La Rivoluzione cubana compie 65 anni

Andrea Puccio

Sessantacinque anni fa, il 1’ gennaio 1959, a Cuba trionfava, dopo due anni di intensi combattimenti contro l’esercito di Fulgencio Batista, la rivoluzione capeggiata da Fidel Castro.

Ripercorriamo gli avvenimenti più importanti degli ultimi giorni che hanno preceduto il trionfo rivoluzionario del popolo cubano.

L’isola era, alla fine del 1958, praticamente divisa in due: la ferrovia era interrotta in vari punti, le strade controllate dai guerriglieri. In oriente era guerra totale e le truppe governative potevano ricevere i rifornimenti solo per via marittima o aerea.

Nel centro dell’isola le colonne di Camillo Cienfuegos e di Ernesto Che Guevara avevano sferrato anche loro l’assalto finale al regime. Il 18 dicembre 1958, dopo due giorni, di combattimenti cade la città di Fomento, il 21 caddero Cabaiguan e Guayos, lo stesso giorno inizia l’assedio a Yaguajai che resisterà per dieci giorni. Le città erano quasi completamente isolate e le caserme erano lasciate al loro destino dato che non ricevevano più rifornimenti.

La colonna del Che due giorni dopo, in rapida successione, occupa le città di Placeta, Remedios e Caibarien che cadrà il 26. Santa Clara, il capoluogo della provincia di Las Villas, importante città di circa 150 mila abitanti posizionata nel centro dell’isola e fondamentale nodo ferroviario, era sempre più vicina. L’attacco fu sferrato la mattina del 29 dicembre 1958 e cadde tre giorni dopo. In questo scontro perde la vita Roberto Rodriguez, uno dei più valorosi guerriglieri della lotta rivoluzionaria.

Mentre imperversava la battaglia di Santa Clara, il 28 dicembre 1958 il Generale Cantillo a capo della guarnigione di Santiago, incontra segretamente Fidel per trattare la resa. Il Generale Cantillo avrebbe abbandonato Santiago in aereo per raggiungere L’Avana per incontrare gli altri capi dell’esercito e convincerli ad arrendersi e consegnare le armi ai ribelli. Ma Cantillo fa il doppio gioco: si accorda con gli Stati Uniti che volevano sbarazzarsi di Batista ma non volevano che vincesse la guerra l’esercito castrista.

In una concitata riunione con l’ambasciatore americano Smith, i Generali accettarono di formare una giunta militare, subito riconosciuta dagli Stati Uniti e dalle opposizioni di Miami, per ristabilire la democrazia a Cuba. Il 1 gennaio 1959 alle 2 della notte, mentre i cubani festeggiavano il capodanno, Fulgencio Batista abbandona l’isola in fretta e furia in aereo con destinazione Santo Domingo.

Ben presto si accorgono che Cantillo stava facendo il doppio gioco. Fidel Castro lancia dai microfoni di Radio Rebelde un appello alla popolazione perché insorga contro la giunta militare. Queste le parole pronunciate:

“Una giunta militare in complicità con il tiranno ha assunto il potere per garantire la sua fuga e quella dei principali assassini e per cercare di frenare la spinta rivoluzionaria per privarci della vittoria. L’esercito ribelle continuerà la sua irrefrenabile campagna e accetterà solo la resa incondizionata delle guarnigioni militari.

Il popolo cubano e i lavoratori devono immediatamente prepararsi per il 2 gennaio per iniziare uno sciopero generale che appoggi le armi rivoluzionarie garantendo in tal modo la vittoria totale della rivoluzione. Sette anni di eroica lotta, migliaia di martiri che hanno versato il proprio sangue in ogni luogo di Cuba, non verranno messi al servizio di coloro che fino a ieri furono complici e responsabili della tirannia e dei suoi crimini perché continuino a comandare a Cuba.

I lavoratori, seguendo le direttive del Movimiento 26 de Julio, devono, oggi stesso, occupare tutti i sindacati e organizzarsi nelle fabbriche e nei centri di lavoro per iniziare domani all’alba la paralizzazione completa dell’isola. Batista e Mujal sono fuggiti ma i loro complici sono rimasti a capo dei sindacati e dell’esercito. Colpo di stato per tradire il popolo, no. Equivarrebbe a prolungare la guerra. Finché Columbia non si sarà arresa la guerra non potrà terminare. Questa volta niente nessuno potrà impedire il trionfo della rivoluzione. Lavoratori, questo è il momento in cui tocca a voi assicurare il trionfo della rivoluzione. Da oggi Sciopero generale rivoluzionario in tutti i territori liberati”.

Il 2 gennaio 1959 Cuba era paralizzata; gruppi di lavoratori armati avevano occupato i principali edifici pubblici, parte dell’esercito era passato nelle file dei ribelli. Da Santiago, Fidel ordina alle colonne di Camilo e del Che di dirigersi a L’Avana che fu occupata senza colpo ferire. Fidel raggiunse la capitale l’8 gennaio 1959 a capo della Carovana della Libertà dopo aver percorso da oriente ad occidente l’intera isola.

Nella capitale, come nelle altre città toccate, la Carovana della Libertà veniva accolta da folle festanti.

La guerra di liberazione era vinta ma adesso, come Fidel scriveva a Celia Sanchez, ne inizia una più lunga e difficile: quella contro l’imperialismo. Una guerra che Fidel, con a fianco il suo popolo, ha sempre combattuto in prima fila da protagonista.

E sessantacinque anni dopo, nonostante tutti i tentativi delle varie amministrazioni statunitensi di riprendersi l’isola, la rivoluzione continua a comandare a Cuba per buona pace della Casa Bianca e di tutti coloro che hanno tentato e tentano di sovvertire il legittimo governo di L’Avana.

tratto da: “Cuba: una rivoluzione in evoluzione” di Andrea Puccio


2 gennaio 1959. Abbiamo vinto la guerra. La rivoluzione comincia adesso

 

Durante la notte arriva Camilo alla testa della sua colonna; i due amici si incontrano nell’edificio dei Lavori pubblici mentre per la colonna di Camilo vengono preparati seicento panini e ventiquattro casse di birra Hatuey. Saranno loro i primi a muoversi verso L’Avana dove arriveranno la mattina intorno alle cinque.

Nella notte all’Avana, dopo che si è saputo della fuga di Batista, gli studenti cominciano a concentrarsi, e sulla collina dell’università compaiono delle bandiere del 26 Luglio. La popolazione si riversa nelle strade, ci sono saccheggi nell’Hotel Biltmore, nel Sevilla Plaza e nei casinò.

Milizie del 26 Luglio occupano le redazioni dei giornali batistiani, e per rappresaglia la polizia apre il fuoco sulle concentrazioni di civili nei quartieri bassi. Vengono liberati i prigionieri dal carcere del Principe. Nel caos i quadri urbani del 26 Luglio e del II Fronte cercano di coprire i vuoti di un potere molto precario, perché dopotutto ci sono ancora migliaia di soldati batistiani nelle caserme.

I poliziotti abbandonano diverse stazioni, solo in alcune rispondono sparando alla pressione della moltitudine che si va radunando nelle strade. Alle due del pomeriggio l’ambasciatore statunitense Earl T. Smith, accompagnato da altri membri del corpo diplomatico, si riunisce con Cantillo (non con il presidente Piedra: non c’è dubbio su chi detenga il potere reale).

Gli statunitensi cercano un’uscita dalla dittatura che non passi per Fidel e per il 26 Luglio ma che escluda i batistiani, tentando così, in modo molto goffo, di salvare le apparenze. Il settore su cui puntano per il ricambio è quello dei “militari puri”, capeggiati da Barquin y Barbonet, che avevano cospirato contro Batista ed erano in carcere. Cantillo è docile alle pressioni e alle sette di sera fa uscire il militare dalla prigione di Isla de Pinos insieme al leader del 26 Luglio Armando Hart.

La popolazione è per le strade. La festa popolare dilaga per Santa Clara, grida e pianti, i ribelli sono portati in trionfo dalla folla. Nella città liberata si balla e si canta, e si chiede anche la fucilazione dei torturatori catturati. Oltuski continua: «La notizia della resa dell’esercito della dittatura era corsa per tutta la città e migliaia di persone stavano convergendo nell’edificio in cui ci trovavamo. Sapevano che lì c’era il Che e nessuno voleva perdere l’occasione di conoscerlo.

Fu necessario mettere delle guardie all’entrata per impedire che quella massa umana ci travolgesse. «Al piano di sopra fu organizzato un carcere provvisorio per i criminali di guerra delle forze repressive che, uno dopo l’altro, venivano scoperti e catturati dal popolo». Le fonti si contraddicono rispetto ai nomi e al numero, ma non c’è alcun dubbio che durante quelle prime ore della liberazione di Santa Clara il Che abbia firmato la condanna a morte di diversi poliziotti batistiani che la gente accusava di essere torturatori e violentatori. All’inizio si tratta di molti degli arrestati che avevano operato come cecchini nell’hotel di Santa Clara: Villaya, Félix Montano, José Barroso Pérez, Ramon Alba Moya, Mirabal. Aleida precisa che fu Marta Lugioyo, un avvocato del 26 Luglio, a redigere gli ordini di fucilazione, in accordo con il codice penale che vigeva sulla Sierra. A questo gruppo va aggiunto il comandante della guarnigione, Casillas Lumpuy, che era stato arrestato dalle truppe di Bord6n mentre tentava di fuggire dalla città. Non feci né più né meno di quello che esigeva la situazione: la condanna a morte di quei dodici assassini perché avevano commesso crimini contro il popolo, non contro di noi. Tra l’altro, Casillas non morirà fucilato ma lottando con una delle guardie che lo stanno portando all’esecuzione. La fotografia di Casillas, vestito con una camicia a quadri a maniche corte, che tenta di togliere il fucile al suo custode farò il giro del mondo. Due giorni dopo sarà fucilato il capo della polizia Cornelio Rojas, arrestato a Caibarién nel tentativo di fuggire. Mentre a Santa Clara i combattenti del Che e del Direttorio mantengono un ferreo controllo sulle armi e sulla situazione nelle strade, all’Avana la folla esercita una giustizia per molto tempo rimandata: una specie di vandalismo razionale e selettivo guida la gente che attacca le stazioni della Shell, di cui si diceva che avesse collaborato con Batista regalandogli dei carri armati, devasta i casinò, proprietà della mafia statunitense e del sottobosco batistiano, distrugge i parchimetri, uno degli affari loschi del sistema, assalta la casa dei rappresentanti del regime (in quella del sindacalista Mujal buttano dalla finestra l’impianto dell’aria condizionata). La perdita di controllo dell’apparato repressivo, che si va disgregando in pochi secondi con la fuga in massa dei quadri batistiani, genera un vuoto di potere che né Cantillo né Barquin riescono a riempire, di fronte al rifiuto di trattare delle forze rivoluzionarie. Vengono presi gli studi della televisione e davanti alle telecamere testimoni spontanei denunciano gli orrori della passata repressione batistiana. Alle nove di sera viene concordata la resa di Santiago. Fidel entra nella capitale d’Oriente, riceve il giuramento come presidente del magistrato Manuel Urrutia e annuncia che marcerà sull’Avana. Ripete la proclamazione di uno sciopero generale rivoluzionario. Radio Rebelde diffonde il divieto di consumare alcolici nelle città liberate. A Santa Clara il Che comincia a raggruppare i plotoni dispersi della sua colonna: vengono convocate le forze di Bordon e di Ramiro. Alcune macchine con altoparlante girano per la città chiamando a raccolta i ribelli della colonna. Il Che viene a sapere che alcuni combattenti si stanno impadronendo di automobili abbandonate dai batistiani fuggiti e, infuriato, ordina che vengano consegnate le chiavi. Non avrebbero buttato all’aria in un momento quello che l’Esercito ribelle aveva sempre avuto come norma: il rispetto per gli altri. Sarebbero andati all’Avana in camion, in autobus o a piedi, ma tutti allo stesso modo. Fa una ramanzina al giovane Rogelio Acevedo, che ha requisito una Chrysler del ’58, e lo manda a prendere la sua vecchia jeep. In quelle ore riceve una comunicazione da Gutiérrez Menoyo, che mette a sua disposizione le truppe del II Fronte. Non c’era nessun problema. Demmo quindi istruzioni perché ci aspettassero, dato che dovevamo sistemare le questioni civili della prima grande città conquistata. Il combattente Mustelier chiede al Che il permesso di andare nell’Oriente per vedere la sua famiglia: il comandante della colonna risponde seccamente di no. «Ma Che, ormai abbiamo vinto la rivoluzione.»  «No, abbiamo vinto la guerra. La rivoluzione comincia adesso»

https://robertofraschetti.blogspot.com

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