VERSO UNA NATOIZZAZIONE DEL CONFLITTO E DELL’ECONOMIA
Nei giorni scorsi, il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha rifiutato il sostegno offerto dal suo omologo venezuelano, Nicolás Maduro Moros, alla lotta contro il crimine organizzato legato al narcotraffico. In un’intervista al media La Posta ha risposto: “Grazie, ma no grazie. Questa è la mia risposta. Ho sufficienti problemi qui in questo paese per andare in giro a risolvere altri problemi. Semplicemente, no. Molte grazie.”
Questa ed altre posizioni riferite al conflitto interno ecuadoriano rivelano la strada che Noboa ha deciso di intraprendere a questo riguardo: NATOizzare la sicurezza dell’Ecuador.
LA MACCHIA RIBELLE DEL CRIMINE ORGANIZZATO
Diverse analisi suggeriscono che il fenomeno ha cominciato ad intensificarsi in Ecuador a partire dalla pandemia globale. La dinamica città di Guayaquil ha funzionato come epicentro delle attività che hanno portato il paese andino a passare dal 31° all’11° posto nel cosiddetto Indice Globale del Crimine Organizzato. Lo rivela un rapporto pubblicato lo scorso settembre dall’Iniziativa Globale contro il Crimine Organizzato Transnazionale (GI-TOC), finanziata dagli USA ed Unione Europea (UE).
Il Paese ha raggiunto 7,07 punti, al di sopra della media globale della criminalità pari a 5 punti. Secondo il rapporto, l’attività criminale è guidata da organizzazioni con portata transnazionale in Colombia, Messico, Albania e Cina. È anche sponsorizzata da settori dell’economia “formale” che proteggono e incoraggiano il riciclaggio dei narco proventi.
Il metodo criminale con il maggiore impatto sociale ha a che fare con l’estorsione e il ricatto sistematici (“vaccino”) per ottenere protezione. Con il controllo territoriale generato, le bande minacciano l’abitabilità di alcune zone dell’Ecuador, ciò che si considera una delle principali ragioni che promuove la migrazione dei suoi cittadini in età lavorativa.
Le carceri sono servite come centri operativi poiché il governo del banchiere Guillermo Lasso ha finito per perdere il loro controllo, i principali cartelli hanno cominciato a transnazionalizzarsi e a funzionare come “franchising”. Da queste strutture viene coordinato il traffico illegale di armi attraverso “narco-aerei” che entrano nel paese con denaro e materiale bellico proveniente dai cartelli messicani. A ciò si aggiunge la decisione di Lasso di facilitare l’accesso alle armi ai civili.
La crisi del sistema carcerario è stata uno dei fattori chiave del caos che è diventato sistemico. Dal febbraio 2021, circa 450 prigionieri sono morti nel vivo della guerra tra bande per il controllo delle carceri. Solo il 28 settembre dello stesso anno a Guayaquil si sono avuti 125 morti e sulle reti sociali sono circolate scene di mutilazioni, omicidi con armi da fuoco e incenerimento di circa 67 persone.
L’effetto sugli indicatori di violenza è diretto. Mentre la politica dell’ex presidente Rafael Correa (2007-2017) ha scelto di lavorare con le bande, incorporandole in determinate attività sociali e impedendo che fossero cooptate dal crimine organizzato, si sono registrate circa 5 morti violente ogni 100000 abitanti.
I governi di Lenín Moreno e Lasso (rispettivamente 2017-2021 e 2021-2023) hanno deciso di ridurre la presenza dello Stato e di assumere una prospettiva punitiva, per cui, attraverso aggiustamenti strutturali imposti dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Ecuador ha raggiunto più di 42 morti ogni 100mila abitanti.
È già stato analizzato il rapporto tra la produzione di povertà a partire dall’intossicazione neoliberale di questi governi, così come l’effetto di una “nuova geografia” nell’espansione e complessità della catena di produzione e commercializzazione della droga.
MILITARIZZAZIONE DEL CONFLITTO… E DELL’ECONOMIA
Due mesi dopo aver assunto il mandato che completerà il troncato governo di Lasso, il presidente Noboa ha decretato lo stato di emergenza su scala nazionale, attraverso il Decreto Esecutivo (DE) 110, e il conflitto armato interno in tutto il paese, attraverso il DE 111. Il nemico: 22 organizzazioni legati al traffico di droga classificate come gruppi terroristici. Ha anche adottato misure economiche per finanziare la guerra dichiarata e ha accettato “volentieri” l’aiuto offerto dagli USA per la causa.
Tra il 9 e il 25 gennaio, il bilancio presentato dalla polizia ecuadoriana è il seguente:
#Sono state arrestate 237 persone accusate di “terrorismo” in 44013 operazioni effettuate in territori sotto l’influenza delle bande criminali.
#Di queste operazioni, 88 sono state dirette contro gruppi “terroristici” e cinque membri di queste organizzazioni sono stati uccisi.
#Sono state sequestrate 1267 armi da fuoco, 1537 coltelli, 929 generatori, 5243 esplosivi, 67203 munizioni e 1239 telefoni cellulari, oltre a 35,8 tonnellate di droga.
#Sono state distrutte la cifra record di 21,5 tonnellate di cocaina, sequestrate in una fattoria della provincia costiera di Los Ríos (centro), nel corso di un’operazione militare condotta lo scorso 21 gennaio.
#Sono stati sequestrati 21171 galloni di carburante, 28 imbarcazioni e 77873 $, inoltre sono stati recuperati 812 veicoli e 458 motociclette.
Noboa ha optato per militarizzare il conflitto e di aumentare l’approccio punitivo dei predecessori che occupavano il Palazzo Carondelet. La sua intenzione, secondo alcune analisi, è quella di recuperare il capitale politico nel mezzo di una crisi di sicurezza per la quale non era stata pianificata alcuna risposta o azione.
Le critiche alla sua politica si fondano sul rischio rappresentato dal riconoscimento dello status di forza belligerante ai gruppi criminali organizzati. Ciò introduce un inedito status politico che obbliga che siano trattati secondo quanto stabilito dal diritto umanitario internazionale.
Inoltre, il presidente ha dichiarato che la guerra comporta “costi economici” e l’11 gennaio ha inviato all’Assemblea Nazionale un nuovo progetto di Legge Organica per Affrontare il Conflitto Armato Interno, la Crisi Sociale ed Economica che aumenta l’imposta sul valore aggiunto (IVA). ) dal 12% al 15%. La proposta propone di impedire la ridistribuzione dell’aumento ai governi autonomi decentralizzati e alle università, contrariamente alla legislazione attuale.
La terapia d’urto delle élite economiche gode di buona salute; è il terreno fertile per un’agenda neoliberale, in coordinamento con il FMI, che inizierebbe con un nuovo credito e un nuovo programma di consolidamento fiscale. Una nuova fase, che non è ancora iniziata, comporterebbe l’eliminazione dei sussidi per i combustibili, riforme del lavoro e privatizzazione della sicurezza sociale.
VERSO LA NATOIZZAZIONE DELL’ECUADOR?
Un inciampo nel cammino verso la NATOizzazione dell’America Latina si è verificata quando, nel 2009, Correa ha chiuso la base militare che gli USA avevano installato a Manta, dal 1999, come enclave sinergica del Plan Colombia. Gli indicatori hanno mostrato come l’approccio globale dell’economista abbia affrontato un problema transnazionale attraverso la partecipazione di uno Stato forte e un quadro giuridico basato su una visione sociale.
Gli eventi che si stanno sviluppando con forza mostrano movimenti che cercano di rafforzare il suddetto percorso. Il marchio NATO dell’approccio di Noboa al conflitto è una prova esplicita del suo manifesto allineamento con l’intervento USA al di sopra di qualsiasi altro sostegno regionale.
Mentre ha allentato le misure di emergenza, il governo ecuadoriano ha annunciato, attraverso la sua cancelliera, Gabriela Sommerfeld, che il suo Paese può “vendere”, “regalare” o “scambiare” attrezzature militari acquistate dalla Russia e attualmente non operative. Ciò corrisponde al fatto che gli USA stanno acquistando armi in vari continenti e nazioni per consegnarle all’Ucraina, come presunta compensazione per il taglio dei finanziamenti recentemente annunciato.
Lasciando le proprie politiche di sicurezza nelle mani della deriva NATOista, l’élite ecuadoriana al governo assume una posizione chiara schierandosi nelle tensioni globali che vedono gli USA e i suoi partner, da un lato, cercare di mantenere una configurazione unipolare del sistema geopolitico globale, e potenze emergenti come Cina e Russia, d’altro canto, che cercano il multipolarismo. Le decisioni prese in pochi giorni non sono di minor conto, resta inteso che Washington ha agito rapidamente per garantire la propria influenza su Quito e disarticolare qualsiasi sostegno da Mosca o Pechino.
Gli avvertimenti di Mosca non si sono fatti attendere: il governo russo ha avvertito Quito, attraverso una nota del Servizio Federale per la Cooperazione Tecnico-Militare, che: “In caso di consegna a terzi di materiale bellico prodotto dalla Russia, l’Ecuador violerebbe i suoi obblighi internazionali, il che potrebbe avere conseguenze negative per la nostra futura cooperazione bilaterale”.
Questo movimento coincide con quello tentato nel gennaio 2023 dalla generalessa Laura Richardson, capo del Comando Sud degli USA (Southcom), che ha fatto la stessa richiesta al presidente colombiano Gustavo Petro. In quell’occasione la risposta di Bogotà è stata negativa.
La settimana tra il 21 e il 27 è stata decisiva perché la terapia d’urto prendesse forma. Mentre Noboa, ha ricevuto alti funzionari USA e annunciato che cercherà finanziamenti dall’Europa per “condurre la guerra”, ha anche puntato a rinviare la chiusura del blocco petrolifero amazzonico 43-ITT – 55mila barili al giorno -, la cui chiusura è prevista previsto per agosto dopo un referendum ambientale.
SI ACCELERA IL PIANO ECUADOR
Richardson ha visitato Quito lo scorso 25 gennaio e ha assicurato che il suo paese ha un “piano quinquennale” per quanto riguarda la sicurezza dell’Ecuador. In un’intervista ha affermato che: “Di recente abbiamo fatto diverse cose con l’Ecuador. Ad esempio, la Hoja de Ruta de Asistencia de Seguridad, chiamata ESAR. E c’è solo un altro paese nella regione con cui abbiamo firmato un trattato del genere”.
Allo stesso modo, ha precisato che per l’anno fiscale Washington e Quito hanno firmato due accordi nel settembre e nell’ottobre 2023, poco prima che Lasso lasciasse la presidenza, vale a dire: “Accordo tra la Repubblica dell’Ecuador e gli Stati Uniti d’America relativo ad Operazioni Contro Attività Marittime Transnazionale Illecite” e “Accordo tra il Governo della Repubblica dell’Ecuador e il Governo degli Stati Uniti d’America relativo allo Status delle Forze”.
Il primo prevede l’applicazione di operazioni combinate tra i due paesi, che sarebbero precedentemente pianificate e autorizzate dalla Marina ecuadoriana, in concreto: navi USA potranno agire nelle acque ecuadoriane quando scopriranno attività legate al narcotraffico, alla pesca illegale e al traffico di migranti .
Per giustificare il secondo accordo, le autorità di entrambi i paesi hanno puntualizzato, rispetto al comando dello Stato ecuadoriano, i vantaggi di poter contare sull’operatività militare USA e l’impossibilità di installare truppe di questo paese in Ecuador.
E, COME SEMPRE, LA GUERRA
Il dibattito sul percorso di NATOizzazione di Noboa rimane vivo: alcuni analisti locali hanno insistito sul fatto che la chiave è sfruttare l’offerta di 38 paesi della regione affinché l’Ecuador possa beneficiare di piani completi di intelligence e sicurezza con un approccio regionale.
Altre analisi evidenziano i fallimentari risultati del Plan Colombia, basati sull’approccio nettamente bellico attribuito all’ingerenza USA e dei suoi interessi geopolitici ed economici. Questi mirano sempre a favorire il Complesso Industriale Militare che dinamizza la sua economia.
Assumendosi il ruolo di “presidente in guerra”, potrebbe imitare ricette di mano pesante sullo stile dell’ex presidente messicano Felipe Calderón. Ciò hanno trasformato la guerra contro il narcotraffico in una metastasi del potere e nella riproduzione di cartelli come quello di Sinaloa, alleato di “Los Choneros”, o quello di Jalisco Nueva Generación, legato a “Los Lobos”.
Per ora, il suo governo non sembra determinato ad ampliare la propria visione al rafforzamento dei meccanismi di ripresa dell’istruzione e dell’occupazione per le nuove generazioni, bensì a sommergersi in un cocktail di violenza economico-neoliberale, rinuncia alla sovranità e militarizzazione della regione.
Tutto ciò per soddisfare l’esigenza di controllo geopolitico degli USA, capo della NATO, che insiste sul fatto che la sua declinante egemonia sopravviva alla sconfitta in Ucraina.
HACIA UNA OTANIZACIÓN DEL CONFLICTO Y DE LA ECONOMÍA
EE.UU. MILITARIZA ECUADOR CON EL AVAL DE NOBOA (ANÁLISIS ESPECIAL)
Eder Peña
En días pasados, el presidente ecuatoriano Daniel Noboa rechazó el apoyo ofrecido por su homólogo venezolano, Nicolás Maduro Moros, para luchar contra el crimen organizado en torno al narcotráfico. En entrevista al medio La Posta respondió: “Gracias, pero no, gracias. Esa es mi respuesta. Tengo suficientes peleas aquí en este país como para ir ganando peleas adicionales. Simplemente, no. Muchas gracias”.
Esta y otras posiciones referidas al conflicto interno ecuatoriano develan el rumbo que ha decidido asumir Noboa al respecto: otanizar la seguridad de Ecuador.
LA MANCHA REBELDE DEL CRIMEN ORGANIZADO
Distintos análisis apuntan a que el fenómeno comenzó a escalar en Ecuador a partir de la pandemia global. La dinámica ciudad de Guayaquil ha funcionado como epicentro de las actividades que han llevado al país andino a pasar del puesto 31 al 11 en el llamado Índice Global de Crimen Organizado. Así lo revela un informe publicado en septiembre pasado por la Iniciativa Global contra el Crimen Organizado Transnacional (GI-TOC), financiada por Estados Unidos y la Unión Europea (UE).
El país alcanzó 7,07 puntos, por encima de la media global de criminalidad de 5 puntos. La actividad delictiva es motorizada por organizaciones con alcance transnacional en Colombia, México, Albania y China, según el informe. También es patrocinada por sectores de la economía “formal” que amparan y dinamizan el narcolavado.
El método delictivo con mayor impacto social tiene que ver con la extorsión y el chantaje sistemáticos (“vacuna”) para procurar protección. Con el control territorial generado, las bandas amenazan la habitabilidad de determinadas zonas de Ecuador, lo que se ha considerado como uno de los mayores motivos que impulsa la migración de sus ciudadanos en edad laboral.
Las cárceles han servido como centros de operaciones debido a que el gobierno del banquero Guillermo Lasso terminó de perder su control, los principales cárteles comenzaron a transnacionalizarse y a funcionar como “franquicias”. Desde esas instalaciones se ha coordinado el tráfico ilegal de armas mediante “narcoavionetas” que entran en el país con dinero y material bélico proveniente de los cárteles mexicanos. A esto se suma la decisión de Lasso de facilitar el acceso de armas a civiles.
La crisis del sistema penitenciario ha sido uno de los factores claves en el caos que ha pasado a ser sistémico. Desde febrero de 2021, unos 450 presos han muerto al calor de la guerra entre bandas por el control carcelario. Solo el 28 de septiembre de ese año en Guayaquil hubo 125 muertos y las escenas de mutilación, asesinatos a balazos e incineración de unas 67 personas circularon por las redes sociales.
El efecto sobre los indicadores de violencia es directo. Mientras la política del expresidente Rafael Correa (2007-2017) optó por trabajar con las pandillas, incorporarlas a determinadas actividades sociales e impedir que fueran cooptadas por el crimen organizado, se registraban alrededor de cinco muertes violentas por cada 100 mil habitantes.
Los gobiernos de Lenín Moreno y Lasso (2017-2021 y 2021-2023, respectivamente) decidieron reducir la presencia del Estado y asumir una perspectiva punitiva, por lo que, vía ajustes estructurales impuestos por el Fondo Monetario Internacional (FMI), Ecuador alcanzó más de 42 muertes por 100 mil habitantes.
Ya se ha analizado la relación de la producción de pobreza a partir de la intoxicación neoliberal de dichos gobiernos, también el efecto de una “nueva geografía” en la expansión y complejización de la cadena de producción y comercialización de drogas.
MILITARIZACIÓN DEL CONFLICTO… Y DE LA ECONOMÍA
A dos meses de asumir el mandato que completará el truncado gobierno de Lasso, el presidente Noboa decretó estado de excepción a escala nacional, mediante el Decreto Ejecutivo (DE) 110, y conflicto armado interno en todo el país, mediante el DE 111. El enemigo: 22 organizaciones ligadas al narcotráfico calificadas como grupos terroristas. También tomó medidas económicas para financiar la guerra declarada y aceptó “gustoso” la ayuda ofrecida por Estados Unidos para la causa.
Entre el 9 y el 25 de enero el saldo presentado por la policía ecuatoriana es el siguiente:
Se han detenido 237 personas acusadas de “terrorismo” a partir de 44 mil 13 operativos en territorios bajo influencia de las bandas criminales.
De esos operativos, 88 fueron orientados contra grupos “terroristas” y fueron abatidos cinco miembros de esas organizaciones.
Se han decomisado 1 mil 267 armas de fuego, 1 mil 537 armas blancas, 929 alimentadoras, 5 mil 243 explosivos, 67 mil 203 municiones y 1 mil 239 teléfonos móviles, así como 35,8 toneladas de droga.
Fue destruido un récord de 21,5 toneladas de cocaína que fueron decomisadas en una finca de la provincia costera de Los Ríos (centro), durante un operativo militar ejecutado el pasado 21 de enero.
Fueron decomisados 21 mil 171 galones de combustible, 28 embarcaciones y 77 mil 873 dólares, además se recuperaron 812 vehículos y 458 motocicletas.
Noboa optó por militarizar el conflicto y aumentar el enfoque punitivo de los antecesores ocupantes del Palacio de Carondelet. Su intención, según algunos análisis, es recuperar el capital político en medio de una crisis de seguridad ante la cual no se había previsto ninguna respuesta ni acción.
Las críticas a su política se basan en el riesgo que constituye el reconocimiento a los grupos delincuenciales organizados de su estatuto de fuerza beligerante. Ello introduce un inédito estatus político que obliga a que sean tratados en función de lo que establece el derecho humanitario internacional.
Además el mandatario declaró que la guerra implica “costos económicos” y el pasado 11 de enero envió a la Asamblea Nacional un nuevo proyecto de Ley Orgánica para Enfrentar el Conflicto Armado Interno, la Crisis Social y Económica que incrementa el impuesto al valor agregado (IVA) de 12% a 15%. La propuesta plantea impedir la redistribución del incremento a los gobiernos autónomos descentralizados y a las universidades, lo contrario de la legislación actual.
La terapia de choque de las élites económicas goza de buena salud; es el caldo de cultivo para una agenda neoliberal, en coordinación con el FMI, que iniciaría con un nuevo crédito y un nuevo programa de consolidación fiscal. Una nueva fase, que aún no arranca, implicaría la eliminación de subsidios a los combustibles, reformas laborales y privatización de la seguridad social.
¿HACIA LA OTANIZACIÓN DE ECUADOR?
Un tropiezo en la ruta hacia la otanización de América Latina ocurrió cuando, en 2009, Correa cerró la base militar que Estados Unidos había instalado en Manta desde 1999, como enclave sinérgico del Plan Colombia. Los indicadores mostraron cómo el enfoque integral del economista abordó un problema transnacional mediante la participación de un Estado fuerte y un andamiaje jurídico basado en una visión social.
Los hechos que se desarrollan en caliente muestran movimientos que intentan reforzar la mencionada ruta. La marca OTAN del abordaje del conflicto por parte de Noboa es una evidencia explícita de su alineamiento manifiesto con la intervención de Estados Unidos por encima de cualquier otro apoyo regional.
Mientras ha relajado las medidas de excepción, el gobierno ecuatoriano ha anunciado, a través de su canciller, Gabriela Sommerfeld, que su país puede “vender”, “regalar” o “intercambiar” el equipamiento militar comprado a Rusia que actualmente no sea operativo. Esto se corresponde con que Estados Unidos ha estado comprando armas en diversos continentes y naciones para entregarlas a Ucrania, como presunta compensación al corte de financiamiento anunciado recientemente.
Al dejar en manos de la deriva otanista sus políticas de seguridad, la élite ecuatoriana a cargo del gobierno asume una postura clara al tomar partido en las tensiones globales que tienen a Estados Unidos y sus socios, por una parte, buscando mantener una configuración unipolar del sistema geopolítico global, y a potencias emergentes como China y Rusia, por otro lado, procurando la multipolaridad. No son menores las decisiones que han tomado en pocos días, se entiende que Washington ha actuado rápido para asegurar su influencia sobre Quito y desarticular cualquier apoyo desde Moscú o Beijing.
Las advertencias de Moscú no se han hecho esperar: el gobierno ruso ha advertido a Quito, a través una nota del Servicio Federal para la Cooperación Técnico-Militar, que: “En caso de entregar material bélico de producción rusa a una tercera parte, Ecuador violará sus obligaciones internacionales, lo que podría tener consecuencias negativas para nuestra futura cooperación bilateral”.
Este movimiento coincide con el intentado en enero de 2023 por parte de la generala Laura Richardson, jefa del Comando Sur de Estados Unidos (Southcom), quien hizo la misma solicitud al presidente colombiano, Gustavo Petro. En aquella ocasión, la respuesta desde Bogotá fue negativa.
La semana entre el 21 y el 27 ha sido decisiva para que la terapia de choque tome forma. Mientras Noboa ha recibido a altos funcionarios estadounidenses y anuncia que buscará financiamiento desde Europa para “librar la guerra”, también ha apuntado a posponer el cierre del bloque petrolero amazónico 43-ITT —55 mil barriles diarios—, cuyo cierre está previsto para agosto tras un referéndum ambiental.
SE ACELERA EL PLAN ECUADOR
Richardson estuvo de visita en Quito el pasado 25 de enero y aseguró que su país tiene un “plan de cinco años” en materia de seguridad para Ecuador. En una entrevista declaró que: “Tenemos varias cosas que hemos hecho muy recientemente con Ecuador. Por ejemplo, la Hoja de Ruta de Asistencia de Seguridad, llamada ESAR. Y solo hay otro país en la región con el que tenemos firmado un tratado así”.
De igual manera, detalló que para el año fiscal Washington y Quito firmaron dos acuerdos en septiembre y octubre de 2023, poco antes de que Lasso dejara la presidencia, a saber: “Acuerdo entre la República del Ecuador y los Estados Unidos de América Relativo a Operaciones Contra Actividades Marítimas Transnacionales Ilícitas”, y “Acuerdo entre el Gobierno de la República del Ecuador y el Gobierno de los Estados Unidos de América relativo al Estatuto de las Fuerzas”.
El primero incluye la aplicación de operaciones combinadas entre los dos países, que estarían previamente planificadas y autorizadas por la Armada ecuatoriana, en concreto: buques estadounidenses podrán actuar en aguas ecuatorianas al detectar actividades relacionadas con narcotráfico, pesca ilegal y tráfico de migrantes.
Para justificar el segundo acuerdo, las autoridades de ambos países han puntualizado, respecto al mando del Estado ecuatoriano, las ventajas de contar con la operatividad militar estadounidense y la no posibilidad de instalación de tropas de ese país en Ecuador.
Y, COMO SIEMPRE, LA GUERRA
El debate respecto a la ruta otanizadora de Noboa se mantiene vivo: algunos analistas locales han insistido en que la clave está en aprovechar la oferta de 38 países de la región para que Ecuador se beneficie de planes de inteligencia y seguridad integral con un enfoque regional.
Otros análisis destacan los fallidos resultados del Plan Colombia, basados en el enfoque netamente bélico atribuido a la injerencia de Estados Unidos y sus intereses geopolíticos y económicos. Estos siempre apuntan a beneficiar el Complejo Industrial Militar que dinamiza su economía.
Al asumirse como “presidente en guerra” podría remedar recetas de mano dura al estilo del expresidente mexicano Felipe Calderón. Estas convirtieron la guerra contra el narcotráfico en una metástasis del poder y reproducción de cárteles como el de Sinaloa, aliado de “Los Choneros”, o el de Jalisco Nueva Generación, vínculo de “Los Lobos”.
Por ahora su gobierno no parece decidido a ampliar la mirada al fortalecimiento de mecanismos de recuperación en educación y empleo para las nuevas generaciones sino a sumergirse en un cóctel de violencia económica-neoliberal, renuncia a la soberanía y militarización de la región.
Todo esto para satisfacer la necesidad de control geopolítico de Estados Unidos, líder de la OTAN, que insiste en que su decadente hegemonía sobreviva a la derrota en Ucrania.