Il capitalismo selvaggio e le nuove forme di schiavitù

di Alessandro Bianchi

Per “Egemonia” abbiamo avuto il grande privilegio di dialogare con Miguel Barnet, a Roma recentemente per presentare la nuova edizione del suo libro “Cimarron. Biografia di uno schiavo fuggiasco” – alla sua ottantesima ristampa – e celebrare l’”Apostolo”, il padre della patria cubana Josè Martì, avvenuta in battaglia il 19 maggio 1895.  Etnologo, poeta e romanziere, Barnet, nato a l’Avana nel 1940, è internazionalmente riconosciuto come uno dei letterati più importanti dell’America Latina. Nel 1994 è stato insignito del Premio Nacional de Literatura de Cuba ed è attualmente presidente della Fundación Fernando Ortiz.

Nel 1963, a pochi anni dalla conclusione dell’insurrezione rivoluzionaria cubana, “ancora ragazzo”, ricorda, “venni a sapere dai giornali dell’Avana che era ancora in vita uno schiavo nero, fuggito da giovane in montagna”. Si trattava di Esteban Montejo – protagonista del suo libro di maggiore successo, letto e amato ormai da diverse generazioni – che all’incontro con Bernat di anni ne aveva centotre. “Dopo essere sfuggito alla violenza coloniale e aver lavorato una vita nella filiera dello zucchero, Montejo aveva combattuto per la causa indipendentista durante la guerra del 1898”, ricorda Barnet.

Abbiamo cercato con il grande intellettuale di individuare le ragioni dell’eternità letteraria che Esteban si è costruito e di individuare con lui “i Montejo di oggi”, gli schiavi del neo-liberismo, di quel regime che si autoproclama libero e che affama l’isola di Cuba, rea solamente di aver mostrato al mondo che esiste un’alternativa alle barbarie attuali e che si può essere sovrani, indipendenti e solidali anche a poche miglia dall’Impero.

L’intervista

Professore, quale è l’insegnamento più grande del Padre della patria cubana, Josè Martì, per affrontare i difficili tempi che stiamo vivendo?

José Martí è stato un intellettuale che ha sempre creduto nel cambiamento e nell’equilibrio. La sua teoria delle relazioni internazionali è oggi più valida che mai, ma per ottenerla è necessario che ci sia un dialogo tra le potenze egemoniche e quelle non egemoniche. Finché non assisteremo a questo dialogo, non ci sarà la possibilità di raggiungere quello che Martí sognava, l’equilibrio del mondo, cioè che il pesce grande non mangi il pesce piccolo. Martí era un patriota e creò il Partito Rivoluzionario Cubano per questo scopo, lo scopo di unire tutti i cubani nella lotta per l’emancipazione e la sovranità di Cuba.

«Un documento unico, uno di quei rari casi in cui il materiale etnografico e sociologico assume spontaneamente, per la sua forza interna, un valore poetico e letterario.» Così ha definito Italo Calvino  il suo libro “Cimarron. Biografia di uno schiavo” (nel titolo originario della prima edizione italiana di Einaudi), sottolineando come vada a individuare la radice più profonda dell’identità nazionale cubana. Un documento unico. A distanza di quasi 60 anni dall’incontro con Esteban Montejo, qual è il lascito più profondo, secondo lei, del protagonista del libro che può spiegare il suo successo ancora oggi?

Il lascito più grande di Esteban Montejo alle generazioni presenti e future è quello della lotta per la propria autoderminazione. L’essere umano deve lottare contro tutte le avversità nel corso della propria vita. E se qualcuno cade vittima delle avversità, compresa la più atroce come è la schiavitù, Esteban ha dimostrato, fuggendo in montagna, che bisogna sempre trovare una via per raggiungere la propria libertà spirituale. Ed è proprio questo il lascito secondo me più profondo che riscontro in Esteban: la ricerca della libertà spirituale a cui tutti gli esseri umani devono aspirare. E ancor più oggi, nelle circostanze tremende in cui viviamo oggi, assaliti da una guerra permanente. Ma le avversità non possono essere un ostacolo, devono fungere da stimolo alla lotta e alla creatività.  Esteban Montero è stato un uomo che ha cercato la propria libertà, che ha lottato contro tutti gli ostacoli che ha avuto nella sua vita. Una vita dura e crudele. Oggi è un esempio di questa lotta permanente contro il neoliberismo.

In un passaggio molto bello di un suo recente video, lei dichiara che lo scrittore ha il compito di “salvare la memoria collettiva” dinanzi il progresso tecnologico attuale. Non crede che il regime neo-liberista stia producendo nuove forme di schiavitù più sofisticate dei “Cimarron” del passato? E se dovesse oggi pensare ad un seguito del suo libro, chi sceglierebbe di intervistare?

Come forma aggressiva del capitalismo selvaggio, il neoliberismo produce certamente forme di schiavitù. Penso che potrei intervistare qualsiasi persona che sia stata o sia oggi soggetta alle catene che impone questo regime tremendo. Penso che lo Stato abbia il diritto di mantenere l’equilibrio nella società e che il neoliberismo produca forme di schiavitù contemporanee brutali quanto quelle del XIX secolo.  Potrei, dunque, intervistare qualsiasi lavoratore di fabbrica, bracciante o precario che è oggi vittima di questa ingiustizia dei poteri egemonici e oppressivi. Esistono oggi ancora forme di schiavitù in tutti i continenti, ma soprattutto negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale. In questo triste pianeta infestato da guerre che servono solo agli interessi dei potentati, penso che l’unico modo per uscirne sia quello di creare un sistema di equilibrio, come propugnava Martì, e un socialismo progressivo che determini e formi nuove coscienze. Finché esiste il neoliberismo, del resto, ci sarà la schiavitù.

Professore la sua patria, Cuba, vive sotto il bloqueo. Un crimine contro l’umanità che vuole portare il socialismo cubano alla resa per fame. È un crimine, anzi è terrorismo. Ma per gli Stati Uniti, il responsabile di questo atroce crimine contro l’umanità, è Cuba che “patrocina il terrorismo”. Che ruolo hanno, secondo lei, le corporazioni mediatiche nel rendere impermeabile il mondo al contrario in cui viviamo oggi?

Immenso. A dire che Cuba “patrocina il terrorismo” sono gli Stati Uniti, un paese che promuove il terrorismo, mentre noi che siamo le vittime del terrorismo di Stato, sponsorizzato da loro, siamo i “patrocinatori”.  È esattamente un mondo al contrario, è totalmente assurdo e costituisce la più grande delle ingiustizie.  Siamo un Paese di pace e l’unica cosa a cui noi aspiriamo è che il nostro popolo viva in pace e sia padrone dei suoi valori, i valori che hanno insegnato José Martí, il nostro apostolo, e Fidel Castro, leader della Rivoluzione cubana. Il bloqueo viene condannato ogni anno dalla maggior parte dei paesi del mondo. Ogni anno alle Nazioni Unite, quasi 190 paesi lo condannano e poi che succede?  Purtroppo, ci sono orecchie da mercante, anche quelle delle Nazioni Unite, che nonostante tutte queste votazioni a favore di Cuba e contro il bloqueo, non prendono misure radicali, profonde e giuste. Il mio è un J’accuse frontale anche alle organizzazioni internazionali per non essere consapevoli o giuste nei confronti del mio Paese.

Quanto manca la figura di Fidel Castro nei tempi che viviamo e quali parole avrebbe utilizzato per descriverli?

La devo correggere. Fidel non è mai assente. Parlare della sua assenza significa commettere un errore. La Rivoluzione cubana, creata da lui e dagli eroi che lottarono nella Sierra Maestra per l’indipendenza totale del mio Paese, è oggi più presente e valida che mai. L’ostacolo più grande che dobbiamo affrontare per raggiungere la stabilità e una vita pacifica, di conforto e di giustizia è eliminare il blocco criminale che ogni giorno soffoca sempre di più l’economia del nostro Paese. Non c’è paese al mondo che subisca un blocco da oltre 60 anni. Cuba è l’unico. La storia non potrà mai assolvere questi stati che, in nome della prevaricazione e del capitalismo selvaggio, ci hanno costretti a vivere nella dipendenza solo per aver mostrato che un mondo di pace e più giusto sia possibile.

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