la stragrande maggioranza della popolazione ha partecipato, negli ultimi sei mesi, a tre processi elettorali, svoltisi in momenti di acuta crisi (4).

La partecipazione è stata inferiore rispetto ad anni fa? Ovvio. Qualcuno può pensare che, con una tale guerra economica e con la brutale guerra comunicativa nei media e reti sociali, volta a far sì che l’opinione pubblica cubana incolpi della situazione il suo governo, si possano mantenere tassi superiori al 90%, come dieci anni fa? È impossibile.

Ma ciò che sorprende e, quindi, ciò che dovrebbe fare notizia e oggetto di curiosità giornalistica, è che, anche in tali circostanze, il 76% della popolazione si sia recata alle urne nelle ultime elezioni generali (5). Un tasso di partecipazione molto alto, in un confronto internazionale (6).

Ma no. La stampa corporativa preferisce spiegarlo dicendo che la democrazia cubana è una “farsa” (7) (8) (9). Una farsa avallata, a quanto pare, dalla maggioranza del popolo.

In una nota ampiamente divulgata, l’agenzia spagnola EFE affermava che “all’apertura dei seggi elettorali (…) c’era una fila più lunga al panificio che al seggio elettorale” (10). E questo lo chiamano giornalismo serio e rispettabile. Senza parole.

Il sito web di Radio Televisión Española ci diceva che alle elezioni “si è presentato solo il partito del finora presidente” (11). Menzogna flagrante, perché il Partito Comunista non ha alcun ruolo nelle elezioni, dove le candidature nascono da un processo di democrazia radicale con migliaia di assemblee di quartiere. Non ci sono partiti.

Ma dai media finanziati dal governo USA -e che non esisterebbero senza di esso – vanno oltre: ci parlano addirittura di “frode”. La cifra del 76% è falsa. Prove? Persone che hanno visto pochissima gente votare nel proprio quartiere (12). “Sono stati segnalati seggi elettorali per lo più vuoti” (13), scriveva sul quotidiano spagnolo ABC Camila Acosta che, a sua volta, guadagna dal media Cubanet o, che è la stessa cosa, riceve parte del suo stipendio dal governo USA, che sostiene detto media (14).

Un altro sito digitale sostenuto con denaro di Washington -e che neppure esisterebbe senza di esso-, “Diario de Cuba” (15), presentava “la prova” definitiva” dei brogli elettorali a Cuba con una semplice operazione matematica”. Assicurava che “è matematicamente impossibile che 12 ore” bastino “perché sei milioni” votino con pochissime code. Conclusione: “Questa è una frode” (16). Sì, frode all’intelligence. Frode alla professione giornalistica. E, soprattutto, frode ai danni dei contribuenti USA che sostengono, con le loro imposte, più di venti libelli come questo (17).

Cuba: ¿fraude electoral o democracia radical?

José Manzaneda, coordinador de Cubainformación

Cuba sufre una grave coyuntura económica, cuya causa principal está en las sanciones y la persecución, desde el Gobierno de EEUU, de todos los ingresos e inversiones en la Isla. Y, como es obvio, el desabastecimiento genera descontento social (1).

En algunos lugares del país, se han dado pequeñas protestas, pidiendo a las autoridades, por ejemplo, el fin de los apagones eléctricos (2). Mientras, el Gobierno causante de la situación (el de EEUU) paga millones de dólares a diversos actores políticos y mediáticos, con el objetivo de reconvertir estos incidentes en un estallido social con orientación política. Hasta la fecha, no lo ha conseguido. Tampoco la esperada respuesta represiva, imprescindible para escalar el conflicto. En cualquier otro país, el escenario social ya sería de violencia y caos. Sin duda.

Sin embargo, en Cuba se siguen dando grandes movilizaciones de apoyo a la Revolución, con millones de personas en las calles, como las recientes por el Primero de Mayo (3); y la gran mayoría de la población ha acudido, en los últimos seis meses, a tres procesos electorales, realizados en momentos de aguda crisis (4).

¿Que la participación ha sido menor que años atrás? Obvio. ¿Alguien puede pensar que, con semejante guerra económica y con la brutal guerra comunicacional en medios y redes sociales, dirigida a que la opinión pública cubana culpe de la situación a su gobierno, se puedan mantener índices superiores al 90 %, como hace una década? Eso es imposible.

Pero lo sorprendente y, por tanto, lo que debería ser noticiable y objeto de curiosidad periodística, es que, aún en semejantes circunstancias, el 76% de la población acudiera a las urnas en las últimas elecciones generales (5). Un índice de participación muy alto, en una comparativa internacional (6).

Pero no. La prensa corporativa prefiere explicar esto diciendo que la democracia cubana es una “farsa” (7) (8) (9). Una farsa avalada, al parecer, por la mayoría del pueblo.

En una nota muy divulgada, la agencia española EFE aseguraba que, “cuando abrieron los colegios electorales (…) había una fila más larga en una panadería que en el centro de votación” (10). Y a esto lo llaman periodismo serio y respetable. Sin palabras.

La web de Radio Televisión Española nos decía que a las elecciones “solo se presentó el partido del hasta ahora presidente” (11). Mentira flagrante, porque el Partido Comunista no tiene papel alguno en las elecciones, donde las candidaturas nacen de un proceso de democracia radical con miles de reuniones vecinales. No hay partidos.

Pero desde los medios que financia el Gobierno de EEUU -y que no existirían sin él- van más allá: nos hablan incluso de “fraude”. La cifra del 76 % es falsa. ¿Las pruebas? Personas que vieron muy poca gente votando en su barrio (12). “Se reportaron colegios electorales mayormente vacíos” (13), escribía en el diario español ABC Camila Acosta quien, a su vez, cobra del medio Cubanet, o lo que es lo mismo, recibe parte de su sueldo del Gobierno de EEUU, que sostiene dicho medio (14).

Otro sitio digital sostenido con dinero de Washington -y que tampoco existiría sin él-, “Diario de Cuba” (15), presentaba “la prueba” definitiva “del fraude electoral en Cuba en una sencilla operación matemática”. Aseguraba que “es matemáticamente imposible que 12 horas” alcancen “para que seis millones” voten sin apenas colas. Conclusión: “Esto es fraude” (16). Sí, fraude a la inteligencia. Fraude a la profesión periodística. Y, sobre todo, fraude a los contribuyentes estadounidenses que sostienen, con sus impuestos, más de veinte libelos como este (17).