Nessuna soluzione alla situazione haitiana deve considerare l’intervento militare straniero, nè l’imposizione di sanzioni, né l’intromissione di temi che si devono risolvere tra i suoi cittadini e le autorità.
Haiti è un tema tanto attuale quando molto datato, se si considera quali processi d’ingovernabilità e violenza come quelli che vive la nazione dei Caraibi sono avvenuti in maggiore o minore misura, in molti momenti della sua storia.
Inoltre l’impoverita nazione ha sofferto la furia della natura, che ha provocato mortali terremoti e sporadiche inondazioni, oltre a un’estesa siccità.
Forse come in nessun altro paese, la vita in Haiti è trascorsa tra il disinteresse internazionale, senza coinvolgimenti o la materializzazione d’investimenti e aiuti e una limitata solidarietà per l’attenzione ai suoi problemi più gravi.
Senza dubbio più d’una volta c’è stato l’entusiasmo straniero per interventi militari, alcune volte camuffati da “operazioni umanitarie” che poco o niente hanno apportato allo sviluppo o alla stabilità del paese.
Per questo per parlare o scrivere di Haiti, è necessario ripassare molti angoli non sempre facili da abbordare.
È chiaro che nessuna soluzione alla situazione haitiana deve considerare l’intervento militare straniero, né l’imposizione di sanzioni – tipiche di questi anni – né l’intromissione nei temi interni che si devono risolvere tra i suoi cittadini e le autorità.
Se si vuole contribuire a trovare un’uscita dalla crisi attuale, la prima cosa che si deve favorire è un’intesa tra le sue autorità e il suo popolo, con un contributo trasparente e nessuna imposizione da parte delle istituzioni internazionali.
Fermare lo spargimento di sangue, disarmare le bande che violentano ogni giorno la tranquillità cittadina e far sì che si produca un dialogo pacifico e civile che possa condurre a un processo elettorale, trasparente e inclusivo, devono essere i primi impegni.
Ugualmente, una necessità di prim’ordine è il contributo internazionale, con l’aiuto economico, l’investimento straniero per far sviluppare il paese, così come offrire aiuti umanitari ai settori più sensibili come la salute, l’educazione e la protezione sociale.
Sono molte e domande senza risposte. Potremmo cominciare con indagare quanto hanno apportato nell’ultimo anno o nell’ultimo decennio gli investimenti stranieri nel settore alimentare, agricolo, industriale o qualsiasi altro, per far sì che Haiti possa dare lavoro ai suoi abitanti e vedere una luce che illumina questa nazione, che un giorno dovrà smettere d’essere identificata per la sua violenza, il crimine, l’analfabetismo, l’insalubrità e l’instabilità sociale,
I dati del Banco Mondiale informano che il 60% della popolazione vive al di sotto della linea di povertà, cioè 6,3 milioni di persone; l’educazione mostra uno degli indici più bassi dell’emisfero occidentale, con un tasso d’alfabetizzazione del 60,7%.
Un’altra ferita da curare in Haiti sono i danni lasciati dal terremoto del 2010, che distrusse l’infrastruttura del settore dell’educazione e obbligò a sfollare dal 50% al 90% degli studenti in altri luoghi.
Quel terribile sisma provocò la morte di 316000 persone, 350000 feriti, migliaia di case distrutte e il 60% delle installazioni sanitarie totalmente danneggiate. Inoltre 1,5 milioni di persone restarono senza casa.
Nel 2016, l’uragano Matthew colpì il sudovest del paese; provocò la morte di 57 persone e lasciò almeno due milioni di danneggiati.
Il ciclone Laura, nell’agosto del 2020, provocò decine di morti e molti danni materiali al suo passaggio.
Le epidemie a loro volta hanno decimato la popolazione.
Il colera nel 2010 infettò 520000 persone e provocò la morte di almeno 7000.
È stato sparso troppo sangue haitiano, come per far sì che la comunità internazionale e i suoi governi e istituzioni si convincano che quello che ci vuole oggi non può continuare ad essere parte del DNA degli haitiani.
Più che di violenza e miseria questa nazione deve esaltarsi per essere stata la prima a conquistare la sua indipendenza dal colonialismo, e per contare con una cultura autentica, con valori intrinsechi che costituiscono un patrimonio per i Caraibi e il mondo.
Ricordiamo che la Dichiarazione d’Indipendenza di Haiti si produsse il 1º gennaio del 1804, dopo 13 anni di vita come colonia francese.
QUANTO DEVE CAMBIARE?
La situazione attuale evidenzia, all’estremo, un vandalismo che ha proliferato, in maniera tale che rende più complicata la soluzione.
Il fatto che la Comunità degli Stati dei Caraibi (Caricom) si sia riunita d’urgenza e abbia adottato una risoluzione che implica il richiamo alle autorità e alle bande armate, per iniziare un processo costituzionale che porti a elezioni libere e trasparenti, non può essere la sola misura per guarire la grande ferita che oggi è aperta nella nazione caraibica.
Le dimissioni del primo ministro di Haiti, Ariel Henry, e la creazione di un Governo di Transizione, costituiscono i passi iniziali che devono condurre a elezioni nelle quali il popolo elegga i suoi governanti.
Esiste comunque incertezza sul possibile invio al paese delle Antille di una missione multinazionale composta da mille agenti della polizia del Kenya, un accordo della visita al Kenya del Primo Ministro di Haiti, adesso dimesso.
La ONU si è limitata a che il Consiglio di Sicurezza esprimesse «la sua preoccupazione per la spirale di violenza», e incitasse tutte le parti a restaurare le istituzioni democratiche.
Una dichiarazione tanto limitata non può che denunciare la mancanza di credibilità delle istituzioni internazionali come la ONU, incapaci di promuovere risposte effettive a situazioni tanto pressanti.