Julian Assange: esempio di tortura sistemica

Marcos Roitman Rosenmann

La libertà non è una concessione. È il risultato di molteplici lotte sociali che hanno segnato l’evoluzione dei diritti umani in tutte le loro dimensioni. Non parliamo della libertà neoliberale di scegliere: bere vino o prendere una bibita, a cui si aggrappano i libertari per sospendere la prima condizione dell’essere umano, la sua dignità. Negare i diritti umani come parte di un ordine democratico significa contraddire il valore della giustizia come espressione di una legge uguale per tutti. Se ci limitiamo al caso di Julian Assange, privandolo della sua dignità, si manifestano gli argomenti per la sua detenzione: presentare la libertà di stampa e informazione sotto il dilemma utilitarista di proteggere un bene maggiore. Accusato di violare segreti di Stato, mettere in discussione la sicurezza nazionale e compromettere la vita di persone statunitensi, è iniziata la sua persecuzione.

Una volta detenuto, in modo continuato e sistematico, per cinque anni, è stato sottoposto a tortura psichica, le cui ripercussioni fisiche dimostrano il grado di astio con cui sono state applicate. Vivere in una prigione di massima sicurezza senza vedere la luce del sole per 23 delle 24 ore del giorno, in una cella di 2×3 metri, impossibilitando qualsiasi movimento oltre i sette passi, è stato il metodo per ottenere una confessione: dichiararsi colpevole di spionaggio. I suoi carcerieri sono coscienti. Lo sanno giudici, pubblici ministeri e avvocati dell’accusa che lo hanno permesso con l’obiettivo di porre fine alla resistenza di Julian Assange.

Michael Sandel, nel suo saggio ‘Giustizia: facciamo ciò che dobbiamo?’, manifesta il carattere utilitarista di legittimare la tortura fisica o psichica, se si tratta di proteggere la vita di molti a fronte del dolore di pochi o di un solo individuo. Il suo esempio richiama gli argomenti impugnati dall’ex vicepresidente Richard Cheney giustificando le tecniche di interrogatorio e torture a Guantánamo o nella prigione di Abu Ghraib, sottolineando la validità di infliggere un intenso dolore a una persona, se con ciò si evitano morti e sofferenze di una magnitudine gigantesca a presunti terroristi di Al Qaeda.

Se ricordiamo, una delle accuse contro Assange è stata quella di mettere in pericolo la vita del personale addetto ai servizi di intelligence e diplomatici USA, pubblicando i documenti che li accusava di spionaggio. L’obiettivo era mostrare che applicare la tortura al detenuto era proporzionale al danno causato o da causare. Una scusa, dirà Sandel, per essere “disposti a mettere da parte i nostri scrupoli relativi alla dignità e ai diritti” sotto il principio di fare della moralità una relazione tra costi e benefici.

Trascorsi 15 anni da quando sono stati resi noti i documenti di WikiLeaks, nessun funzionario è stato obiettivo né ha subito attentati, come prevedevano il Pentagono e la Casa Bianca, da Obama a Biden. Tuttavia, l’argomento è stato mantenuto per giudicare Assange di spionaggio. È poco gratificante ascoltare come i dirigenti delle democrazie occidentali si siano congratulati della decisione di Assange di dichiararsi colpevole di spionaggio in cambio della sua libertà. Detti dirigenti dimenticano che tale accordo è stato frutto di essere, per cinque anni, oggetto di maltrattamenti e torture psichiche. Nulla dicono degli scandali menzionati nelle centinaia di migliaia di documenti pubblicati nella stampa internazionale.

L’unica cosa verificabile in tutto questo affaire è stato il modo di agire del governo USA, la cui rete oscura di potere non è soggetta ad alcun controllo al momento di pianificare i suoi obiettivi di dominazione imperiale, ricattando i paesi alleati e della NATO. Di ciò è meglio non parlare. Come è successo, il dibattito si è concentrato sul messaggero, Assange, non sul contenuto, e sugli obiettivi elaborati dalla CIA, dalla Casa Bianca e dal Pentagono per dominare il mondo.

L’arte del birlibirloque (imbroglio ndt) si consuma, responsabilizzando degli abusi di potere, vendita di armi, violazioni dei diritti umani, sabotaggio, spionaggio a presidenti di governo e Capi di Stato chi non ha alcuna responsabilità e si occupa di avvisare l’opinione pubblica dei pericoli di un mondo occulto, fuori dalla portata abituale dei media sociali. La soluzione trovata per Assange ci avverte: la libertà di stampa può essere eliminata se le notizie mettono in discussione l’ordine stabilito. La verità non fa parte dell’equazione, la censura e la paura di subire le conseguenze della ragion di Stato sono il limite per esercitare la libertà di informazione. Il carcere, la tortura e la perdita di dignità sono le conseguenze. Assange è stato l’esempio, non seguite quel cammino. Rovinerà la vostra vita, quella della vostra famiglia, non ne vale la pena.

Marcos Roitman Rosenmann  Cileno-spagnolo, sociologo e scrittore


Julian Assange: ejemplo de tortura sistémica

Marcos Roitman Rosenmann

La libertad no es una concesión. Es el resultado de múltiples luchas sociales que han marcado la evolución de los derechos humanos en todas sus dimensiones. No hablamos de la libertad neoliberal de elegir: o beber vino o tomar gaseosa, al cual se aferran los libertarios para suspender la primera condición del ser humano, su dignidad. Negar los derechos humanos como parte de un orden democrático, es contradecir el valor de la justicia en tanto expresión de una ley igual para todos. Si nos circunscribimos al caso de Julian Assange, al despojarlo de su dignidad, se manifiestan los argumentos para su detención: presentar la libertad de prensa e información bajo el dilema utilitarista de proteger un bien mayor. Acusado de violar secretos de Estado, poner en cuestión la seguridad nacional y comprometer la vida de personas estadunidenses, se inició su persecución.

Una vez detenido, de manera continuada y sistemática, durante cinco años, fue sometido a tortura síquica, cuyas repercusiones físicas demuestran el grado de inquina con la cual se aplicaron. Vivir en una prisión de máxima seguridad sin ver la luz del sol durante 23 de las 24 horas del día, en una celda de 2×3 metros, imposibilitando cualquier movimiento más allá de los siete pasos, ha sido el método para lograr una confesión: declararse culpable de espionaje. Sus carceleros son conscientes. Lo saben jueces, fiscales y letrados de la acusación que lo han permitido con la finalidad de terminar con la resistencia de Julian Assange.

Michael Sandel, en su ensayo Justicia ¿hacemos lo que debemos?, manifiesta el carácter utilitarista de legitimar la tortura física o síquica, si se trata de proteger la vida de muchos frente al dolor de unos pocos o de un solo individuo. Su ejemplo, remite a los argumentos esgrimidos por el ex vicepresidente Richard Cheney justificando las técnicas de interrogatorio y torturas en Guantánamo o en la prisión de Abu Ghraib, subrayando la validez de infligir dolor intenso a una persona, si con ello se evitan muertes y sufrimientos de una magnitud gigantesca a presuntos terroristas de Al Qaeda.

Si recordamos, una de las acusaciones contra Assange, fue poner en peligro la vida del personal adscrito a los servicios de inteligencia y diplomáticos estadunidenses, al publicar los documentos que les inculpaba de espionaje. El objetivo, mostrar que aplicar la tortura al detenido, era proporcional al daño causado o por causar. Una excusa, dirá Sandel, para estar “dispuestos a dejar a un lado nuestros escrúpulos relativos a la dignidad y a los derechos” bajo el principio de hacer de la moralidad una relación entre costes y beneficios.

Transcurridos 15 años desde que vieron la luz los documentos de WikiLeaks, ningún funcionario ha sido objetivo ni sufrido atentado, tal como vaticinaban el Pentágono y la Casa Blanca, desde Obama hasta Biden. Sin embargo, el argumento se ha mantenido para juzgar a Assange de espionaje. Resulta poco gratificante escuchar cómo los líderes de las democracias occidentales se han congratulado de la decisión de Assange, declarándose culpable de espionaje a cambio de su libertad. Dichos líderes olvidan que tal acuerdo ha sido fruto de estar, durante cinco años, siendo objeto de malos tratos y las torturas síquicas. Nada dicen de los escándalos aludidos en los cientos de miles de documentos que vieron la luz en la prensa internacional.

Lo único verificable en todo este affaire ha sido la forma de actuar del gobierno de Estados Unidos, cuya red oscura de poder no está sometida a ningún control a la hora de planificar sus objetivos de dominación imperial, chantajeando a los países aliados y de la OTAN. De ello mejor no hablar. Como ha sucedido, el debate se ha centrado en el mensajero, Assange, no en el contenido, y los objetivos elaborados por la CIA, la Casa Blanca y el Pentágono para dominar el mundo.

El arte de birlibirloque se consuma, responsabilizando de los abusos de poder, venta de armas, violaciones de los derechos humanos, sabotaje, espionaje a presidentes de gobierno, y jefes de Estado a quien no tiene responsabilidad alguna y cumple con alertar a la opinión pública de los peligros de un mundo oculto, fuera del alcance habitual de los medios de comunicación social. La salida encontrada para Assange nos advierte: la libertad de prensa puede ser eliminada si las noticias ponen en cuestión el orden establecido. La verdad no forma parte de la ecuación, la censura y el miedo a sufrir las consecuencias de la razón de Estado son el techo para ejercer la libertad de información. La cárcel, la tortura y la pérdida de la dignidad son las consecuencias. Assange ha sido el ejemplo, no siga ese camino. Arruinará su vida, la de su familia, no vale la pena.

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Marcos Roitman Rosenmann Chileno-español, sociólogo y escritor

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