Il doppio filo delle armi e della politica

Un giovane di 20 anni, dello stesso Partito Repubblicano, è stato identificato come l’attentatore di Donald Trump

Raúl Antonio Capote

Le elezioni negli USA sono quasi giunte alla dirittura finale e la macchina concepita per preservare il potere dell’1% dei cittadini di quel paese (i più ricchi e potenti), ingrassata con miliardi di dollari, mostra il suo reale ingranaggio.

Tra menzogne, manipolazioni, burle, sgambetti e sparatorie, si svolge il processo che alla fine non sarà deciso dal voto del popolo, ma dalla volontà e dagli interessi dei potenti di sempre.

Come parte della campagna, in cerca del sostegno degli elettori e del denaro dei donatori, i candidati alla presidenza celebrano comizi con le loro basi, realizzano giri, si confrontano in dibattiti televisivi, tra altre azioni.

TRUMP HA MINACCIATO CUBA A DORAL

Il magnate ex-presidente ha tenuto un comizio elettorale pochi giorni fa nel suo club di golf a Doral, vicino a Miami, Florida, a cui ha partecipato un numeroso gruppo di suoi sostenitori.

Con i suoi soliti atteggiamenti e frasi colloquiali molto ben studiate, lo showman della politica USA ha eseguito un pezzo d’oratoria in cui ha caratterizzato il Partito Democratico come «diviso, nel caos e in un collasso su larga scala».

È arrivato ad affermare che i suoi rivali democratici non possono decidere «quale dei loro candidati è meno adatto a essere presidente: il “dormiglione e corrotto” Joe Biden o “Laffin Kamala”, qualcosa che solo può essere sentito in una campagna presidenziale yankee.

Alla presenza di vari legislatori repubblicani della Florida, incluso il senatore Marco Rubio, il politico non ha perso l’occasione di ingraziarsi i più acerrimi nemici del popolo cubano, nella ricerca di voti.

Per molti può risultare inverosimile sentire una persona che aspira a tornare alla più alta carica politica del suo paese, tessere un tale cumulo di falsità, manipolazioni e minacce; ma se si rivede il suo lascito, il record che ha lasciato dopo il suo governo, si comprenderà che è il suo modo abituale di comportarsi.

Per quanto riguarda Cuba, Donald Trump ha affermato: «non permetterò mai che vi silenzino, non permettiamo che sottomarini nucleari e navi da guerra russe ci circondino a circa 90 miglia da Cuba».

La «perla oratoria» del suo riferimento anti-cubano è arrivata quando, usando una mistica tascabile, ha detto che «disgraziatamente c’è una forza malvagia, c’è una forza nera che si sta insinuando in questo paese dove hanno tolto dio dalla vita pubblica».

Neanche Venezuela e Nicaragua sono stati risparmiati dalle sue diatribe, qualcosa di abituale nella sua oratoria.

QUANDO INTERVENGONO LE ARMI

Tuttavia, in mezzo a tutto questo, una notizia ha catturato l’attenzione globale: l’ex presidente USA, Donald Trump, è stato oggetto di un tentato omicidio con arma da fuoco sabato, mentre teneva un comizio elettorale nella città di Butler, in Pennsylvania.

L’attentatore, identificato dalle autorità come Thomas Matthew Crooks, di 20 anni e registrato per votare come repubblicano, è stato abbattuto dagli agenti del Servizio Segreto.

Secondo il Federal Bureau of Investigation (FBI), l’aggressore ha sparato fino a otto colpi all’ex presidente con un fucile tipo AR-15, a circa 270 metri di distanza da dove parlava Trump.

Il fucile AR-15 utilizzato nell’attentato è uno dei più popolari nella nazione. Milioni di statunitensi possiedono un’arma simile. Descritto come «accessibile, personalizzabile, leggero e letale» dai venditori di armi, i media hanno battezzato il fucile come l’«arma preferita degli assassini di massa».

Per citare solo alcuni esempi, i fucili AR-15 sono stati utilizzati nelle sparatorie di massa di Sandy Hook, Parkland, Las Vegas, Sutherland Springs, il nightclub Pulse, Uvalde, la Covenant School di Nashville e nella Old National Bank di Louisville.

Creare il Frankenstein della violenza armata può essere redditizio per le grandi aziende che fabbricano questi strumenti di morte, ma alla fine il mostro finisce per rivolgersi contro i suoi creatori.

«Come vittime di attentati e terrorismo da 65 anni, Cuba conferma la sua posizione storica di condanna a ogni forma di violenza», ha scritto sulla rete sociale X il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel Bermúdez.

«Il commercio delle armi e l’escalation della violenza politica negli USA favoriscono incidenti come quello avvenuto questo sabato in quel paese», ha aggiunto.

UCCIDERE UN PRESIDENTE, NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE DEL NORD AMERICA

L’aggressione contro il candidato repubblicano segna un nuovo episodio nel sanguinoso istoriale di attentati contro politici USA. La storia iniziò nel 1865, quando Abraham Lincoln divenne il primo presidente a essere assassinato.

James A. Garfield, nel 1881, fu il secondo presidente ucciso, mentre nel 1901 si aggiunse alla lista William McKinley.

Uno degli eventi più conosciuti di questa saga di crimini avvenne il 22 novembre 1963, quando il trentacinquesimo presidente, John F. Kennedy, fu mortalmente ferito a Dallas, in Texas.

Gli è seguito suo fratello minore, Robert Kennedy, morto il 6 giugno, dopo essere stato ferito a morte mentre faceva campagna per le elezioni presidenziali del 1968.

Ronald Reagan, il quarantesimo presidente, rischiò di morire per mano di un pistolero, nel marzo del 1981, a Washington.

Ogni presidente di quel paese ha sofferto almeno una volta un tentativo di assassinio, ma se sommassimo a questi quelli organizzati dalla Casa Bianca contro dirigenti che sono «fastidiosi» in altre regioni del mondo, non basterebbero cento volumi.

Lamentiamo l’atto violento contro il candidato repubblicano. Cuba ha una limpida storia di lotta contro il terrorismo, ma come dice un detto popolare, chi semina vento raccoglie tempesta.


El doble filo de las armas y la política

Un joven de 20 años, del mismo Partido Republicano, fue identificado como el atacante de Donald Trump

Raúl Antonio Capote   

 

Llegan casi a la recta final las elecciones en EE. UU. y la maquinaria concebida para preservar el poder del 1 % de los ciudadanos de ese país (los más ricos y poderosos), engrasada con miles de millones de dólares, muestra su engranaje real.

Entre mentiras, manipulaciones, burlas, zancadillas y balazos, transcurre el proceso que al final no decidirá el voto del pueblo, sino la voluntad y el interés de los poderosos de siempre.

Como parte de la campaña, en busca del apoyo de los electores y el dinero de los donantes, los candidatos a la presidencia celebran mítines con sus bases, realizan giras, se enfrentan en debates televisivos, entre otras acciones.

TRUMP AMENAZÓ A CUBA EN DORAL

El magnate expresidente, realizó un mitin de campaña hace apenas unos días en su club de golf en Doral, cerca de Miami, Florida, al que asistió un numeroso grupo de sus seguidores.

Con sus habituales desplantes y muy bien estudiadas frases coloquiales, el showman de la política estadounidense ejecutó una pieza oratoria en la que caracterizó al Partido Demócrata como «dividido, en caos y con un colapso a gran escala»

Llegó a afirmar que sus rivales demócratas no pueden decidir «cuál de sus candidatos es menos apto para ser presidente: el «dormilón y torcido» Joe Biden o «Laffin Kamala», algo que solo puede ser escuchado en una campaña presidencial yanqui.

En presencia de varios legisladores republicanos de Florida, incluyendo al senador Marco Rubio, el político no dejó pasar la oportunidad de congraciarse con los más acérrimos enemigos del pueblo cubano, en su búsqueda de votos.

Para muchos puede resultar inverosímil escuchar a una persona que aspira a regresar al cargo político más alto de su país, hilvanar tal cúmulo de falsedades, manipulaciones y amenazas; pero si revisan su legado, el récord que dejó tras su gobierno, comprenderán que es su manera habitual de comportarse.

Con respecto a Cuba, Donald Trump afirmó: «yo nunca permitiré que los silencian a ustedes, no permitimos que submarinos nucleares y barcos de guerra rusos nos estén rodeando a 90 millas cerca de Cuba».

La «joya discursiva» de su referencia anticubana llegó cuando, usando una mística de bolsillo, dijo que «desgraciadamente hay una fuerza villana, hay una fuerza negra que se está colando en este país donde han sacado a dios de la vía pública».

Tampoco se salvaron Venezuela y Nicaragua de sus diatribas, algo habitual en su oratoria.

CUANDO INTERVIENEN LAS ARMAS

Sin embargo, en medio de todo esto, una noticia acaparó la atención global: el expresidente de EE. UU., Donald Trump, fue objeto de un intento de asesinato con arma de fuego el sábado, cuando desarrollaba un mitin electoral en la ciudad de Butler, en Pensilvania.

El atacante, identificado por las autori­dades como Thomas Matthew Crooks, de 20 años y registrado para votar como republicano, fue abatido por agentes del Servicio Secreto.

Según el Buró Federal de Investigaciones (FBI), el agresor disparó hasta ocho balas al expresidente con un rifle tipo AR- 15, a unos 270 metros de distancia de donde hablaba Trump.

El fusil AR-15 utilizado en el atentado es uno de los más populares en la nación. Millones de estadounidenses poseen un arma similar. Descrito como «asequible, personalizable, ligero y letal», por los vendedores de armas, los medios de comunicación han bautizado al rifle como el «arma preferida de los asesinos en masa»,

Por solo citar algunos ejemplos, los rifles ar-15 se utilizaron en los tiroteos masivos de Sandy Hook, Parkland, Las Vegas, Sutherland Springs, el club nocturno Pulse, Uvalde, la Covenant School de Nashville y en el de Old National Bank de Louisville.

Crear al Frankenstein de la violencia armada puede ser rentable para las grandes empresas que fabrican esos instrumentos de muerte, pero siempre el monstruo termina virándose contra sus creadores.

«Como víctimas de atentados y terrorismo durante 65 años, Cuba ratifica su posición histórica de condena a toda forma de violencia», escribió en la red social x el Primer Secretario del Comité Central del Partido Comunista de Cuba y Presidente de la República, Miguel Díaz-Canel Bermúdez.

«El negocio de las armas y la escalada de violencia política en EE. UU. propician incidentes como el que ha tenido lugar este sábado en ese país», agregó.

MATAR A UN PRESIDENTE, NADA NUEVO BAJO EL SOL DE NORTEAMÉRICA

La agresión contra el candidato republicano marca un nuevo episodio en el sangriento historial de atentados contra políticos estadounidenses. La historia comenzó en 1865, cuando Abraham Lincoln se convirtió en el primer presidente que murió asesinado.

James A. Garfield, en 1881, fue el segundo presidente ultimado, mientras en 1901 engrosó la lista William McKinley.

Uno de los acontecimientos más conocidos de esta saga de crímenes ocurrió el 22 de noviembre de 1963, cuando el trigésimoquinto presidente, John F. Kennedy, fue herido mortalmente en Dallas, Texas.

A él le siguió su hermano menor, Robert Kennedy, fallecido el 6 de junio, tras ser herido de muerte mientras hacía campaña para las elecciones presidenciales de 1968.

Ronald Reagan, el cuadragésimo presidente, estuvo a punto de morir a manos de un pistolero, en marzo de 1981, en Washington.

Cada presidente de ese país ha sufrido alguna vez un intento de asesinato, pero si sumáramos a estos los que han sido organizados desde la Casa Blanca contra líderes que les son «molestos» en otras regiones del mundo, no alcanzaría un centenar de tomos.

Lamentamos el acto violento contra el candidato republicano. Cuba tiene una limpia trayectoria de enfrentamiento al terrorismo, pero como dice un refrán popular, quien siembra vientos cosecha tempestades.

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