Discorso Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez (UJC)

Compagni della Generazione storica;

Comandanti della Rivoluzione Ramiro e Guillermo;

Comandante dell’Esercito Ribelle Machado;

Compagne e compagni della Presidenza;

Cari giovani:

Quanta ragione aveva Fidel in credere nei giovani!

Permettetemi di cominciare ringraziando per la profondità e l’allegria di questo Congresso. Credo che la qualità dei dibattiti e dei documenti che vi hanno motivato rendono inutile un lungo discorso, ma nello steso tempo ci ispirano a sommare alcune valutazioni molto specifiche con il profondo sentimento di sentirci parte di voi, una cosa che accade a tutti coloro che abbiamo militato e realizzato impegni di direzione nell’Unione dei Giovani Comunisti in altre epoche.

Voi create felicità, come vi siete proposti. Anche in questi tempi difficili e sfidanti, quando il segmento della popolazione che cresce di meno è quello minore di 30 anni; quando l’infanzia e la gioventù cubana vivono  e si sviluppano sotto le dure condizioni di un paese assediato, perseguitato, castigato soprattutto nell’economia, ed anche nei suoi sogni e le sue speranze.

Contro la logica imperiale che pretende di assorbirvi, vuotarvi, farvi arrendere e farvi rinnegare l a vostra sorte e la vostra storia voi avanzate nella logica rivoluzionaria: analizzate, discutete, criticate e riconoscete, proponete e trasformate la realtà più complessa, ma non smettete di cantare e di ballare, di ridere. Voi, quelli che si sono guadagnati il diritto di stare in questo XIII Congresso, siete l’avanguardia di una gioventù allegra e profonda, come definì il Che in una frase memorabile.

Questa avanguardia, ancora imperfetta, come la società che costruiamo, ma anche, come questa, appassionata e combattente, è quella che ha la responsabilità d’unire e motivare le nuove generazioni.

E lo avete fatto. Oggi possiamo dire con sano e legittimo orgoglio che i giovani cubani hanno incontrato la loro Moncada e l’assaltano tutti i giorni.

Lo conferma il riassunto della Relazione Centrale al Congresso, che ha letto Aylín.

Non voglio enumerare tutti gli impegni. Citerò solo alcune sfide di questi anni recenti, pieni d’impegni, ma anche di prodezze, quasi tutti con i giovani come protagonisti, anche se li guidano cubane e cubani di altre generazioni.

Voi lo avete raccontato ed è già memoria di questo Congresso: che i giovani sono la maggioranza come sono maggioranza le donne nell’universo degli investigatori e dei creatori delle vaccinazioni cubane e dei protocolli di trattamento della COVID-19.

Sono molto giovani gli studenti e gli altri volontari che hanno scelto la Zona Rossa per appoggiare la lotta contro la pandemia: quelli che hanno rischiato o perso la vita come riscattisti e pompieri nei terribili incidenti del Saratoga e della Base dei Supertanqueros di Matanzas; quelli che sono andati a curare le ferite provocate dai cicloni nelle zone più appartate, quelli che hanno affrontato con coraggio, nelle strade, la violenza indotta dagli avversari della Rivoluzione.

Sono centinaia di migliaia i giovani che quotidianamente partecipano alla difesa della patria; sono protagonisti di processi produttivi in fabbriche, industrie e attività di servizio; quelli che apportano con il loro lavoro  alla produzione di alimenti, alle esportazioni di sigari, miele e caffè, tra l’altro; i mobilitati del Servizio Militare Attivo che s’incorporano a lavorare la terra; quelli che costruiscono quelli che danno lustro al lavoro pedagogico nelle aule; quelli che assistono la popolazione nelle istituzioni di Salute; i giovani giuristi che hanno responsabilità nelle Procure e nei tribunali in livelli differenti; quelli che partecipano al disegno delle strategie economiche; quelli che guidano la battaglia delle idee nelle reti sociali; quelli che sferrano battaglie diplomatiche; quelli che sono impegnati come delegati nelle circoscrizioni del Potere Popolare; quelli che con il loro talento artistico arricchiscono la cultura della nazione; quelli che sommano medaglie allo sport nazionale, quelli che come medici dell’anima, si dedicano a lavoro sociale nei quartieri; quelli che sviluppano importanti progetti di trasformazioni digitali, sviluppo locale e impegno produttivo.

Questa è la gioventù cubana!

Qui è stata discussa senza eufemismi, la dolorosa realtà di un’emigrazione  maggiormente giovane che, tra le difficoltà economiche, le carenze  materiali e il miraggio di “un capitalismo buono” – inesistente, come già si sa–, crede o sente che l’elevata istruzione acquisita nel socialismo cubano non la potrà realizzare con esito personale nella sua patria.

Non discuteremo la relatività di queste aspirazioni, nè rinnegheremo questi figli di Cuba che hanno scelto un altro destino per il resto della loro vita, perché oggi è il tempo per parlare di quelli che stanno qui e adesso, di quelli che sostengono il paese, la Rivoluzione e il sogno che quello che facciamo e faremo in futuro affrontando, come tutto il popolo cubano, le necessità economiche che ci pongono prima di tutto il blocco genocida decretato 62 anni fa da un presidente nordamericano e che una decina di suoi successori hanno indurito senza tregua, con l’unico proposito di distruggere la Rivoluzione che ci ha strappato le catene dell’infame neocolonia.

Il blocco degli Stati Uniti, con le sue terribili conseguenze per il paese, includendo lo stimolo all’emigrazione che ha portato via tanti amici, familiari, e con loro importanti pezzi della nazione che siamo, orienta contro tutto il popolo, ma soprattutto contro la gioventù che ha l’età in cui si sogna e si progetta il futuro.

Il grande merito della gioventù cubana che vive, studia e lavora qui, in mezzo ai problemi del trasporto, gli “apagones”, l’inflazione e gli altri mali associati a problemi propri della nostra insufficienza, è che salta in cima a tutto questo ed esce a combattere tutti i giorni per fare di Cuba un paese migliore.

E lo farà!  Sappiamo che sarà migliore perché voi non permetterete che sia in un altro modo e perché dai tempi di De Céspedes ai nostri giorni i giovani cubani hanno sempre saputo mettersi alla prova come i migliori rivoluzionari.

Non solo perché difendono lo Stato cubano o difendono il legato di Martí, di Fidel, Raúl e di tutti coloro che hanno versato il proprio sangue per Cuba, ma perché sono anche rivoluzionari, perché sono buoni cittadini,  buone persone, buoni amici e buoni figli.

Sono rivoluzionari perché riconoscono le difficoltà quotidiane e le affrontano e cercano di cambiarle e molte volte ci riescono, lavorando, combattendo e partecipando.

Sono rivoluzionari perché si affannano a realizzare il loro dovere.

Sono rivoluzionari perché, nonostante tutto, i giovani continuano a ballare sorridendo e amando, perché si accettano così come sono senza discriminazioni e senza i vecchi pregiudizi già superati dalla Rivoluzione, perché hanno difeso il Codice delle Famiglie come una cosa propria e s’impegnano con tutte le cause giuste, le lotte dei popoli per la loro sovranità.

E sono così anche le lotte femministe, quelle contro il razzismo, anti omofobiche, lo sfruttamento della corruzione e delle dipendenze.

Sono rivoluzionari perché seguono con passione i giochi e le vittorie delle squadre cubane di baseball e di altri sport, senza negarsi il piacere di seguire con interesse di fanatici il calcio internazionale.

Continuano a godere della musica cubana nel mezzo dell’ondata di consumo dei prodotti imposti dalla globalizzazione culturale.

Sono rivoluzionari perché danno il benvenuto a braccia aperte a quelli che rispettano e amano Cuba, ma stringono i pugni e impugnano il fucile davanti a che cerca di danneggiarci.

Sono rivoluzionari perché sono buoni esseri umani e vogliono il bene per i loro cari, per Cuba per la Patria e per la Rivoluzione socialista Vogliono il meglio per tutti in Cuba!

E sono rivoluzionari, nel senso più ampio della parola, perché il mondo attuale non appare loro né troppo grande, né estraneo, plagato da incertezze e urgente di cambi a favore della pace, la cooperazione e la solidarietà, perché condividono l’ideale martiano che Patria è Umanità.

Sono rivoluzionari, insomma, perché sanno bene che il capitalismo non ha risposte per i pressanti problemi dell’umanità e sono capaci d’intendere e affrontare con  intelligenza e conoscenza la battaglia culturale che c’impone questa epoca.

Non ignorano né sottovalutano i programmi di colonizzazione imperiale che con i loro poderosi meccanismi di produzione e riproduzione simbolica rendono culto alla menzogna, alla banalità e alla volgarità, occultando le nostre verità, sequestrando coscienze, imponendo gusti, negando identità, distruggendo poco a poco la ricca diversità dei popoli e annullando guide autentiche mediante l’assassinio delle reputazioni.

Quando da queste piattaforme fuoriescono discorsi di odio, discriminazione, esclusione; quando il neomaccartismo rinasce con forza in  alcuni paesi e le manifestazioni neofasciste agglutinano crescenti segmenti sociali; quando la guerra torna ad essere il pretesto delle cupole imperialiste per favorire il Complesso Militare Industriale, è necessario stare all’erta e mobilitarsi.

Questo momento è adesso, quando il popolo palestinese, vittima di una guerra di sterminio che dura da 75 anni ci convoca con la sua eroica resistenza a fermare la barbarie che il Governo d’Israele sferra sulla Striscia di Gaza, con la complicità di altri Stati poderosi.

Saluto e condivido per questo la dichiarazione di questo Congresso contro la scalata sionista criminale cinicamente sostenuta dal Governo nordamericano ogni volta che vieta la volontà maggioritaria dei popoli di mettere fine al genocidio.

Per Cuba è obbligatorio reiterare, in quante tribune sia possibile, la più energica condanna allo sterminio che si perpetra contra il popolo palestinese.

Come abbiamo detto, restare in silenzio di fronte al massacro di almeno 30000 civili nella Striscia di Gaza negli ultimi sei mesi, in maggioranza donne e bambini, non solo è inaccettabile ma è incompatibile con la dignità umana!

Cari giovani cubani:

Raúl, un  dei più giovani membri della Generazione del Centenario ha ricordato molte volte che i giovani somigliano di più ai loro tempi che ai loro genitori.

La Rivoluzione ha  l’enorme sfida di sostenere e difendere l’opera che i padri hanno conquistato, nel modo e nello stile di ogni generazione impegnata a continuarla.

E perchè la Rivoluzione? Se lo chiedono alcuni che continuano a vedere il processo rivoluzionario come una meta già superata.

La Rivoluzione è un’immensa opera e a volte è il cammino, è il mezzo, la via per sostenere l’ideale di una Cuba con tutto e per il bene di tutti, per consolidare l’alternativa socialista che non pone il denaro al di sopra degli esseri umani, né condanna le persone a vivere sotto il comando del mercato.

Anche nelle peggiori circostanze, con assedi e minacce scommette per il pieno sviluppo delle enormi potenzialità dell’essere umano e per il cammino che conduce al maggior grado di giustizia possibile.

Gli ultimi anni e mesi sono stati una scuola poderosa in questo cammino.

Cuba ha dovuto affrontare le colossali sfide del mondo pandemico e post pandemico con un blocco indurito di 62 anni, 24 misure addizionai e la sua inclusione in una lista di paesi patrocinatori del terrorismo, come freno e muraglia a tutti gli sforzi.

Certo mentre si preparava questa riunione, i congressisti che intascano i notevoli salari di Washington per legiferare contro Cuba, approvavano nuove misure per danneggiare le possibili entrate per esportazione dei servizi del paese. E pochi giorni prima era stata sanzionata una banca europea che aveva facilitato crediti a Cuba.

Guerre economiche le chiamiamo e non credo che siano necessarie molte prove per definire così l’insieme di azioni con cui si pretende d’asfissiare il popolo per generare un’esplosione sociale in maniera perversa e sempre meno segreta.

Ma se mancasse un criterio accademico per sostenere la nostra denuncia, mi rimetterò a un giovane con talento, un investigatore cubano, Elier Ramírez Cañedo, già noto per i suoi studi sul conflitto Stati Uniti- Cuba.

In un corposo articolo pubblicato nel 2017 sulla guerra culturale contro Cuba che avanza in parallelo con l’aggressione economica, Elier rivelava: “Recentemente è stato reso noto un documento di straordinaria importanza per comprendere le strategie attuali del Governo degli USA nel campo della guerra culturale. Si tratta del Libro Bianco del comando delle operazioni speciali dell’Esercito degli Stati Uniti del marzo del 2015, con il titolo Appoggio alle Forze delle Operazioni Speciali alla Guerra Politica.

“Quello che questo libro suggerisce è che gli Stati Uniti devono riprendere l’idea di George F. Kennan – già esperto statunitense nel tema sovietico e architetto della politica di contenzione di fronte al comunismo nel Dipartimento di Stato «sulla necessità di superare i limiti del concetto che stabilisce  una differenza basica tra guerra e pace, in uno scenario internazionale dove esiste un ritmo perpetuo di lotta dentro e fuori dalla guerra».

Ossia, che la guerra è permanente anche se adotta molteplici facciate e non si può limitare all’uso delle tradizionali risorse militari.

Di fatto il documento sostiene che esistono modi di fare la guerra molto più efficaci. Che si può fare la guerra senza averla dichiarata e anche fare la guerra mentre si dichiara la pace.

«La guerra politica è una strategia appropriata per realizzare gli obiettivi nazionali statunitensi mediante la riduzione della visibilità nell’ambiente  geopolitico internazionale e senza impegnare una grande quantità di forze  militari, segnala questo documento dalle sue prime pagine.

«L’obiettivo finale della guerra politica, continua più avanti, è vincere la guerra delle idee, che non è associata alle ostilità.

La guerra politica necessita la cooperazione dei servizi armati, la diplomazia aggressiva, la guerra economica e le agenzie sovversive nel terreno, nella promozione di tali politiche,  misure o azioni necessarie per irrompere e fabbricare morale».

Guerra economica, guerra culturale, guerra politica.  Non credo che esista miglior forma di sintetizzare e definire il complesso e criminale ordito di azioni ostili contro un piccolo paese che aspira solo a superare  le zavorre del sottosviluppo, mantenendo la sua indipendenza, la sua sovranità, le relazioni di rispetto mutuo con il suo poderoso vicino.

Giovani come Elier e come tanti che incontriamo continuamente in visita nelle province e nelle istituzioni accademiche, hanno nelle loro mani le armi più formidabili di questa battaglia per la verità di Cuba, e credo che siamo quelli che possono spiegare meglio ai loro contemporanei perché la Rivoluzione, perché il socialismo e anche perché il blocco.

Fondamentalmente, i quadri dell’Unione dei Giovani Comunisti che oggi, qui, hanno preso possesso dei loro incarichi, e prima in provincia e nei municipi e i rappresentanti delle organizzazioni giovanili e studentesche, sono convocati allo studio e alla moltiplicazione del sapere su questi temi cruciali per la difesa della nazione cubana dalla prospettiva della gioventù.

Con il Servizio Militare Attivo, che è cresciuto con il Servizio Militare Volontario Femminile, la preparazione culturale e politica è la chiave.

I processi rivoluzionari che hanno dimenticato l’importanza della formazione integrale dei loro giovani, la solidità della conoscenza e del dibattito permanente sull’attualità del paese e del mondo, non sono sopravvissute alla dimenticanza.

Nessuno potrà raccontare la realtà del suo paese, né illustrare la trascendenza delle prodezze scritte nella sua storia come i giovani che vi giungono con lo studio, l’investigazione e le memorie di persone di altre epoche e le raccontano con i linguaggi, l’estetica, i mezzi e i modi che conoscono meglio, perché sono della loro epoca, sempre più dinamica nel suo sviluppo.

Qualcuno mi ha chiesto, prima del Congresso, come credo che debba essere l’Unione dei Giovani Comunisti attualmente.

La risposta si trova in tutto quello che è stato discusso e approvato in questo Congresso, nella magnifica relazione  che descrive senza paternalismi né formalità la complessità della società dell’epoca e della stessa gioventù e si trova soprattutto nelle energie giovanili che esprimono le avanguardie facendo la propria Rivoluzione quotidiana.

Essere Avanguardia è essere primi in tutto: i primi nel fare e i primi nell’esigere che si faccia!

Un’organizzazione giovanile d’avanguardia, in Cuba, deve portare con sé i simboli e la storia che li ha portati sino qui, ma deve anche avere il dovere indiscutibile di sommare nuovi capitoli a questa storia e nuovi simboli alla comunicazione con le sue basi.

Quelli che hanno salvato la patria con i loro vaccini, quelli che sono entrati nella zona rossa durante la COVID-19, gli eroi del riscatto nel Saratoga o nell’incendio di Matanzas, i giovani professionisti della Salute che sono andati in altri paesi a salvare vite durante la pandemia, hanno guadagnato un posto nella storia del paese in questi anni di resistenza creativa che ci ha permesso di sopravvivere sotto la versione più brutale del blocco.

Anche loro sono i nostri eroi e i nostri nuovi simboli!

Tra due anni si compirà il centenario della nascita di Fidel, il migliore e vittorioso discepolo di Martí e dei grandi patrioti cubani, latino americani e universali.

Cuba e il mondo si chiederanno cosa hanno fatto le nuove generazioni con lo straordinario legato d’eroismo e dedizione di quelli che assaltarono la Moncada con più sogni di giustizia che fucili.

Rappresentare l’avanguardia della gioventù cubana nella risposta a questa domanda è una grande sfida e comprende un’elevata responsabilità.

E non vedo un impegno più ispiratore e sfidante che proporsi d’essere degni eredi del pensiero e dell’azione di Fidel, eternamente giovane e eternamente ribelle, leader per sempre della generazione che ha cambiato la storia di Cuba e che ci accompagna ancora con il suo poderoso messaggio d’unità.

Con particolare emozione il Generale d’Esercito ha ricordato, il primo gennaio di quest’anno quello che aveva appreso da Fidel: «L’importanza decisiva dell’unità; non perdere la serenità e la fiducia nella vittoria per quanto appaiono poderosi gli ostacoli dei nemici o grandi i pericoli; ad apprendere e far tesoro delle forze di ogni sconfitta, sino a trasformarla in vittorie».

Non dimenticate mai queste lezioni nelle quali si legge la vittoriosa storia di 65 anni di Rivoluzione socialista a 90 miglia dall’impero.

Tanti auguri al nuovo Burò dell’Unione dei Giovani Comunisti appena eletto!

Le sfide continuano ad essere enormi, ma la Rivoluzione crede nei giovani!

Hasta la Victoria Siempre!
Socialismo o Morte!
Patria o Morte!
Vinceremo!


Discurso pronunciado por Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, Primer Secretario del Comité Central del Partido Comunista de Cuba y Presidente de la República, en la clausura del XII Congreso de la Unión de Jóvenes Comunistas

 

Compañeros de la Generación Histórica;

Comandantes de la Revolución Ramiro y Guillermo;

Comandante del Ejército Rebelde Machado;

Compañeras y compañeros de la Presidencia;

Queridos jóvenes:

¡Cuánta razón tenía Fidel en creer en los jóvenes!  Permítanme comenzar agradeciéndoles la profundidad y la alegría de este Congreso.  Creo que la calidad de los debates y de los documentos que los motivaron hacen innecesario un largo discurso, pero al mismo tiempo nos inspiran a sumar algunas valoraciones muy específicas, con el profundo sentimiento de sentirnos parte de ustedes, algo que nos pasa a todos los que militamos y cumplimos tareas de dirección en la Unión de Jóvenes Comunistas en otras épocas.

Ustedes crean felicidad, como se lo han propuesto.  Incluso en estos tiempos difíciles y desafiantes, cuando el segmento poblacional que menos crece en nuestra sociedad es el de los menores de 30 años; cuando la niñez y la juventud cubana viven y se desarrollan bajo las duras condiciones de un país cercado, perseguido, castigado, principalmente en la economía, pero también en sus sueños y esperanzas.

Contra la lógica imperial que pretende absorberlos, vaciarlos, rendirlos y hacerlos renegar de su suerte y de su historia, avanzan ustedes en la lógica revolucionaria: analizan, discuten, critican y reconocen, proponen y transforman la realidad más compleja, pero no dejan de cantar, bailar, reír. Ustedes, los que ganaron el derecho a estar en este XII Congreso, son la vanguardia de una juventud alegre y profunda que definió el Che en frase memorable.

Esa vanguardia, imperfecta aún, como la sociedad que construimos, pero también como ella, apasionada y batalladora, es la que tiene la responsabilidad de unir y motivar a las nuevas generaciones.

Y lo han hecho.  Hoy podemos decir con sano y legítimo orgullo que los jóvenes cubanos encontraron su Moncada y lo asaltan todos los días (Aplausos).

Lo confirma el resumen del Informe Central al Congreso, que leyó Aylín.  No voy a enumerar todas las tareas, apenas nombraré algunas hazañas de estos años recientes, llenos de desafíos, pero también de proezas, casi todas protagonizadas por los jóvenes, aunque las lideraran cubanas y cubanos de otras generaciones.

Ustedes lo han contado y ya es memoria de este Congreso: que son mayoría los jóvenes, como son mayoría las mujeres, en el universo de los investigadores y creadores de las vacunas cubanas y de los protocolos de tratamiento a la COVID-19.

Son muy jóvenes los estudiantes y otros voluntarios que eligieron la zona roja para apoyar el enfrentamiento a la pandemia; los que arriesgaron o perdieron la vida como rescatistas y bomberos en los terribles accidentes del Saratoga y la Base de Supertanqueros de Matanzas; los que se fueron a restañar las heridas de los ciclones en las zonas más apartadas; los que enfrentaron con coraje en las calles la violencia inducida por los adversarios de la Revolución.

Son cientos de miles de jóvenes los que cotidianamente participan en la defensa de la patria; protagonizan procesos productivos en fábricas, industrias y actividades de servicio; los que aportan con su trabajo a la producción de alimentos, a las exportaciones de tabaco, miel y café, entre otras; los desmovilizados del Servicio Militar Activo que se incorporan a labrar la tierra; los que construyen; los que enaltecen la labor pedagógica en las aulas; los que atienden a la población en las instituciones de Salud; los juristas jóvenes que asumen responsabilidades en las fiscalías y tribunales a los diferentes niveles; los que participan en el diseño de las estrategias económicas; los que encabezan la batalla de ideas en las redes sociales; los que libran batallas diplomáticas; los que se desempeñan como delegados en las circunscripciones del Poder Popular; los que con su talento artístico enriquecen la cultura de la nación; los que suman medallas al deporte nacional; los que como médicos del alma se entregan en los barrios al trabajo social; los que desarrollan importantes proyectos de transformación digital, desarrollo local y emprendimientos productivos.  ¡Esa es la juventud cubana!          

Aquí se ha discutido, sin eufemismos, la dolorosa realidad de una emigración mayormente joven que, entre las dificultades económicas, las carencias materiales y el espejismo de un “capitalismo bueno” –inexistente, como ya se sabe–, cree o siente que la elevada instrucción adquirida en el socialismo cubano no podrá realizarla con éxito personal en su patria. 

No vamos a discutir la relatividad de esas aspiraciones ni a renegar de esos hijos de Cuba que eligieron otro destino para el resto de sus vidas, porque hoy es el tiempo para hablar de los que están aquí y ahora, los que sostienen el país, la Revolución y el sueño de lo que hacemos y haremos en el futuro, enfrentando, como todo el pueblo cubano, las necesidades económicas que nos impone, en primer lugar, el bloqueo genocida que un presidente norteamericano decretó hace 62 años y una decena de sucesores ha endurecido sin pausa, con el único propósito de echar abajo la Revolución que nos arrancó las cadenas de la infame neocolonia.

Contra todo el pueblo, pero especialmente contra la juventud que está en la edad de soñar y proyectar el futuro, se orienta el bloqueo de Estados Unidos, con sus terribles consecuencias para el país, incluyendo el estímulo a la emigración, que se ha llevado a tantos amigos y familiares y, con ellos, entrañables pedazos de la nación que somos.

El gran mérito de la juventud cubana que vive, estudia y trabaja aquí, en medio de los problemas del transporte, los apagones, la inflación y otros males asociados a problemas propios de nuestras insuficiencias, es que saltan por encima de todo eso y salen todos los días a pelear por hacer de Cuba un país mejor.

¡Y lo harán!  Sabemos que será mejor porque ustedes no permitirán que sea de otra manera, y porque, desde los tiempos de Céspedes hasta nuestros días, los jóvenes cubanos han sabido probarse como los mejores revolucionarios.  No solo porque defiendan al Estado cubano o defiendan el legado de Martí, de Fidel, Raúl y de todos los que han derramado su sangre por Cuba, son también revolucionarios porque son buenos ciudadanos, buenas personas, buenos amigos, buenos hijos. 

Son revolucionarios porque reconocen las dificultades diarias y se enfrentan a ellas y tratan de cambiarlas, y lo logran muchas veces trabajando, combatiendo y participando.

Son revolucionarios porque se afanan en cumplir con el deber.

Son revolucionarios porque a pesar de todo siguen bailando, sonriendo y amando, porque se aceptan entre sí como son, sin discriminación y sin los viejos prejuicios ya vencidos por la Revolución; porque defendieron el Código de las Familias como algo propio y se comprometen con todas las causas justas, las luchas de los pueblos por su soberanía, como también son las luchas feministas, antirracistas o antihomofóbicas, así como el enfrentamiento a la corrupción y a las adicciones.

Son revolucionarios porque disfrutan al máximo los juegos y las victorias de los equipos cubanos de béisbol y de otros deportes sin negarse el placer de seguir con pasión de fanáticos el fútbol internacional.  Siguen disfrutando la música cubana en medio de la ola de consumo de los productos que impone la globalización cultural.

Son revolucionarios porque les dan la bienvenida con los brazos abiertos a los que respetan y quieren a Cuba, pero cierran el puño y empuñan el fusil frente al que intente hacernos daño.

Son revolucionarios porque son buenos seres humanos y quieren el bien para los suyos, para Cuba, para la patria y para la Revolución socialista.  ¡Quieren lo que es mejor para todos en Cuba! (Aplausos).

Y son revolucionarios, en el más amplio sentido de la palabra, porque no les resulta ancho ni ajeno el mundo actual, plagado de incertidumbre y urgido de cambios a favor de la paz, la cooperación y la solidaridad; porque comparten el ideal martiano de que patria es humanidad.

Son revolucionarios, en suma, porque saben que el capitalismo no tiene respuesta para los acuciantes problemas de la humanidad y son capaces de entender y enfrentar con inteligencia y conocimientos la batalla cultural que nos impone esta época.

No ignoran ni subestiman los programas de colonización imperial que, con sus poderosos mecanismos de producción y reproducción simbólica, rinden culto a la mentira, a la banalidad y a la vulgaridad, ocultando nuestras verdades, secuestrando conciencias, imponiendo gustos, negando identidades, aniquilando, poco a poco, la rica diversidad de los pueblos y anulando liderazgos auténticos mediante el asesinato de reputaciones.

Cuando desde esas plataformas se desbordan discursos de odio, discriminación y exclusión; cuando el neomacartismo renace con fuerza en algunos países y las manifestaciones neofascistas aglutinan a crecientes segmentos sociales; cuando la guerra vuelve a ser el pretexto de las élites imperialistas para favorecer al Complejo Militar Industrial, es preciso estar alertas y movilizarse.

Ese momento es ahora, cuando el pueblo palestino, víctima de una guerra de exterminio que dura 75 años, nos convoca, con su heroica resistencia, a detener la barbarie que ejecuta sobre la Franja de Gaza el Gobierno de Israel con la complicidad de otros Estados poderosos.  Saludo y comparto por ello la declaración de este Congreso contra la criminal escalada sionista, cínicamente respaldada por el Gobierno norteamericano cada vez que veta la voluntad mayoritaria de los pueblos de poner fin al genocidio.

Para Cuba es ineludible reiterar, en cuanta tribuna sea posible, la más enérgica condena al exterminio que se perpetra contra el pueblo palestino.

Como hemos dicho antes, permanecer en silencio ante la masacre de más de 30 000 civiles en la Franja de Gaza en los últimos seis meses, en su mayoría mujeres y niños, no solo es inaceptable, ¡es incompatible con la dignidad humana!

Queridos jóvenes cubanos:

Raúl, uno de los más jóvenes miembros de la Generación del Centenario, ha recordado muchas veces que los jóvenes se parecen más a su tiempo que a sus padres.  La Revolución tiene el enorme desafío de sostener y defender la obra que los padres nos ganaron de pie, al modo y en el estilo de cada generación empeñada en continuarla.

Y ¿por qué la Revolución?, se preguntan algunos que siguen viendo el proceso revolucionario como una meta ya vencida.  La Revolución es una inmensa obra y a la vez es el camino, es el medio, es la vía para sostener el ideal de una Cuba con todos y para el bien de todos y para consolidar la alternativa socialista, que no apuesta al dinero por encima de los seres humanos, ni condena a las personas a vivir bajo el mandato del mercado.  Incluso en las peores circunstancias, bajo cercos y amenazas, apuesta por el pleno desarrollo de las enormes potencialidades del ser humano y por el camino que conduce al mayor grado de justicia social posible.

Los últimos años y meses han sido una poderosa escuela en ese camino.  Cuba ha tenido que enfrentar los colosales desafíos del mundo pandémico y pospandémico con un bloqueo recrudecido de 62 años, 243 medidas adicionales y su inclusión en una lista de países patrocinadores del terrorismo, como freno y muro a todos los esfuerzos.

Por cierto, mientras se preparaba esta reunión, los congresistas que cobran los abultados salarios de Washington por legislar contra Cuba aprobaban nuevas medidas para dañar los posibles ingresos por exportación de servicios del país.  Y pocos días antes se sancionaba a otro banco europeo por facilitar créditos a Cuba.

Guerra económica le llamamos y no creo que se necesiten muchas pruebas para calificar así al conjunto de acciones con que pretenden asfixiar al pueblo para generar un estallido social de manera perversa y cada vez menos encubierta.  Pero si hiciera falta un criterio académico para sostener nuestra denuncia, me remitiría a un talentoso joven investigador cubano, Elier Ramírez Cañedo, reconocido ya por sus estudios sobre el conflicto Estados Unidos-Cuba. 

En un enjundioso artículo publicado en 2017, sobre la guerra cultural contra Cuba, que avanza en paralelo con la agresión económica, Elier revelaba: “Recientemente se dio a conocer un documento de extraordinaria importancia para comprender las estrategias actuales del Gobierno de los Estados Unidos en el campo de la guerra cultural.  Se trata del Libro Blanco del comando de operaciones especiales del Ejército de Estados Unidos de marzo de 2015 bajo el título: Apoyo de las Fuerzas de Operaciones Especiales a la guerra política.

“Lo que plantea en esencia este Libro Blanco es que los Estados Unidos deben retomar la idea de George F. Kennan    –antiguo experto estadounidense en el tema soviético y arquitecto de la política de ‘contención frente al comunismo’ en el Departamento de Estado–, acerca de la necesidad de superar la limitante del concepto que establece una diferencia básica entre guerra y paz, en un escenario internacional donde existe un ‘perpetuo ritmo de lucha dentro y fuera de la guerra’.  Es decir que la guerra es permanente, aunque adopta múltiples facetas y no puede limitarse al uso de los tradicionales recursos militares.  De hecho, el documento expresa que existen modos de hacer la guerra mucho más efectivos.  Que se puede hacer la guerra sin haberla declarado, e incluso hacer la guerra al tiempo que se declara la paz.

“‘La guerra política es una estrategia apropiada para lograr los objetivos nacionales estadounidenses mediante la reducción de la visibilidad en el ambiente geopolítico internacional y sin comprometer una gran cantidad de fuerzas militares’, destaca esto el documento desde sus primeras páginas.  ‘El objetivo final de la guerra política –continúa más adelante– es ganar la guerra de ideas, que no está asociada con las hostilidades’.  La guerra política requiere de la cooperación de los servicios armados, diplomacia agresiva, guerra económica y las agencias subversivas en el terreno, en la promoción de tales políticas, medidas o acciones necesarias para irrumpir o fabricar moral”.

Guerra económica, guerra cultural, guerra política.  No creo que exista mejor forma de sintetizar y definir el complejo y criminal entramado de acciones hostiles contra un pequeño país que solo aspira a superar los lastres del subdesarrollo, manteniendo su independencia, su soberanía y relaciones de respeto mutuo con su poderoso vecino.

Jóvenes como Elier y como tantos que encontramos continuamente en visitas a provincias e instituciones académicas tienen en sus manos las más formidables armas de esta batalla por la verdad de Cuba, y creo que son quienes mejor pueden explicar a sus contemporáneos, por qué la Revolución, por qué el socialismo, y también por qué el bloqueo.

Fundamentalmente, los cuadros de la Unión de Jóvenes Comunistas que hoy tomaron posesión de sus cargos aquí y antes en provincias y municipios, y los representantes de las organizaciones juveniles y estudiantiles están convocados al estudio y a la multiplicación de saberes sobre estos temas cruciales para la defensa de la nación cubana desde la perspectiva de la juventud.

Junto al Servicio Militar Activo, que ha vuelto a crecer con el Servicio Militar Voluntario Femenino, la preparación cultural y política es clave.  Los procesos revolucionarios que olvidaron la importancia de la formación integral de sus jóvenes, la solidez del conocimiento y el debate permanente sobre la actualidad del país y el mundo, no sobrevivieron al olvido.

Nadie podrá contar la realidad de su país ni ilustrar la trascendencia de las hazañas inscritas en su historia como los jóvenes que llegan a ellas por el estudio, la investigación y las memorias de personas de otras épocas.  Y las cuentan con los lenguajes, la estética, los medios y los modos que mejor conocen porque son los de su época, cada vez más dinámica en su desarrollo.

Alguien me preguntó, en vísperas del Congreso, cómo creo que debe ser la Unión de Jóvenes Comunistas en la actualidad.  La respuesta está en todo lo que se ha discutido y consensuado en este Congreso, en el magnífico Informe que describe sin paternalismos ni formalidades la complejidad de la sociedad, de la época y de la propia juventud, y está, sobre todo, en las energías juveniles que desatan las vanguardias al hacer su propia Revolución todos los días.

¡Ser vanguardia es ser los primeros en todo: los primeros en hacer y los primeros en exigir que se haga!

Una organización juvenil de vanguardia, en Cuba, tiene que llevar consigo los símbolos y la historia que los trajo hasta aquí; pero también tiene el deber ineludible de sumar nuevos capítulos a esa historia y nuevos símbolos a la comunicación con sus bases.

Los que salvaron a la patria con sus vacunas, los que entraron en zona roja durante la COVID-19, los héroes del rescate en el Saratoga o el incendio de Matanzas, los jóvenes profesionales de la Salud que fueron a otros países a salvar vidas durante la pandemia, se ganaron un lugar en la historia del país en estos años de resistencia creativa, que nos ha permitido sobrevivir bajo la versión más brutal del bloqueo.  ¡Ellos son también nuestros héroes y nuestros nuevos símbolos! (Aplausos).

En dos años se cumplirán cien del natalicio de Fidel, el más preclaro y victorioso discípulo de Martí y de los grandes próceres cubanos, latinoamericanos y universales.

Cuba y el mundo se preguntarán qué hicieron las nuevas generaciones con el extraordinario legado de heroicidad y entrega de aquellos que asaltaron el Moncada con más sueños de justicia que fusiles. Representar a la vanguardia de la juventud cubana en la respuesta a esa pregunta es un gran reto y entraña una elevada responsabilidad.

Pero no veo tarea más inspiradora y desafiante que proponerse ser dignos herederos del pensamiento y la acción de Fidel, eternamente joven y eternamente rebelde, líder por siempre de la generación que cambió la historia de Cuba y que aún nos acompaña con su poderoso mensaje de unidad.

Con particular emoción el General de Ejército recordaba el primero de enero de este año que de Fidel aprendió: “la importancia decisiva de la unidad; a no perder la serenidad y la confianza en el triunfo por insalvables que parezcan los obstáculos poderosos de los enemigos o grandes los peligros; a aprender y sacar fuerzas de cada revés hasta transformarlo en victoria”.

No olviden nunca esas lecciones. En ellas se encierra la victoriosa historia de 65 años de Revolución socialista a 90 millas del imperio.

¡Felicidades al nuevo Buró de la Unión de Jóvenes Comunistas electo!

 ¡Los desafíos siguen siendo enormes, pero la Revolución cree en los jóvenes!

¡Hasta la Victoria Siempre!

¡Socialismo o Muerte!

¡Patria o Muerte!

¡Venceremos!  

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