La disputa sul territorio di Essequibo è una delle più antiche controversie del continente americano. Lo Stato venezuelano ha indetto una consultazione popolare affinché la cittadinanza rafforzi i loro diritti inalienabili su quella regione, di fronte alla recente ingerenza degli USA nel caso.
Nel 2018, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha annunciato che la Guyana ha presentato formalmente una causa contro il Venezuela in cui, in primo luogo, chiede di sentenziare che: “Il Lodo del 1899 è valido e vincolante per la Guyana e il Venezuela, e la frontiera stabilita da quel Lodo e dall’Accordo del 1905 è valida e vincolante” anche per entrambe le parti.
In questo modo, il Paese vicino ha dato peso alla controversia, per la sua dubbia natura, con un lodo arbitrale in cui il Venezuela è stato oggetto di una vera e propria “frode processuale”. Ciò è stato confermato, anni dopo, dalle dichiarazioni degli stessi arbitri –due dei quali inglesi, altri due USA e un russo, amico della Corona britannica – dal quale è derivato che il Regno Unito accettasse arrivare ad un accordo, a Ginevra, che ha aperto un lungo periodo affinché, entrambi gli Stati, cercassero di trovare una soluzione negoziata.
Il Venezuela non riconosce la giurisdizione del CIG e l’ha reso pubblico nel 2021, tra le disposizioni dell’Accordo di Ginevra. La tesi è che non ha mai dato il suo consenso, e tanto meno riguardo alla richiesta unilaterale della Guyana, che “lede il significato, lo scopo e la ragione” del trattato firmato nel 1966.
Inoltre, né la Guyana né il Venezuela hanno ratificato il Patto di Bogotà del 1948, strumento internazionale che ha permesso all’America Latina di risolvere davanti a un giudice internazionale un gran numero di controversie sorte tra due Stati del continente americano. Né hanno riconosciuto la giurisdizione obbligatoria del CIG attraverso la dichiarazione facoltativa prevista dall’articolo 36, paragrafo 2 del suo Statuto, che impone che: “Gli Stati parti del presente Statuto potranno dichiarare in ogni momento di riconoscere come obbligatoria, ipso facto e senza convenzione speciale, nei confronti di ogni altro Stato che accetti il medesimo obbligo, la giurisdizione della Corte in tutte le controversie giuridiche che riguardino:
- L’interpretazione di un trattato.
- Qualsiasi questione di diritto internazionale.
- L’esistenza di qualsiasi fatto che, se accertato, costituirebbe una violazione di un obbligo internazionale.
- La natura o l’entità della riparazione da fornire per la violazione di un obbligo internazionale.”
I GIUDICI DEL CIG
Per quanto riguarda i giudici del CIG, esistono informazioni di non minor importanza:
Joan E. Donoghue, presidentessa del principale organo giudiziario dell’ONU, è stata la principale vice consigliere legale del Dipartimento di Stato USA, tra gennaio e giugno 2009. Ha consigliato l’allora Segretaria di Stato Hillary Clinton e il Presidente Barack Obama su tutti gli aspetti del diritto internazionale, in particolare su questioni di sviluppo, interpretazione e applicazione del diritto internazionale umanitario.
La campagna militare dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), guidata dagli USA, attesta il livello di consulenza di Donoghue su queste questioni legali.
In qualità di avvocata di carriera, è intervenuta su questioni come la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza delle Istituzioni Provvisorie di Autogoverno del Kosovo dinanzi alla CIG. Anche nel diritto del mare, dell’Antartide, dell’Artico, della pesca e dell’ambiente; nell’arbitrato tra investitori e Stato dinanzi al Tribunale per i Reclami Iran-USA e all’Accordo Nordamericano di Libero Scambio (NAFTA).
È stata capo della delegazione nei negoziati sulle rivendicazioni bilaterali con l’Iraq e ha contribuito all’attuazione degli ordini esecutivi del presidente Obama su Guantánamo, che prevedevano detenzione e interrogatorio con metodi illegali di cittadini di diversi paesi.
È stata anche rappresentante dinanzi al Dialogo Giuridico tra USA-Unione Europea e rappresentante al Comitato dei Consulenti Giuridici del Consiglio d’Europa.
Tra gli altri giudici c’è il francese Ronny Abraham, che ha iniziato a ricoprire incarichi di rilievo nella cancelleria del suo Paese a partire dal governo di Jacques Chirac. Tra il 1998 e il 2004 si è occupato di questioni quali la legalità dell’uso della forza e le conseguenze giuridiche della costruzione del muro nel territorio palestinese occupato dallo Stato di Israele, dove era capo delegazione.
Il giudice marocchino Mohamed Bennouna è stato ambasciatore del suo paese presso l’ONU, nel 2002, e ha esperienza nella spoliazione territoriale. Si è distinto per il suo rifiuto di una proposta inviata dall’allora Segretario Generale dell’organismo multilaterale, Kofi Annan, al Consiglio di Sicurezza, che consisteva nella divisione del territorio del Sahara Occidentale (Repubblica Araba Saharawi) tra Rabat e il Fronte Polisario per avanzare nei negoziati e porre fine all’ultimo processo di decolonizzazione pendente in Africa. La sua dichiarazione è stata: “No. Né oggi, né domani, né tra cento anni accetteremo questa opzione.”
Un altro giudice, Nawaf Salam, fa parte dell’establishment politico libanese ed era sul punto di essere nominato primo ministro del Libano. È riconosciuto come un attore chiave nella creazione di un “sostegno di base transnazionale” sulla scena libanese, in contrapposizione alla popolare influenza di Hezbollah nella politica locale.
TORNARE AL 1899?
Possiamo aspettarci che un giudice sia un essere incontaminato e pulito, senza un passato che rifletta sospetti sulla sua reale imparzialità? La risposta più realistica è no. Tuttavia, nel caso del CIG la cui giurisdizione nella controversia di Essequibo non è riconosciuta dal Venezuela –secondo quanto stabilito nel 1966– c’è la mano degli USA e della sua transnazionale ExxonMobil.
Nel 2016, 50 anni dopo la firma dell’Accordo di Ginevra, la compagnia ha iniziato a esercitare pressioni per rilanciare il conflitto al fine di sfruttare i giacimenti nelle acque continentali –da delimitare e in acque di sovranità venezuelana– al largo della regione di Essequibo. La Guyana ha firmato un importante contratto con la Esso, filiale della multinazionale, sul modello delle concessioni petrolifere.
Il fatto che la Presidentessa della Corte abbia mantenuto un rapporto così stretto con un governo democratico è altrettanto o più rivelatore del fatto che Rex Tillerson, ex capo della diplomazia nordamericana nominato dall’ex presidente Donald Trump, sia stato direttore esecutivo di ExxonMobil tra 2006 e 2016.
Con giudici con una carriera terrafagica o funzionali al metabolismo multilaterale cooptato da USA e Unione Europea, lo scenario appare complesso. Il lodo arbitrale del 1899 è stato già un esempio di come si possa orchestrare l’espropriazione territoriale a partire da istanze coloniali.