26 luglio: 71° Anniversario dell’assalto alla Caserma Moncada

Cuba, nel 1952, era da cinquant’anni uno stato indipendente e democratico, nel vero senso “occidentale” dei due termini, con diversi partiti che partecipavano a un confronto elettorale e che asserivano di operare per il bene del proprio popolo. Ma qual era il risultato di questa fossero 95.000 insegnanti senza lavoro e che il 50% dei bambini non frequentasse la scuola.

A questa situazione aggiungiamo che a Cuba, su una delle terre più fertili del mondo, una parte considerevole di adulti sotto i trent’anni era uccisa dalle malattie della fame, anemia, rachitismo, tubercolosi e che nei primi anni di vita i bambini erano decimati dalla gastroenterite e dalle malattie infettive. Ma tutto questo avveniva in modo democratico. In compenso Cuba era un posto dove fiorivano il gioco d’azzardo e la prostituzione, dove i più rinomati gangster e mafiosi degli Stati Uniti frequentavano liberamente i suoi casinò, dove i miliardari vivevano in lussuosissime ville e dove le persone con la pelle nera erano costrette ai lavori più umili e non avevano alcuna possibilità di inserimento sociale. Anche tutto questo, naturalmente, era presente in modo democratico.

A Cuba nel 1952 si sarebbero dovute svolgere le elezioni, ma nella democrazia “occidentale” quando la classe dominante prevede che le cose non vadano proprio nel modo desiderato – e come la storia ci ha spesso insegnato – esiste un’altra opzione: il colpo di Stato.

E fu così che il 10 marzo 1952 Fulgencio Batista, con il beneplacito degli Stati Uniti, attuò un colpo di Stato per impedire lo svolgimento delle elezioni che, probabilmente, sarebbero state vinte da un partito delle forze di opposizione non gradito agli Stati Uniti e al grande capitale cubano. Nell’ala giovanile del Partito Ortodosso militava un giovane avvocato cubano, Fidel Castro, che intendeva condurre contro Batista una lotta più incisiva rispetto a quella condotta dai partiti tradizionali. Dapprima presentò al Tribunale una denuncia in cui chiedeva l’arresto di Batista per avere violato, con il colpo di Stato, la Costituzione del 1940. In seguito, non avendo ricevuto alcuna risposta dai giudici asserviti al potere, essendo stata esaurita ogni via legale e constatata l’inerzia dei partiti cubani, decise di passare alla lotta armata.

Nel 1953 ricorreva il centenario della nascita di José Martí, l’Apostolo dell’Indipendenza cubana. Ed è nel nome di Martí che Fidel Castro raggruppa 152 uomini per scacciare il tiranno e per fare di Cuba una nazione veramente indipendente e non schiava degli interessi nordamericani. Questo gruppo autodenominatosi ‘Giovani del Centenario’ e formato in prevalenza da persone provenienti da La Habana, da Artemisa e da Guanajay, in gran segreto ricevette un addestramento militare nelle campagne attorno a La Habana. L’obiettivo era quello di assaltare due caserme nell’oriente di Cuba, quella di Bayamo e quella di Santiago de Cuba, e dare con queste azioni un segnale forte al popolo cubano, che era giunto il momento di lottare, che era giunto il momento di sollevarsi e di voltare pagina.

All’alba del 26 luglio 1953, partendo dalla fattoria Siboney, a 30 km. da Santiago, e approfittando del termine dei festeggiamenti del carnevale e dell’effetto sorpresa, un centinaio di uomini al comando di Fidel Castro – vestiti con le stesse uniformi dei militari batistiani, con poche armi valide e molti fucili da caccia – prende d’assalto la caserma Moncada a Santiago de Cuba, la seconda per importanza nel paese con oltre mille soldati. Raúl Castro con altri dieci uomini occupa il Palazzo di Giustizia, dalla cui terrazza posta di fronte alla caserma può offrire una copertura di fuoco. Abel Santamaría con la sorella Haydée, Melba Hernández e altre reagiscono al fuoco ed essendo in numero nettamente superiore costringono buona parte degli assaltanti alla fuga.

L’esercito perde una ventina di uomini, gli assaltanti ne perdono tre. Fidel e Raúl riescono a fuggire sui monti intorno a Santiago. Ma nelle mani dell’esercito batistiano restano 68 prigionieri, tra questi Abel Santamaría, che dopo essere stati orrendamente torturati vengono uccisi.

Questo avvenimento suscitò una grande emozione in tutta Cuba e contribuì alla presa di coscienza da parte del popolo cubano: per ottenere un cambiamento nelle loro condizioni di vita era necessario un modo completamente diverso di lotta rispetto a quello proposto, secondo il pensiero “occidentale”, dal sistema dei partiti.

La storia è poi nota. Fidel, Raúl e altri compagni fuggiti sui monti vengono successivamente arrestati e condannati a 15 anni di prigione. Nel processo-farsa Fidel mette in evidenza i crimini di Batista e l’ingiustizia del sistema vigente, pronunziando alla fine della sua difesa la famosa frase “Condannatemi, non importa, la storia mi assolverà”. Dopo un paio di anni nel carcere speciale dell’Isola dei Pini (oggi Isola della Gioventù), grazie a grandi manifestazioni popolari in tutta Cuba che ne chiedono la libertà, Fidel e i suoi compagni vengono mandati in esilio in Messico. Da lì riprenderanno immediatamente la lotta contro il tiranno.

Cinque anni, cinque mesi e cinque giorni dopo l’assalto alla Caserma Moncada, l’Ejército Rebelde di Fidel, di Raúl, del Che e di Camilo, libera l’Isola dalla tirannia di Batista e Cuba, per la prima volta nella sua storia, ha la possibilità di intraprendere la costruzione di una nuova società completamente diversa dagli schemi ipotizzati dal pensiero “occidentale”.

Se non fosse stato per questo nuovo modo di affrontare la propria realtà, che ha avuto come origine l’assalto alla caserma Moncada, oggi Cuba, anziché essere un modello per i paesi del cosiddetto Terzo Mondo per i risultati raggiunti in diversi campi, si troverebbe nelle stesse condizioni attuali di qualsiasi paese “democratico” dell’area centro-sudamericana. Con le stesse miserie, con le stesse malattie, con gli stessi analfabeti, con gli stessi disoccupati, con le stesse ingiustizie, proprio come lo era settantuno anni fa.

Nel ricordare la festa nazionale di Cuba del 26 Luglio, Día de la Rebeldía, l’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba si congratula con il popolo cubano per i successi ottenuti dalla sua Rivoluzione. Rinnova la propria solidarietà nella lotta contro l’illegale e criminale blocco imposto dagli Stati Uniti, CHIEDE la rimozione di Cuba dalla infame lista dei paesi patrocinatori del terrorismo e invita tutti coloro che credono nella costruzione di un mondo migliore a collaborare con la nostra associazione.

Come ha scritto il Che nella sua lettera d’addio ai figli: “… ricordatevi che ciascuno di noi, da solo, non vale nulla…”.

Il 26 luglio, la proposta politica più rivoluzionaria

Le azioni del 26 luglio 1953 segnarono un cambiamento epocale a Cuba. Al di là delle ripercussioni immediate, furono l’inizio di una nuova fase di lotta per il popolo.

Con l’assalto alla Caserma Moncada di Santiago de Cuba e alla Caserma Carlos Manuel de Céspedes di Bayamo, i giovani di quella che sarebbe passata alla storia come la Generazione del Centenario ruppero con la prassi di promuovere il cambiamento attraverso le organizzazioni e le istituzioni politiche tradizionali, in gran parte logorate dai vizi di quella repubblica.

Per capirlo, bisogna innanzitutto sottolineare che i meccanismi della democrazia borghese si erano risolti in clamorosi fallimenti, se visti nell’ottica degli interessi della maggioranza. L’instaurazione della tirannia di Batista dopo il colpo di Stato del 10 marzo 1952, a sua volta, portò al culmine di una crisi dalla quale non sarebbe stato possibile uscire con i mezzi sperimentati fino ad allora.

Così, Fidel Castro e i suoi compagni, che rivendicavano le idee di José Martí, svolsero un ruolo di primo piano in un’alternativa per rimuovere la tirannia dal potere e fornire una soluzione globale ai problemi della nazione. Mentre altri gruppi, di destra o di sinistra, difendevano tesi inapplicabili alle condizioni del momento, essi optarono per il confronto insurrezionale di un’avanguardia, sostenuta dall’azione del popolo.

Sebbene i combattimenti del 26 luglio nell’Est si siano risolti in una sconfitta dal punto di vista militare, l’approccio di quella lotta portò alla fine a un trionfo rivoluzionario. Da quell’impresa emersero leader importanti come Fidel e Raúl Castro, Juan Almeida, Ramiro Valdés, Melba Hernández e Haydée Santamaría. Cinque anni, cinque mesi e cinque giorni dopo, il Movimento del 26 luglio salì al potere.

Sono passati più di sette decenni e Cuba non è più la stessa. Tuttavia, l’eredità profonda del 26 luglio merita di essere difesa, al di là degli errori e dei fallimenti, perché non si tratta necessariamente di principi.
I principi devono durare, così come la memoria degli uomini e delle donne che hanno lasciato il loro sangue sul cammino della Rivoluzione cubana.

Il 26 luglio si svolsero i processi contro gli aggressori. I processi aprirono la strada al lancio di quello che fu chiamato il Programma Moncada, un programma che si concentrava su problemi per i quali non si intravedeva una soluzione: abitazioni, industria, sanità, terra, istruzione e disoccupazione.

Da allora, in questo arcipelago non c’è stata una proposta politica più rivoluzionaria di quella che morì a Santiago de Cuba in quelle date.

Fonte: CubaSi

Traduzione: italiacuba.it

Perché Moncada sta diventando grande

 

Dobbiamo coprire il ritiro di Fidel. È lui che deve vivere. Dove sarà? Sarà riuscito a scappare? Lo spero… Con quest’occhio coperto forse non mi scopriranno. Travestiti da malati, abbiamo qualche possibilità, ma dobbiamo aspettare che passi più tempo. Che impotenza essere intrappolati in questo posto senza poter uscire e senza sapere degli altri… Devi prepararti per qualunque cosa accada. Le ragazze devono vivere per raccontare tutto… Sì…. Per fortuna ho potuto dare un bacio a mia nipote Carín.

……….

Quel fotografo non sa quello che fa… Crede che io sia un Batista? Mi ha appena scattato una foto che gli costerà la vita o salverà la mia…o forse no, dobbiamo vedere come andrà a finire. Questo è quello che credevano gli altri e mi hanno curato la gamba credendo che fossi uno di loro…Vedremo. Ho visto i miei amici passare per quel corridoio, alcuni nemmeno li conosco, ma li ho visti a Siboney. Raulillo deve stare bene. Non l’ho visto da queste parti. Dev’essere sulla strada per le montagne. Si prenderà cura della ragazza se mi succedesse qualcosa. Non posso dimenticare la sua faccia quando gli dissi che qui a Moncada sarebbe stata l’ora zero. Spero che tu stia bene. Forse ci rivedremo là fuori, se queste bestie si calmano.

..……

Dove sono le ragazze?… Non sono arrivate qui a Siboney? …. Torno a cercarle!

…..

Sono un medico e non puoi umiliarmi in questo modo!

La fermezza di chi è caduto

Settantuno anni fa, queste potevano essere le immagini e i pensieri che, in pochi secondi, hanno attraversato la mente dei giovani che il 26 luglio 1953 hanno fatto irruzione nella storia. È quello che devono aver pensato e provato Abel, Tasende, Boris Luis e il dottor Muñoz. L’incertezza dopo i primi momenti dell’azione, la certezza che militarmente l’obiettivo non sarebbe stato raggiunto e la consapevolezza che la dittatura di Fulgencio Batista non avrebbe perdonato l’audacia.

Ogni 26 luglio la storia si ripete nella mia mente. Cosa stavano facendo o pensando quei ragazzi… le loro famiglie, i loro genitori, i loro figli… quanti avranno potuto vedere e sentire il sole di Santiago o di Bayamo, chi avrà sentito per primo gli spari che hanno finito i corpi dei loro compagni, già martoriati dalle torture… …. Penso sempre che il giorno sia esattamente lo stesso… che tutto stia accadendo di nuovo…

Lì, nei sotterranei della Moncada, la dittatura si accaniva contro di loro, per aver osato sfidarli e per averlo fatto senza che se ne rendessero conto. Non potevano concepire una tale sorpresa. L’ordine fu dato e il massacro ebbe inizio, nelle caserme, nelle strade, a Siboney, sulle strade baiane….

Nessuno dei torturati abbandonò i propri compagni, né il proprio capo. Affrontarono la morte con la fermezza dei coraggiosi e, dopo essere stati picchiati e umiliati, vennero messi uno a uno nel cortile per essere fucilati in una sanguinosa esercitazione di tiro.

I loro corpi, esaminati in seguito da un medico, dimostrarono in modo inequivocabile che la maggior parte di loro non era caduta in combattimento, ma la notizia fu pubblicata così.

Ma la storia di quei ragazzi non finì lì, come volevano i loro assassini. I loro compagni, i sopravvissuti, avrebbero fatto in modo che tutto ciò che accadde la mattina di Santa Ana non venisse dimenticato.

La fermezza di coloro che hanno vissuto

Haydee Santamaría ha dichiarato: “Per me il carcere non è stato doloroso. In primo luogo, a Boniato, è stato molto bello perché era molto combattivo, stava portando avanti il processo, stava lottando per la vita di Fidel e per i nostri morti; stava lottando da lì perché non scomparissero”.

Il compito dei sopravvissuti, la loro giusta ossessione, era quello di dimostrare a tutto il Paese, all’opinione pubblica, i crimini commessi dalla tirannia. Il processo Moncada, come è noto nella storia cubana, o la Causa 37 del 1953, lo dimostrò.

In quell’occasione, ogni dichiarazione dei rivoluzionari imputati denunciava la dittatura, raccontando di come i loro compagni fossero stati imprigionati e poi segnalati come uccisi in combattimento. Il caso del giovane atemiseño Marcos Martí, ad esempio, chiamato a testimoniare, era già stato ucciso sulla strada di El Caney giorni prima, come testimoniò Ciro Redondo, che era con lui.

In La storia mi assolverà, Fidel allude più volte ai suoi compagni: “I miei compagni, inoltre, non sono né dimenticati né morti; vivono oggi più che mai e i loro assassini devono guardare con terrore lo spettro vittorioso delle loro idee che si leva dai loro eroici cadaveri”.

E così fu per tutta la durata della lotta. Coloro che sopravvissero alle azioni del 26 luglio a Santiago e a Bayamo mantennero la fermezza dei loro compagni caduti e non smisero di combattere per le stesse idee fino alla vittoria o alla morte.

La Moncada avrebbe potuto essere diversa se quei giovani si fossero arresi, se si fossero arresi, perché allora i loro compagni sarebbero morti e quell’evento sarebbe stato un altro dei massacri delle dittature neocoloniali a Cuba o nel continente.

Ma non fu così: la fermezza dei giovani, con Fidel alla loro testa, continuò; lo confermarono la determinazione di Abel a coprire la ritirata dall’ospedale civile per poter sopravvivere; e l’azione fulminea di Ricardo Santana per tirare fuori il leader da sotto i proiettili quando era rimasto praticamente solo a coprire la ritirata degli altri compagni davanti alla caserma.

La fermezza nelle dichiarazioni processuali, nella preparazione politica in carcere, nell’organizzazione in esilio, nella spedizione del Granma, nella lotta nella Sierra….La fermezza dopo il trionfo, quando il vero nemico delle rivoluzioni attaccò i nostri dal nord; ecco perché il Moncada divenne grande. E cresce.

Nel 45° anniversario degli eventi del 26 luglio, il Comandante in Capo lo ha sancito ancora una volta: “I nostri eroici morti non sono caduti invano. Ci hanno indicato il dovere di andare avanti, hanno acceso negli animi il soffio inestinguibile, ci hanno accompagnato nelle prigioni e nell’esilio, hanno combattuto al nostro fianco in guerra. Li vediamo rinascere nelle nuove generazioni”.

Nel 1986, proprio nella provincia di Sancti Spiritus, nella cerimonia del 26 luglio che inaugurò anche le trasmissioni del canale televisivo internazionale cubano, Fidel espresse ciò che suggella ancora una volta il nostro impegno nei confronti dei moncadisti: “Con la fede dei giorni più difficili, e con la fede e la sicurezza che la vittoria ci ha dato, dico oggi, diciamo all’impero e diciamo agli avversari che il nostro popolo sarà in grado di superare qualsiasi ostacolo, qualsiasi difficoltà; che il nostro popolo sarà in grado di marciare in avanti incontenibile, sarà in grado di superare le proprie debolezze, sarà in grado di superare i propri difetti, sarà in grado di superare i propri errori. E un popolo che è capace di superare i propri difetti, i propri errori; un popolo che non teme nulla, un popolo che non si piega a niente e a nessuno, è e sarà sempre un popolo invincibile”.

Santiago continua ad albeggiare tra i rumori e i ricordi di una città che custodisce momenti speciali….Le montagne sembrano vegliare su tutto in silenzio… come direbbe Raúl, nell’atto del 26 luglio 2018: “guardate che bella alba con le montagne della Sierra Maestra che ci guardano…”, in un’alba in cui sicuramente pensava ai suoi compagni di allora, 65 anni fa.

“Nessuno di noi che ha avuto il privilegio di partecipare a queste azioni, sotto il comando di Fidel, poteva allora sognare che saremmo stati vivi in un giorno come quello di oggi, con un Paese libero, indipendente e sovrano, una Rivoluzione socialista al potere e un popolo unito pronto a difendere l’opera compiuta, frutto del sacrificio e del sangue di diverse generazioni di cubani.”

Il 26 luglio oggi supera qualsiasi celebrazione e diventa un giorno senza fine, un’eterna battaglia per la vita, incessante e bellissima…. Oggi festeggio, nonostante la tristezza, il giorno più felice della Storia perché è stato il giorno in cui più di cento giovani erano felici quando sono partiti per il luogo in cui la cosa più importante era onorare il Maestro…. E lo hanno fatto, e hanno dato la luce dell’alba…..

Per questo, come diceva l’eroina della Moncada, l’appassionata ed eterna rivoluzionaria Haydeé, la Moncada è resa grande dalla fermezza di chi è caduto e dalla fermezza di chi ha vissuto.

E continuerà a crescere grazie alla costanza di quelli di noi che continuano.

Fonte: CUBADEBATE

Traduzione: italiacuba.it

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