Forse abbiamo una formula politica per lavorare con la difficile equazione che ci pongono queste dure “idi di gennaio” se ad un’idea di José Martí aggiungiamo un ritornello ripetuto dalla conduttrice del programma ‘La Pupila asombrada’.
In tempi di fede non può mancare la critica, come in tempi di critica non può mancare la fede, diceva il sempre ricorrente Apostolo cubano, al quale dovremmo aggiungere, come Karen Brito: … “E anche viceversa”… Soprattutto , dopo i discorsi esecutivi e politici, nonché i dibattiti parlamentari svoltisi la settimana scorsa.
L’abbandono del narcisismo politico che ha obnubilato i cosiddetti “socialismi reali”, diventati letali – perché hanno abbandonato il potere rigenerativo della critica – è qualcosa di molto apprezzato in questo arcipelago dove, come ha affermato il primo ministro Manuel Marrero Cruz, siamo passati dai tempi del Paese in trincea a quelli di un’economia in tempo di guerra. Non importa che questa sia così sottilmente senz’anima che non sempre riusciamo a sentire chiaramente neppure da dove provengono i colpi, né a chi mirano, al di là della lotta in superficie.
Questa mentalità è così radicata che nei giorni scorsi un illustre collega si lamentava che nel territorio di sua giurisdizione gli era stata chiesta una “tregua” alle critiche della stampa perché era stato cambiato un funzionario, mentre le sofferenze dei cittadini, dell’economia e della società si mantenevano inalterati.
A questo punto del campionato, l’unica tregua martianamente feconda che potremmo concederci è quella di risolvere i gravi problemi che affronta il Paese.
Ogni cittadino gravemente colpito dalla crisi, che è già così lunga, e per questo imperscrutabile, si rammarica dell’assenza della buona notizia a cui non dovremmo mai rinunciare in questi tempi, benché apprezziamo l’onestà frontale con cui dai massimi poteri esecutivi e politici della nazione, ci si è prospettata la realtà del peso dell’aggressione esterna e delle contorsioni interne, con un peso non minore sulla bilancia. Soprattutto perché queste vanno nel conto di quella che oggi dovremmo battezzare come la “soluzione interna lorda” (SIL); in questo caso, invece che “lorda”, creativa e intelligente, come ripetutamente affermiamo, in un appellativo che a tratti sa di slogan.
La franchezza con cui sono stati affrontati i dilemmi cubani nell’ultima Assemblea Nazionale del Potere Popolare risalgono a quel forte discorso di Raúl a Camagüey – nelle commemorazioni del 26 luglio – nel momento in cui cominciava a prendere in mano le redini politiche e statali del Paese, e quello di Fidel il 17 novembre 2005, nell’Aula Magna dell’Università dell’Avana.
Da entrambi si può dedurre, come dalla situazione attuale con cui attualmente lottiamo, che la verità è tanto scorrevole come la porta di un armadio e che non dobbiamo convertire “benedizioni circostanziali” in “dogmi celesti”. Perché nei ragionamenti di Marrero e Díaz-Canel, come in quelli dei dirigenti più noti, è in gioco qualcosa di più dell’esistenza momentanea della Rivoluzione. Il socialismo è pressato ad avanzare verso un modello in cui non vi sia spazio per l’accomodamento e l’inerzia che ne consegue.
Raúl, che ha particolarmente guidato l’attualizzazione di questo cammino verso l’ignoto che è il socialismo, ha sempre ribadito che è necessario lavorare con senso critico e creatore, senza stagnazioni o schematismi. Mai credere che ciò che facciamo sia perfetto e non tornare a riesaminarlo.
Insiste, inoltre, sul fatto che abbiamo il dovere di domandarci quante cosa facciamo per realizzarla sempre meglio, di trasformare concezioni e metodi che sono stati appropriati alla loro epoca ma che sono già stati superati dalla vita stessa, lasciando al di fuori di ogni domanda la volontà di costruire il socialismo. Sul punto di celebrare i 65 anni del trionfo della Rivoluzione a Cuba, tra tante minacce e pericoli, soprattutto contro la giustizia, la libertà, la moralità e la dignità che hanno reso singolarmente grande Cuba, devono essere assunti come chiavi per passare attraverso la porta magica del futuro della Rivoluzione cubana.
Dovremmo sempre interrogarci se in ogni spazio e istanza del Paese abbiamo camminato con loro come il servo d’oro del fumetto, capace di dare “brillantezza e ricchezza” a tutto ciò che tocchiamo sul nostro cammino, e non come una scusa verbosa.
Solo che a questo punto non ci basta la capacità critica. L’onestà critica esige essere accompagnata dalla capacità risolutiva. Solo allora potremo sostituire le autocritiche con una vita migliore e più prospera, come è stato progettato il nostro socialismo. Gli ideali che non vengono messi in discussione ammuffiscono, s’incartapecoriscono e muoiono. Una Rivoluzione deve essere un questionamento perenne.
Quando invece di ripeterle come un ritornello alla moda le assumiamo in profondità, fiorirà il potere trasformatore che potranno raggiungere quelle parole sottolineate da Raúl: coraggio politico, sincerità, efficienza, trasformare concezioni e metodi, mettere in discussione ciò che facciamo, cambi strutturali e concettuali, consolidare risultati, studio approfondito, approccio globale e differenziato, esigenza, efficacia, perseveranza , organizzazione, controllo, serenità, disciplina, razionalità, sensibilità, ordine, serietà, risparmio, lungimiranza, valutando profondamente, non creando false aspettative, senza vantarsi, senza disperazione, senza improvvisazioni.
Come ho già sottolineato una volta, Cuba deve essere capace di esorcizzare i suoi “demoni dolciastri”, non sia che, da essere così dolce, possa sopravvenire l’“iperglicemia”.
(Tratto da Juventud Rebelde)
Honestidad crítica y capacidad resolutiva; y también viceversa
Por: Ricardo Ronquillo
Tal vez tengamos una fórmula política para trabajar con la difícil ecuación que nos plantean estos duros “idus de enero” si a una idea de José Martí agregamos un bocadillo reiterado por la conductora del programa La Pupila asombrada.
En las épocas de fe no puede faltar la crítica, como en las épocas de crítica no puede faltar la fe, refería el siempre recurrente Apóstol cubano, a lo que tendríamos que añadir, como la Karen Brito: … “Y también viceversa”… Sobre todo, tras los discursos ejecutivo y político, así como los debates parlamentarios ocurridos la pasada semana.
El abandono del narcisismo político que obnubiló a los llamados “socialismos reales”, devenidos en letales —porque abandonaron el poder regenerativo de la crítica— es algo que se agradece mucho en este archipiélago donde, como reflexionó el Primer Ministro, Manuel Marrero Cruz, pasamos de los tiempos del país en una trinchera a los de una economía en tiempos de guerra. No importa que esta sea tan sutilmente desalmada que no siempre seamos capaces de sentir claramente ni por donde vienen los tiros, ni a quienes apuntan, más allá de la refriega en la superficie.
Está tan enraizada dicha mentalidad, que en días recientes un reconocido colega se quejaba de que en el territorio de su jurisdicción se le pedía “tregua” a las críticas de la prensa porque se había cambiado a un funcionario, mientras los padecimientos de la ciudadanía, la economía y la sociedad se mantienen en sus trece.
A estas alturas del campeonato la única tregua martianamente fecunda que podríamos darnos es la de la solución de los graves problemas que afronta el país.
Todo ciudadano golpeado severamente por la crisis, que ya se hace tan larga, y por ello mismo inescrutable, lamenta la ausencia de las buenas noticias a las que nunca deberíamos renunciar para estas fechas, aunque agradecemos la honestidad frontal con la que desde los máximos poderes ejecutivos y políticos de la nación se nos planteó la realidad del peso de la agresión externa y de los retorcijones internos, con no menor peso en la balanza. Sobre todo, porque estos van a la cuenta de la que desde ya deberíamos bautizar como la “solución interna bruta” (SIB); en este caso, en vez de “bruta”, creativa e inteligente, como reiteradamente nos reclamamos, en un apelativo que por momentos sabe a consignas.
La franqueza con la que se abordaron los dilemas cubanos en la pasada Asamblea Nacional del Poder Popular retrotraen a aquel discurso aldabonazo de Raúl en Camagüey —en las recordaciones de un 26 de julio— en los momentos en que comenzaba a tomar las riendas políticas y estatales del país, y al de Fidel el 17 de noviembre de 2005, en el Aula Magna de la Universidad de La Habana.
De ambos se puede colegir, como de la situación con la que actualmente lidiamos, que la verdad es tan corrediza como la puerta de un escaparate, y que no debemos convertir “bendiciones circunstanciales” en “dogmas celestiales”. Porque en los razonamientos de Marrero y Díaz-Canel, como en los de líderes más connotados, se juega algo más que la existencia momentánea de la Revolución. El socialismo está urgido de avanzar hacia un modelo en el que no haya espacio para el acomodamiento y la inercia que le sigue.
Raúl, quien ha encabezado particularmente la actualización de ese camino hacia lo ignoto que es el socialismo, siempre reforzó que se requiere trabajar con sentido crítico y creador, sin anquilosamiento ni esquematismos. Nunca creernos que lo que hacemos es perfecto y no volverlo a revisar.
Insiste, además, que estamos en el deber de cuestionarnos cuanta cosa hacemos en busca de realizarla cada vez mejor, de transformar concepciones y métodos que fueron los apropiados en su momento, pero han sido ya superados por la propia vida, dejando solo fuera de todo cuestionamiento la voluntad de construir el socialismo. A punto de celebrar los 65 años del triunfo de la Revolución en Cuba, entre tantas acechanzas y peligros, especialmente contra la justicia, la libertad, la moral y la dignidad que han hecho singularmente grande a Cuba, deben asumirse como claves para traspasar la puerta mágica del futuro de la Revolución Cubana.
Deberíamos cuestionarnos siempre si en cada espacio e instancia del país hemos caminado con ellas como el siervo de oro de la historieta, en capacidad de darle “brillantez y riqueza” a todo lo que tocamos a nuestro paso, y no como comodín verborreico.
Solo que a estas alturas no nos alcanza con la capacidad crítica. La honestidad crítica exige ser acompañada por la capacidad resolutiva. Solo entonces podremos sustituir las autocríticas por una vida mejor y más próspera, como se diseñó para nuestro socialismo. Los ideales que no se cuestionan enmohecen, se encartonan y perecen. Una Revolución debe ser una perenne interrogante.
Cuando en vez de repetirlas como estribillo de moda las asumamos a profundidad, florecerá el poder transformador que pudieran alcanzar esas palabras acentuadas por Raúl: valentía política, sinceridad, eficiencia, transformar concepciones y métodos, cuestionarnos cuanto hacemos, cambios estructurales y de conceptos, consolidar resultados, estudio con profundidad, enfoque integral y diferenciado, exigencia, efectividad, constancia, organización, control, serenidad, disciplina, racionalidad, sensibilidad, orden, seriedad, ahorro, previsión, valorar con profundidad, no crear falsas expectativas, sin alardes, sin desesperos, sin improvisaciones.
Como ya acentué alguna vez, Cuba tiene que ser capaz de exorcizarse de sus “demonios almibarados”, no sea que, de tan dulce, pueda sobrevenir la “hiperglicemia”.
(Tomado de Juventud Rebelde)