Esercitare la sovranità

come deve rispondere il Venezuela alla confessione di Trump

misionverdad.com

“Quando me ne sono andato, il Venezuela stava sul punto di crollare. Ce ne saremmo impossessati, ci saremmo tenuti tutto quel petrolio”: questa dichiarazione dell’ex presidente USA Donald Trump nel bel mezzo di un comizio elettorale ha provocato un terremoto politico in Venezuela, e le sue conseguenze possono essere profonde oltre che determinanti per il ciclo politico ed elettorale dell’anno 2024.

In primo luogo, l’inquadramento semantico della dichiarazione lascia poco spazio a dubbi. Trump ha confessato che la sua amministrazione ha perseguito il crollo del Venezuela e che l’obiettivo dietro quella strategia era quello di impossessarsi del suo petrolio, la sua principale risorsa naturale e strategica.

La sequenza di parole del repubblicano ha demolito più di mezzo secolo di convenzioni, trattati e convenzioni legali del diritto internazionale che limitano l’uso della forza nelle relazioni interstatali. Una dichiarazione di principi che ha rivelato come le origini e la successiva espansione dell’impero USA risiedano nel crimine e nel saccheggio, e non in una ricerca ecumenica di libertà, progresso e diritti umani.

Espressamente, Trump ha parlato di “impossessarsi del Venezuela”, dove il petrolio, sebbene cruciale per le sue implicazioni economiche e politiche, era solo una componente di un piano volto a sopprimere completamente la sovranità della Repubblica Bolivariana, con tutti gli elementi definitori che includono integrità territoriale, status giuridico di nazione indipendente e ordinamento costituzionale.

Osservare la dichiarazione di Trump solo dal punto di vista dell’appropriazione del petrolio fine a se stesso ne sminuisce la gravità, e non tiene conto che l’offensiva USA contro il Paese, la “massima pressione” orchestrata dal magnate presidente e dalla sua squadra , puntava su una riconquista assoluta della nazione venezuelana. Colonialismo del XXI secolo.

Un altro aspetto importante è la menzione del crollo, tanto cara quando si tratta di spiegare la traiettoria economica e sociale del Venezuela negli ultimi anni e al centro della disputa narrativa per indicare i responsabili di una dura realtà che, in tutti gli ambiti della vita in società, il paese ha affrontato.

A questo punto, la dichiarazione di Trump è stata anche lapidaria: la precipitazione di una crisi economica e sociale profonda e inedita è stata il prodotto di una decisione volontaria, pianificata da Washington, per portare al collasso il Venezuela, mediante strumenti di guerra economica incentrati sul sequestro di i grandi patrimoni della Repubblica all’estero, riducendo le entrate petrolifere e interrompendo le principali attività commerciali e finanziarie del Paese.

In sintesi, Trump con la sua confessione ha chiuso il dibattito attorno al “modello fallito” del chavismo, indicando, con effusione, che la sua ricerca del collasso ha causato le calamità degli ultimi anni, le cui tracce si estendono ancora nell’immediato presente della nazione venezuelana. Senza la batteria di “sanzioni”, il Venezuela non avrebbe toccato il fondo e gli errori del chavismo in campo economico chiaramente non avrebbero generato un caos equivalente.

L’intenzione di portare in rosso l’economia venezuelana ha avuto un lato umano con impatti significativi. La stima che l’offensiva di “sanzioni” illegali USA, inquadrata nella “massima pressione” di Trump, abbia causato circa 40mila morti realizzata dal Center for Economic and Policy Research (CEPR), nel 2019, a causa di un distruttivo mix di indisponibilità di medicinali e beni di prima necessità, caduta della produzione petrolifera e danni generali a infrastrutture critiche, potrebbe persino essere prudente per il modo in cui gli effetti della guerra economica USA si sono amplificati dopo il 2019.

In breve, Trump ha confessato che le “sanzioni” distruttive emesse durante la sua amministrazione sono state una sorta di campagna di bombardamento economico diretta a porre fine a quante più vite venezuelane fosse possibile prima che finisse la sua permanenza temporanea nello Studio Ovale. Un delinquente schietto che, a giudizio di Jack Shafer di POLITICO, non ha superato quel comportamento adolescenziale di “divertirsi con auto rubate, intimidire i deboli e in generale agire come un delinquente giovanile”.

La politica di sterminio per fasi contro la popolazione civile venezuelana progettata nell’ala ovest della Casa Bianca ha trovato nel blocco dirigente dell’opposizione venezuelana un gerente locale impegnato nei valori dell’impresa e nei suoi obiettivi. Disposto a dare tutto per andare fino alla fine della ricolonizzazione. Qui l’immagine di Juan Guaidó e Voluntad Popular, convertiti dall’amministrazione Trump nella dirigenza del governo fittizio del Venezuela, sembrano occupare l’intera mappa dei complici visibili.

Tuttavia, sebbene il collaborazionismo di Guaidó e Voluntad Popular si sia distinto su tutti gli altri, nessun attore politico o formazione partiticaa dell’ecosistema antichavista ha preso le distanze dalla “massima pressione” nel momento del suo apice. Dal tifo ultra di María Corina Machado al presunto centrismo di Primero Justicia e Acción Democrática, il sostegno alla strategia di Trump è stato trasversale all’intero spettro politico nazionale, con poche e minuscole eccezioni.

Le successive divergenze esistenti con Guaidó, utilizzate da alcuni dirigenti dopo la dichiarazione di Trump per alleggerire il proprio carico di responsabilità, sono state causate dalla gestione monopolistica degli introiti derivanti dal saccheggio della Repubblica. Nessun scatto venezuelanista nel blocco dell’opposizione ha fatto atto di presenza quando il paese, nel bel mezzo di vessazioni e assedi estremi, ne aveva bisogno per rompere il consenso fabbricato che gli USA stavano distruggendo il paese per il nostro bene.

È per questi motivi che le dichiarazioni di Trump sono state uno spartiacque, perché mentre certifica che il crollo è stato il prodotto di un disegno di guerra, mette a nudo anche un’opposizione collaborazionista con gli interessi necoloniali di una potenza straniera, a cui si era agevolato l’accaparrarsi delle vaste riserve petrolifere una volta si cristallizzasse il rovesciamento del presidente Nicolás Maduro.

Questa situazione pone il Paese, e in particolare il governo venezuelano, in uno scenario diverso. Le complicità esposte intorno alle aggressioni economiche e politiche contro il Venezuela, negli ultimi anni, sono state rivelate e le istituzioni che preservano la sovranità del Paese devono proteggersi utilizzando gli opportuni meccanismi legali all’interno della cassa degli attrezzi dell’ordinamento giuridico nazionale.

Quanto espresso da Trump deve dar luogo alla costruzione di una pietra miliare politico-istituzionale che equivalga la gravità delle sue affermazioni. Coloro che oggi, nell’ambito delle primarie, aspirano alla Presidenza della Repubblica e che hanno comprovati legami con la “massima pressione”, non possono candidarsi alla  principale carica del Paese per motivi di buon senso: il loro comprovato ruolo collaborazionista con una potenza straniera è una ragione sufficiente per considerare che, in un eventuale cambio di governo, l’opposizione completerebbe il lavoro di consegna del paese che è stato lasciato a metà perché Trump ha perso la sua rielezione. Di conseguenza, lo Stato, a difesa della propria integrità e sovranità, non può esporsi che un turno elettorale minacci la propria esistenza materiale.

Avvalorato da quanto indicato dall’attuale Codice Penale, dal suo articolo 128 al 133, quanto rivelato da Trump indica che siamo in presenza di reati di tradimento della patria nel suo stretto senso legale.

Il Venezuela non deve permettere che l’ umiliazione e gli attacchi a cui è stato sottoposto rimangano impuniti.


EJERCER LA SOBERANÍA: CÓMO DEBE RESPONDER VENEZUELA A LA CONFESIÓN DE TRUMP

 

“Cuando me fui, Venezuela estaba a punto de colapsar. Nos hubiéramos apoderado de ella, nos hubiéramos quedado con todo ese petróleo”: esta declaración del expresidente estadounidense Donald Trump en medio de un mítin de campaña ha provocado un terremoto político en Venezuela, y sus consecuencias pueden ser profundas a la vez que determinantes para el ciclo político y electoral del año 2024.

En primer lugar, el encuadre semántico de la declaración deja poco espacio para las dudas. Trump confesó que su administración persiguió el colapso de Venezuela y que el objetivo detrás de esa estrategia era apoderarse de su petróleo, su principal recurso natural y estratégico.

La secuencia de palabras del republicano demolió más de medio siglo de convenciones, tratados y convenciones legales del derecho internacional que restringen el uso de la fuerza en las relaciones interestatales. Una declaración de principios que desveló cómo los orígenes y la posterior expansión del imperio estadounidense yacen en el crimen y en el saqueo, y no en una búsqueda ecuménica de libertad, progreso y derechos humanos.

De forma expresa, Trump habló de “apoderarse de Venezuela”, donde el petróleo, aunque crucial por sus implicaciones económicas y políticas, era solo un componente de un plan diseñado para suprimir integralmente la soberanía de la República Bolivariana, con todos los elementos definitorios que incluyen integridad territorial, estatus legal de nación independiente y ordenamiento constitucional.

Observar la declaración de Trump solo desde la apropiación del petróleo como un fin en sí mismo disminuye su gravedad, y no toma en cuenta que la ofensiva estadounidense contra el país, la “máxima presión” que orquestó el magnate presidente y su equipo, apostaba por una reconquista absoluta de la nación venezolana. Colonialismo del siglo XXI.

Otro aspecto importante es la mención al colapso, tan cara a la hora de explicar la trayectoria económica y social de Venezuela en los últimos años y centro de disputa narrativa para señalar responsables de una cruda realidad que, en todos los ámbitos de la vida en sociedad, ha afrontado el país.

En ese punto la declaración de Trump también fue lapidaria: la precipitación de una crisis económica y social profunda e inédita fue producto de una decisión voluntaria, planificada desde Washington, para llevar a Venezuela al colapso, mediante instrumentos de guerra económica que se centró en el secuestro de cuantiosos activos de la República en el extranjero, en llevar al piso los ingresos petroleros y en cortar las actividades comerciales y financieras principales del país.

A modo de síntesis, Trump con su confesión cerró el debate en torno al “modelo fallido” del chavismo, al indicar, efusivamente, que su búsqueda del colapso causó las calamidades de los últimos años, cuyas estelas se extienden aún el presente inmediato de la nación venezolana. Sin la batería de “sanciones”, Venezuela no hubiese tocado piso y los errores del chavismo en el campo económico claramente no hubiesen generado un caos equivalente.

La intención de llevar a la economía venezolana a números rojos ha tenido un costado humano con impactos significativos. La estimación de que la ofensiva de “sanciones” ilegales de Estados Unidos, enmarcada en la “máxima presión” de Trump, había provocado alrededor de 40 mil muertes realizada por el Center for Economic and Policy Research (CEPR) en 2019, a causa de una mezcla destructiva de indisponibilidad de medicamentos y bienes básicos, caída de la producción petrolera y daños generales a infraestructuras críticas, podría incluso ser conservadora por la forma en que se amplificaron los efectos de guerra económica estadounidense después de 2019.

En resumen, Trump confesó que las “sanciones” destructivas emitidas durante su administración fueron una especie de campaña de bombardeo económico dirigida a acabar con la mayor cantidad de vidas venezolanas que fuese posible antes de que acabara su estancia temporal en el despacho oval. Un matón hablando sin reservas que, a juicio de Jack Shafer de POLITICO, no ha superado ese comportamiento adolescente de “divertirse en autos robados, intimidar a los débiles y, en general, actuar como delincuente juvenil”.

La política de exterminio por fases contra la población civil venezolana diseñada en el ala oeste de la Casa Blanca encontró en el bloque dirigente de la oposición venezolana una gerencia local comprometida con los valores de la empresa y sus objetivos. Dispuesta a darlo todo para ir hasta el final de la recolonización. Aquí la imagen de Juan Guaidó y Voluntad Popular, convertidos por la administración Trump en jefatura de gobierno ficticia de Venezuela, parecieran ocupar a totalidad el mapa de cómplices visible.

No obstante, aunque el colaboracionismo de Guaidó y Voluntad Popular destacó por sobre el resto, ningún actor político o formación partidista del ecosistema antichavista se desmarcó de la “máxima presión” en su momento de mayor apogeo. Desde la barra brava ultra de María Corina Machado hasta el supuesto centrismo de Primero Justicia y Acción Democrática, el apoyo a la estrategia de Trump fue trasversal a todo el espectro político nacional, con contadas y minúsculas excepciones.

Las diferencias posteriores que hubo con Guaidó, usadas por algunos dirigentes después de la declaración de Trump para disminuir su carga de responsabilidad, se produjeron por el manejo monopólico de las rentas del saqueo a la República. Ningún arrebato venezolanista en el bloque opositor hizo acto de presencia cuando el país, en medio del acoso y el asedio extremo, lo necesitaba para romper con el consenso fabricado de que Estados Unidos destrozaba al país por nuestro bien.

Es por estas razones que las declaraciones de Trump han sido un parteaguas, porque a la vez que certifica que el colapso fue el producto de un diseño de guerra, también desnuda a una oposición colaboracionista con los intereses necoloniales de una potencia extranjera, a la que se le había facilitado la apropiación de las vastas de reservas de petróleo una vez se cristalizara el derrocamiento del presidente Nicolás Maduro.

Esta situación pone al país, y en particular al gobierno venezolano, en un escenario diferente. Las complicidades expuestas en torno a las agresiones económicas y políticas contra Venezuela en los últimos años han quedado desveladas, y las instituciones que preservan la soberanía del país deben protegerse empleando los mecanismos legales propicios dentro de la caja de herramientas del ordenamiento jurídico nacional.

Lo expresado por Trump debe dar pie a construir un hito político e institucional que sea equivalente a la gravedad de sus declaraciones. Quienes hoy, en el contexto de primarias, aspiran a la Presidencia de la República y que tienen probadas vinculaciones con la “máxima presión”, no pueden ser candidatos al principal cargo del país por razones de sentido común: su comprobado papel colaboracionista con una potencia extranjera es razón suficiente para considerar que, en un eventual cambio de gobierno, la oposición completaría el trabajo de entrega del país que quedó a medias porque Trump perdió su reelección. En consecuencia, el Estado, en defensa de su integridad y estatuto de soberanía, no puede exponerse a que un giro electoral amenace su propia existencia material.

Confirme a lo señalado por el Código Penal vigente, desde su artículo 128 hasta el 133, lo desvelado por Trump indica que estamos en presencia de delitos de traición de la patria en su estricto sentido legal.

Venezuela no debe permitir que la humillación y los ataques a los que ha sido sometida queden impunes.

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